Al pianoforte/Scena unica
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Scena unica (1870)
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Salotto elegantissimo.
Una lampada accesa sul tavolo.
- Lei
(è seduta al pianoforte)
- Lui
(in piedi daccanto)
- Sapete che cos'è che mi piace in voi quando suonate? Ve lo voglio dire. È quella elegante libertà di moti, di parole, di atteggiamenti, di esclamazioni, di critiche e di sbadataggini che consentite a colui che vi ascolta. Una signora che suoni è diventata oramai un insopportabile cumulo di distrette le une più fastidiose delle altre. Vi pare? (Le volta il foglio). Ci vedete abbastanza? — Sì? — Io la musica l'intendo a modo mio, e per assaporarla ho bisogno di sapermi circondato di elementi omogenei. — Ecco... Voi seguitate a suonare mentre io vi parlo di mille cose indifferenti e piacevoli; e come le mie parole non vi disturbano, così le vostre note mi arrivano qui dentro, senza punto scemare di valore. — Scusate: se ci vedete, io premo il cappello; già dovete saperla a memoria quella musica. Una novità. — Mio cugino si ammoglia: poveretto! L'ho incontrato stasera con Mario... un altro originale! — I pedanti credono che la musica si senta per le orecchie, ed hanno torto. La musica si aspira, c'entra per tutti i pori, è un assorbimento di armonie. Quando suonate voi, mi pare di tuffarmi in un bagno tepido e profumato; i nervi si distendono, la pelle si ammorbidisce, e m'invade quella stanchezza piena di voluttà che vi dà le sembianze del sonno a mente sveglia. È un bagno di note; — Luzzi, n'è vero? Non è Luzzi che suonate? Luzzi è poeta da senno. To'! Dove avete trovata questa bella Faenza? Bella, bella, bella, non la conoscevo. C'è un capriccio che m'ho da levare con voi. Vorrei sapere di qualche oggettino che vi stesse a cuore, che fosse fragile, molto fragile, ed avere la disgrazia di lasciarlo cadere e mandarlo in frantumi. Non apposta però... oh! non apposta; ma se mi capitasse per mala sorte, non ne sarei malcontento. Vorrei vedere che ciera mi fareste. Che idea sciocca! Che volete... è vanità... vanitas vanitatum. Io lo sono, vanitoso... e voi pure lo siete. Già, chi non lo è? È questione di farla consistere in cosa che non offenda, e poi... Questa è la differenza che separa l'uomo di garbo dall'imbecille. L'imbecille è vanitoso senza sapere trar profitto della propria vanità; l'uomo di garbo la conosce, la approfondisce, la disseca, ne trae il sublimato e la spende a centellini. Voi fate così, ed anche io. (Prende un libro sul tavolino). Chi scrive bene è Venosta. Oh! siete avanti a leggerlo... pagina centoventitré... Vi piace, a quanto pare. — Tornate a quel motivo... quello di prima, quello che dice: la la la ra... quello. È strano come quell'allegro mi dà malinconia. È un fenomeno che sperimentai più volte; c'è nell'Africana una frase larga, profonda, più triste che un giorno di piova e che mi fa ridere come uno sciocco. Spiegatela voi come volete. (Ha deposto il libro e prende una scatola di confetti). Bisognerà che vi porti dei confetti, non ce ne avete più, a momenti. (Suona il campanello). Chissà perché quell'uomo che sta di sotto, tranquillo, ha da salir le scale e darsi 1a briga di venir fin qui per cosa che