Alice nel Paese delle meraviglie/V
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Traduzione dall'inglese di Silvio Spaventa Filippi (1914)
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Il Bruco e Alice si guardarono a vicenda per qualche tempo in silenzio; finalmente il Bruco staccò la pipa di bocca, e le parlò con voce languida e sonnacchiosa:
Chi sei? — disse il Bruco.
Non era un bel principio di conversazione. Alice rispose con qualche timidezza: — Davvero non te lo saprei dire ora. So dirti chi fossi, quando mi son levata questa mattina, ma d’allora credo di essere stata cambiata parecchie volte.
— Che cosa mi vai contando? — disse austeramente il Bruco. — Spiegati meglio.
— Temo di non potermi spiegare, — disse Alice, — perchè non sono più quella di prima, come vedi.
— Io non vedo nulla, — rispose il Bruco.
— Temo di non potermi spiegare più chiaramente, — soggiunse Alice in maniera assai gentile, — perchè dopo esser stata cambiata di statura tante volte in un giorno, non capisco più nulla.
— Non è vero! — disse il Bruco.
— Bene, non l’hai sperimentato ancora, — disse Alice, — ma quando ti trasformerai in crisalide, come ti accadrà un giorno, e poi diventerai farfalla, certo ti sembrerà un po’strano, — non è vero?
— Niente affatto, — rispose il Bruco.
— Bene, tu la pensi diversamente, — replicò Alice; — ma a me parrebbe molto strano.
— A te! — disse il Bruco con disprezzo. — Chi sei tu?
E questo li ricondusse di nuovo al principio della conversazione.
Alice si sentiva un po’ irritata dalle brusche osservazioni del Bruco e se ne stette sulle sue, dicendo con gravità: — Perchè non cominci tu a dirmi chi sei?
— Perchè? — disse il Bruco.
Era un’altra domanda imbarazzante. Alice non seppe trovare una buona ragione. Il Bruco pareva di cattivo umore e perciò ella fece per andarsene.
— Vieni qui! — la richiamò il Bruco. — Ho qualche cosa d’importante da dirti.
La chiamata prometteva qualche cosa: Alice si fece innanzi.
— Non arrabbiarti! — disse il Bruco.
— E questo è tutto? — rispose Alice, facendo uno sforzo per frenarsi.
— No, — disse il Bruco.
Alice pensò che poteva aspettare, perchè non aveva niente di meglio da fare, e perchè forse il Bruco avrebbe potuto dirle qualche cosa d’importante. Per qualche istante il Bruco fumò in silenzio, finalmente sciolse le braccia, si tolse la pipa di bocca e disse:
— E così, tu credi di essere cambiata?
— Ho paura di sì, signore, — rispose Alice. — Non posso ricordarmi le cose bene come una volta, e non rimango della stessa statura neppure per lo spazio di dieci minuti!
— Che cosa non ricordi? — disse il Bruco.
— Ecco, ho tentato di dire "La vispa Teresa" e l’ho detta tutta diversa! — soggiunse melanconicamente Alice.
— Ripetimi "Sei vecchio, caro babbo", — disse il Bruco.
Alice incrociò le mani sul petto, e cominciò:
"Sei vecchio, caro babbo" — gli disse il ragazzino —
"sulla tua chioma splende — quasi un candore alpino;
eppur costantemente — cammini sulla testa:
ti sembra per un vecchio — buona maniera questa?"
"Quand’ero bambinello" — rispose il vecchio allora —
"temevo di mandare — il cerebro in malora;
ma adesso persuaso — di non averne affatto,
a testa in giù cammino — più agile d’un gatto."
"Sei vecchio, caro babbo" — gli disse il ragazzino —
e sei capace e vasto — più assai d’un grosso tino:
e pur sfondato hai l’uscio — con una capriola;
"dimmi di quali acrobati — andasti, babbo, a scuola?"
"Quand’ero bambinello." — rispose il padre saggio,
per rafforzar le membra, — io mi facea il massaggio
sempre con quest’unguento. — Un franco alla boccetta.
"chi comperarlo vuole, — fa bene se s’affretta"
"Sei vecchio, caro babbo," — gli disse il ragazzino, —
"e tu non puoi mangiare — che pappa nel brodino;
pure hai mangiato un’oca — col becco e tutte l’ossa
Ma dimmi, ove la pigli, — o babbo, tanta possa?"
