Amalfi
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AMALFI
Dolce il ricordo nel mio cor discende
Del bel paese ch’oltra il mar si stende;
Dove si scontran le montagne e l’onde,
Dove in mezzo al calor che si diffonde,
5Siede tra’ gelsi Amalfi, e i bianchi piedi
Nella calma del mar bagnar la vedi.
In mezzo alla città dalle fontane,
Là nelle balze ripide montane,
Per stretta gola, slanciasi e discorre
10In giù il Canneto e a precipizio corre
De’ molini a girar le grandi ruote,
E i martelli del fabbro innalza e scote.
Di scaloni è una serie e non è via
Che al profondo burron guida ed invia,
15Ove fra roccia e roccia assai vicina
Saltellando il torrente oltre cammina.
Di su da grado a grado affaticate
Portano i pesi lor le villanelle.
Del suol figliuole dal sole abbronzate,
20Alte figure maestose e snelle,
Qual fato inesorabil le destina
A faticosa vita e al suol le inchina?
Lungi, il signor de’ paschi e delle vigne
Sta sul convento, e il frate, soddisfatto,
25Pel solido terrazzo il passo spigne,
Intrecciando le man, placido in atto,
Mirando il muro e il tetto ch’è all’aperto,
E che di rosse tegole è coperto.
Ei pensa che a quel moto e a quel lavoro
30Scopo è una fine placida e serena,
E come degli umani esseri il coro
Fuggir non può da cure nè da pena
Nè del guadagno dal pensier venale;
Che non può, nell’inerzia, essergli eguale.
35Dove i navigli son di merci onusti
Venuti dall’occaso e dal levante?
Dove gli armati cavalier robusti
Volgendo i passi alle contrade sante,
Che in guanti avean d’acciaio il pugno stretto
40Ed una croce rossa in mezzo al petto?
Dove del campo e della corte i vanti?
Dove colle lor preci i pellegrini?
Colle derrate lor dove i mercanti?
Dov’è mai lo splendor de’ brigantini
45Ov’essi navigar senza pensieri,
Vittime, in porto, de’ corsar d’Algieri?
Come un gruppo di nubi, ormai svaniro,
Come di tromba passaggiero suono.
Furo un passato luminoso e miro
50Il commercio, la folla ed il frastuono!
Profondamente sotto il mare ascosi
Gli antichi sbarcatoi han lor riposi.
Fur dalle soverchianti onde ingoiati.
Son le strade deserte ed i mercati;
55Rovinar tetti e torri e forti mura.
A ogni sguardo mortal sua vista fura
La sepolta città che in sonno piomba.
Han le cittadi ancor la loro tomba!
Terra è d’incanto! Intorno la marina,
60Colla sua falce di candide arene,
Là di Salerno la piaggia azzurrina
Tronca da lungi e agli occhi ascosa tiene,
E ancor più lungi, anzi lontan lontano,
Pesto ne appar sull’indistinto piano.
65Colle rovine sue si mostra fuore;
E le sue belle rose, tutte in fiore,
Sembrano ravvivar l’aura letale
Di quella terra deserta e fatale.
Su quel terrazzo, nella sua grandezza,
70Non cura il frate sì mondane cose;
E mentre dal giardin viene una brezza,
Un leggero spirar d’aure odorose,
Ei dell’api volanti il ronzio sente
Nel castagno che brilla al sol lucente.
75Null’altro ei vede o ascolta e tutto sembra
Del pomeriggio ombrar l’ora beata.
Lentamente s’aggira e si rassembra
Su i sensi suoi l’onda del sonno grata;
E, come la città, stanco, si asconde
80Entro caverne gelide e profonde.
Da cumuli di neve intorno cinto,
Dell’Aquilon sentendo il soffio fiero,
Bianchi i paesi e il fiume in ghiacci avvinto
Mentre muto rimiro, al mio pensiero
85Torna la gioia e la vision riappare
D’un lontan Paradiso oltra del mare.
- Napoli 18 febbraio 1883.