avrei potuto far io senza incomodarmi la centesima parte... e tutto ciò perché ho tirata questa funicella!... È un'ingiustizia... (Il Servo compare). Aggiustate il fuoco. Lo so che è caldo lo stesso, ma mi piace veder la fiammata. (Il Servo esce. Lui si alza e passeggia). Non le passo che in casa vostra le belle serate, proprio. Quando ho la fortuna di non trovar gente... lo che però mi avviene di rado, il tempo qui mi corre in modo delizioso. — Voi foste poeta nell'addobbo di questo salotto. — Perché li ricevete gli sciocchi? E ce ne vengono qui... e gli sciocchi non dovrebbero saperci stare, con voi... Gli sciocchi! Una disarmoniosa combinazione di fosforo e di carbonio, secondo dicono i materialisti. Un seccatore, secondo dico io. M'è più caro un insolente che uno sciocco. Di nuovo la vanità. Chi mi sa dire qual sia lo sciocco, fra me e loro? Io credo che siano loro; essi credono che sia io. Chi dei due ha ragione? Tutti e due forse. Voi però siete dalla mia. — Eppure sono indispensabili... sono la pietra di paragone... ma rimangono pietra. Buona gente, però. Ce ne son due, per esempio, che vengono qui... ai quali io voglio bene davvero. (Torna a sedere). La sposa di mio cugino è quella certa signorina lunga lunga che incontrammo ai bagni questa estate... ve ne ricordate? Una genovese... Suo padre ha fatto i quattrini viaggiando... buona famiglia e buona ragazza, mi hanno detto; e se lo merita, mio cugino, perché lui è un cuor d'oro, lo sapete. Mi ricordo, quando ero malato, che mi vegliò più notti con una ciera così timida e compassionevole che ne ero commosso anche attraverso la febbre. Bravo giovine! Mi vuol bene davvero quello là... e ha ingegno, sì, ha ingegno... l'ho sentito parlare contro di noi, una volta che noi si canzonava un suo amico, un imbecille... e vi assicuro che fu eloquente. Noi siamo cattivi, qualche volta. Che ci caschi fra le mani un essere inoffensivo, mansueto, sereno, e subito lo si piglia a gabbo atrocemente. E chissà se quella intelligenza che gli manca non sia stata tutta assorbita dal cuore, e chissà se non soffra più di quanto noi lo si concepisca nemmeno, e se non sia rassegnazione quella che noi chiamiamo apatia di cervello... O se non sia un sovrano disprezzo verso di noi, che ce lo meritiamo. Come deve andare superbo di sé quell'uomo che può dirsi: «Voi mi tenete per uno scemo, e come tale mi canzonate o credete di canzonarmi; ed io, col mio aspetto bonario, faccio di voi quel conto che di una mosca che mi punzecchi, quando per inerzia non curo cacciarla». Vi diverto, n'è vero, io, stasera? È l'effetto della vostra musica. Mi sento qui nella testa le idee che mi pullulano sotto forma di note, ed ogni pensiero ha una cadenza. Gli è che voi pure non proferite parola. Aspettate: vi dirò dei versi che ho scritto ier sera:
Vuoi fuggir, mia bella amica,
Della folla il vacuo riso
E il rumor che t'affatica?
L'ho trovato, il Paradiso.
È un tranquillo agreste calle
Pieno d'ombra e di mister,
È la povera mia valle
Dove il nembo è passegger.
La mia valle è obliqua e scura,
Nevi eterne ha di prospetto,
Folta, cupa è la verzura,
Del torrente è bianco il letto,
Piena d'echi e di spavento,
Di sorrisi e di color.
Il meriggio è tutta argento
E la sera è tutta d'or.