"Un dì apprendevo legge." — il padre allor gli disse, —
"ed ebbi con mia moglie continue liti e risse,
e tanta forza impressi — alle ganasce allora,
tanta energia, che, vedi, — mi servon bene ancora."
"Sei vecchio. caro babbo," — gli disse il ragazzino
"e certo come un tempo — non hai più l’occhio fino:
pur reggi in equilibrio — un pesciolin sul naso:
or come così desto — ti mostri in questo caso?"
"A tutte le domande — io t’ho risposto già,
"e finalmente basta!" — risposegli il papà:
"se tutto il giorno poi — mi vuoi così seccare.
ti faccio con un calcio — le scale ruzzolare"
— Non l’hai detta fedelmente, — disse il Bruco. — Temo di no, — rispose timidamente Alice, — certo alcune parole sono diverse. — L’hai detta male, dalla prima parola all’ultima, — disse il Bruco con accento risoluto. Vi fu un silenzio per qualche minuto. Il Bruco fu il primo a parlare: — Di che statura vuoi essere? — domandò. — Oh, non vado tanto pel sottile in fatto di statura, — rispose in fretta Alice; — soltanto non è piacevole mutar così spesso, sai. — Io non ne so nulla, — disse il Bruco. Alice non disse sillaba: non era stata mai tante volte contraddetta, e non ne poteva proprio più. — Sei contenta ora? — domandò il Bruco. — Veramente vorrei essere un pochino più grandetta, se non ti dispiacesse, — rispose Alice, — una statura di otto centimetri è troppo meschina! — Otto centimetri fanno una magnifica statura! — disse il Bruco collerico, rizzandosi come uno stelo, mentre parlava (egli era alto esattamente otto centimetri). — Ma io non ci sono abituata! — si scusò Alice in tono lamentoso. E poi pensò fra sè: "Questa bestiolina s’offende per nulla!" — Col tempo ti ci abituerai, — disse il Bruco, e rimettendosi la pipa in bocca ricominciò a fumare. Questa volta Alice aspettò pazientemente che egli ricominciasse a parlare. Dopo due o tre minuti, il Bruco si tolse la pipa di bocca, sbadigliò due o tre volte, e si scosse tutto. Poi discese dal fungo, e se ne andò strisciando nell’erba, dicendo soltanto queste parole: — Un lato ti farà diventare più alta e l’altro ti farà diventare più bassa. "Un lato di che cosa? L’altro lato di che cosa?" pensò Alice fra sè. — Del fungo, — disse il Bruco, come se Alice lo avesse interrogato ad alta voce; e subito scomparve. Alice rimase pensosa un minuto guardando il fungo, cercando di scoprirne i due lati, ma siccome era perfettamente rotondo, trovò la cosa difficile. A ogni modo allungò più che le fu possibile le braccia per circondare il fungo, e ne ruppe due pezzetti dell’orlo a destra e a sinistra. — Ed ora qual è un lato e qual è l’altro? — si domandò, e si mise ad addentare, per provarne l’effetto, il pezzettino che aveva a destra; l’istante dopo si sentì un colpo violento sotto il mento. Aveva battuto sul piede! Quel mutamento subitaneo la spaventò molto; ma non c’era tempo da perdere, perchè ella si contraeva rapidamente; così si mise subito ad addentare l’altro pezzo. Il suo mento era talmente aderente al piede che a mala pena trovò spazio per aprir la bocca; finalmente riuscì a inghiottire una briccica del pezzettino di sinistra.
— Ecco, la mia testa è libera finalmente! — esclamò Alice gioiosa; ma la sua allegrezza si mutò in terrore, quando si accorse che non poteva più trovare le spalle: tutto ciò che poteva vedere, guardando in basso, era un collo lungo lungo che sembrava elevarsi come uno stelo in un mare di foglie verdi, che stavano a una bella distanza al di sotto. — Che cosa è mai quel campo verde? — disse Alice. — E le mie spalle dove sono? Oh povera me! perchè non vi veggo più, o mie povere mani? — E andava movendole mentre parlava, ma non seguiva altro effetto che un piccolo movimento fra le foglie verdi lontane. E siccome non sembrava possibile portar le mani alla testa, tentò di piegare la testa verso le mani, e fu contenta di rilevare che il collo si piegava e si moveva in ogni senso come il corpo d’un serpente. Era riuscita a curvarlo in giù in forma d’un grazioso zig-zag, e stava per tuffarlo fra le foglie (le cime degli alberi sotto i quali s’era smarrita), quando sentì un sibilo acuto, che glielo fece ritrarre frettolosamente: un grosso Colombo era volato su di lei e le sbatteva violentemente le ali contro la faccia. — Serpente! — gridò il Colombo. — Io non sono un serpente, — disse Alice indignata. — Vattene! — Serpente, dico! — ripetè il Colombo, ma con tono più dimesso, e soggiunse singhiozzando: — Ho cercato tutti i rimedi, ma invano. — Io non comprendo affatto di che parli, — disse Alice. — Ho provato le radici degli alberi, ho provato i clivi, ho provato le siepi, — continuò il Colombo senza badarle; — ma i serpenti! Oh, non c’è modo di accontentarli! Alice sempre più confusa, pensò che sarebbe stato inutile dir nulla, sin che il Colombo non avesse finito. — Come se fosse poco disturbo covar le uova, — disse il Colombo. — Bisogna vegliarle giorno e notte! Sono tre settimane che non chiudo occhio! — Mi dispiace di vederti così sconsolato! disse Alice, che cominciava a comprendere. — E appunto quando avevo scelto l’albero più alto del bosco, — continuò il Colombo con un grido disperato, — e mi credevo al sicuro finalmente, ecco che mi discendono dal cielo! Ih! Brutto serpente! — Ma io non sono un serpente, ti dico! — rispose Alice. — lo sono una... Io sono una... — Bene, chi sei? — chiese il Colombo. — È chiaro che tu cerchi dei raggiri per ingannarmi! — Io... io sono una bambina, — rispose Alice, ma con qualche dubbio, perchè si rammentava i molti mutamenti di quel giorno. — È una frottola! — disse il Colombo col tono del più amaro disprezzo. — Ho veduto molte bambine in vita mia, ma con un collo come il tuo, mai. No, no! Tu sei un serpente, è inutile negarlo. Scommetto che avrai la faccia di dirmi che non hai assaggiato mai un uovo! — Ma certo che ho mangiato delle uova, — soggiunse Alice, che era una bambina molto sincera. — Non son soli i serpenti a mangiare le uova; le mangiano anche le bambine. — Non ci credo, — disse il Colombo, — ma se così fosse le bambine sarebbero un’altra razza di serpenti, ecco tutto. Questa idea parve così nuova ad Alice che rimase in silenzio per uno o due minuti; il Colombo colse quell’occasione per aggiungere: — Tu vai a caccia di uova, questo è certo, e che m’importa, che tu sia una bambina o un serpente? — Ma importa moltissimo a me, — rispose subito Alice. — A ogni modo non vado in cerca di uova; e anche se ne cercassi, non ne vorrei delle tue; crude non mi piacciono. — Via dunque da me! — disse brontolando il Colombo, e si accovacciò nel nido. Alice s’appiattò come meglio potè fra gli alberi, perchè il collo le s’intralciava tra i rami, e spesso doveva fermarsi per distrigarnelo. Dopo qualche istante, si ricordò che aveva tuttavia nelle mani i due pezzettini di fungo, e si mise all’opera con molta accortezza addentando ora l’uno ora l’altro, e così diventava ora più alta ora più bassa, finchè riuscì a riavere la sua statura giusta. Era da tanto tempo che non aveva la sua statura giusta, che da prima le parve strano; ma vi si abituò in pochi minuti, e ricominciò a parlare fra sè secondo il solito. — Ecco sono a metà del mio piano! Sono pure strani tutti questi mutamenti! Non so mai che diventerò da un minuto all’altro! Ad ogni modo, sono tornata alla mia statura normale: ora bisogna pensare ad entrare in quel bel giardino... Come farò, poi? E così dicendo, giunse senza avvedersene in un piazzale che aveva nel mezzo una casettina alta circa un metro e venti. — Chiunque vi abiti, — pensò Alice, — non posso con questa mia statura fargli una visita; gli farei una gran paura! E cominciò ad addentare il pezzettino che aveva nella destra, e non osò di avvicinarsi alla casa, se non quando ebbe la statura d’una ventina di centimetri.