- Non c'è male, n'è vero? Li ho buttati giù di primo acchito, e poi ho smesso. — Tornate a suonare... così... Io non so perché si deva cercare sempre il motivetto sul pianoforte; chi lo conosce bene, quell'istrumento, ci sa trar fuori quello che vuole. A me piace quello sbadato scorrere delle mani sui tasti, e i tasti pare che vengano da sé sotto le dita, e vi danno di quelle ondulazioni di armonie, lunghe, indefinite, che non sai bene se siano un suono o una visione a occhi chiusi. — Scusate, io torno a premere il paralume. — Com'è morbida questa poltrona! — Ecco in qual modo intendo la musica, io. Così... gli occhi chiusi e le orecchie aperte, e fatta facoltà di pensare ad alta voce. Cogli occhi chiusi si vedono tante cose! Lo avete mai provato, voi? Da principio non è che uno scintillio di stelle proteiformi che girano vorticosamente, che s'alzano, si abbassano, s'inchinano a vicenda, che vengono a bussare contro le palpebre vostre e poi si allontanano a distanze sideree... L'avete mai provato? E poi le stelle vanno via, e rimane una luce bianca bianca e tranquilla, e ci vedete quel che volete... io ci vedo mio fratello sovente.
- Lei
(che cessò di suonare da qualche minuto, s'alza e viene ad appoggiarsi alla spalliera della poltrona dove Lui è seduto)
- Lui
- Povero mio fratello! Morire così presto e così male! Che bel giovane! Una ciera schietta, aperta, intelligentissima; era simpatico a tutti. Vi ricordate? Una settimana prima che morisse, venimmo insieme da voi, e si passò una serata come questa... come questa, no... c'era anche lui! Che brutte memorie, non è vero? Ebbene, queste cose non le direi con nessuna altra donna al mondo, ché temerei profanarle, ma con voi... Quella sera, uscendo, mi son confidato a lui, e gli ho detto tutto quello che pensavo. Voi lo sapete quello che pensavo... È vero che lo sapete?
- Lei
(torna al pianoforte)
- Lui
- E lui mi parlò con tanta effusione! Povero ragazzo! — Suonate qualche cosa di più allegro. Così... (S'alza e passeggia). Un giorno mi chiedevate perché non vi ho mai fatta la corte. — Non lo so; probabilmente è colpa vostra: e poi non so perché... ma penso che vi spiacerebbe... No? Quest'estate voglio tornare in montagna, ma... su, su, alto... voglio traversare un ghiacciaio per vedere di cambiare la pelle... se potessi cambiare anche il di dentro! Ebbene, se potessi anche... non lo cambierei. Più mi guardo attorno, più mi accorgo che non mi darei per nessun altro. — Vi porterò domani un bel libro. — Questa sera ballano in casa della contessa Menfi. L'ho scappata bella! Figurarsi, suo fratello l'ufficiale mi ci voleva condurre ad ogni costo! (Torna a sedere). A quest'ora sarei là, stanco ed annoiato da non reggere. Domando io se c'è bisogno di aver tanta gente in casa. Tanta gente che conviene nelle vostre sale, senza occuparsi di voi, senza sapere neppure che siate al mondo. Tanti lumi, tante spalle, tanti gelati e tanti burattini... ecco un ballo... e tanto malumore pel domani.
- Lei
(smette di suonare a poco a poco)
- Lui
- C'è una cosa a cui penso tante volte. Sarebbe di essere in un landau alto, largo, elastico, in una notte di estate, per una strada lunga lunga, con accanto una donnina bionda, avviluppata morbidamente nello scialle... una donnina bionda... e i cavalli che volassero a precipizio. Quell'aria vibrata che vi flagella il viso, vorrei berla con voluttà, e i cavalli che volassero sempre.
- Lei
(torna ad appoggiarsi alla spalliera della poltrona di Lui)
- Lui
- E voi avreste paura, ed io vi cingerei del mio braccio e starei cheto cheto ed ansante, e sentirei le vostre fibre fremere a1 mio contatto, e sentirei, lo sentirei colle orecchie, il vostro cuore a far tic-tac, e non mi direste parola... e i cavalli volerebbero sempre... a precipizio... e se mai... mossa dal vento, una ciocca dei vostri capelli mi sfiorasse la fronte...
- Lei
(con una mano gli carezza i capelli)
- Lui
- Come è bella questa musica! (Volgendosi di scatto). Ah! sei tu? (Le fa un bacio in fronte). Lo sai che ti voglio bene.
FINE