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XI



La terza puntata di Affronti e confronti era così terminata. Questa volta, rientrato in albergo, ebbi voglia di un decaffeinato, poi scambiai qualche parola col signor Martucci, quindi me ne andai a dormire.

«Hai proprio una buona memoria», disse Laura quando fummo tutti insieme a colazione. «Anche mio marito ne ha tanta. Si vede che è proprio una caratteristica di voi non vedenti».

Questa volta, a portarci la colazione fu il direttore, il quale appena mi vide, disse:

«Oggi, mia figlia non è qui, perché di riposo. Ma mi ha incaricato di dirti che oggi alle quattordici riceverai una visita. Appena arriverà qualcuno a cercarti, te lo farò sapere».

«Grazie, direttore».

Prima che terminasse la colazione, Edoardo disse: «Allora, pronti per domani?».

«Non si preoccupi, ci penso io».

Poi Leandro diede lettura dei giornali; naturalmente, a parlare di me c’era anche la stampa estera, ma Leandro, durante quei giorni, non mi lesse nulla, anche perché gli altri non ci avrebbero capito niente. A un certo punto, mi disse: «Tu non puoi vedere, ma qui c’è la foto di tua madre».

In sostanza mia madre dichiarava alla giornalista che dopo tanti sacrifici era giusto che io, nel poco che potevo, mi rendessi indipendente.

Dichiarava, inoltre, che per quanto mi conoscesse dalla nascita fino a quel giorno, aveva scoperto in me alcune doti di cui non mi credeva capace.

Sapeva della mia buona memoria, ma non sapeva, ad esempio, quanto fossi coraggioso nel dire certe cose, che forse lei, per paura, non avrebbe mai detto. Inoltre, mi ammirava per la calma davanti alle telecamere, senza neppure provare il minimo di emozione, che spesso si rivela traditrice. Infine, la giornalista le aveva chiesto che cosa sarebbe cambiato dopo quell’intervista. Mia madre rispose che noi due avremmo semplicemente continuato a vivere la vita di ogni giorno e che vivere per il denaro, secondo lei, non giovava a nulla.

Naturalmente, mia madre veniva fermata per le vie del paese, perché tutti la conoscevano.

Poi uscimmo dall’albergo; anche Nina uscì con sua figlia Edda. Edoardo, invece, rimase in albergo, perché aspettava suo figlio, la nuora ed il genero. Nina mi disse: «Una volta terminato il pranzo, avrei proprio voglia di parlare un po’ con lei. Voglio raccontarle alcune cose, e poi potremmo anche chiacchierare liberamente. Naturalmente, purché ciò non le dispiaccia».

«Assolutamente no!».

Ritornammo in albergo venti minuti prima del pranzo; poi, a tavola, ci mettemmo a chiacchierare liberamente, tra piatti appetitosi, musica e qualche bicchiere di vino. Prima del pranzo, appena rientrati in albergo, Edoardo fece le presentazioni:

«Mio figlio Alan. Sua moglie Caterina e mio nipote Francesco. Lui, invece, è mio genero Enrico. Sono tutte delle bravissime persone».

Così ci presentò al nostro gruppo. Anche la signora Nina fece le sue presentazioni. Naturalmente, al momento di pranzare, Edoardo andò a mangiare con i suoi, mentre Nina si sedette con noi, insieme a Edda e sua nipote Agata.

Alle quattordici meno dieci, il signor Bardi mi disse che c’erano visite per me, erano due artificieri, venuti per prendere istruzioni. Uno dei due si chiamava Alberto e fu allora che mi venne un’idea. Nel mio telefonino non avevo nessun nome segnato con la A, così mi segnai in rubrica il suo nome, dicendogli di tenersi pronto. Io gli avrei mandato uno squillo, al momento giusto; naturalmente, facemmo anche una prova. Poi, Alberto mi dette una scacciacani. Gli dissi che non serviva, ma lui me la diede lo stesso, con i colpi a salve. Dunque non vi erano pericoli.

Quindi, terminata quella visita, il signor Bardi che non era presente alla conversazione, vedendomi camminare, mi portò dov’erano gli altri. Nina venne verso di me e mi condusse in una sala vuota e pregò che non entrasse nessuno.

«Vedo che le piace toccare la mia mano. Che cos’ha di particolare che le ispira tanta simpatia?».

«La sua mano è calda e morbida», dissi, «esattamente come lo è la sua voce». Nina sorrise e mi abbracciò. Poi disse: «Ecco, sediamoci pure qui». Quindi riprese: «Per prima cosa, io spero proprio di non averla disturbata, ma lei è un giovanotto così simpatico. E poi, so che a lei piace parlare. Ora mi ascolti bene».

E così mi raccontò daccapo la sua relazione con Edoardo e, naturalmente, mi disse che non si era mai sposata, ma di aver avuto una figlia da lui. Anche lui mi aveva raccontato tutto ciò, ma io non dovevo farmi accorgere che già sapevo tutto, specialmente perché lei non lo aveva riconosciuto e, soprattutto, perché quell’uomo si era presentato come Giacomo che, davanti agli altri, chiamavo Jack. Poi le chiesi: «Sua figlia sa di avere un padre? E sua nipote Agata sa di avere un nonno, o di averlo avuto?».

«Guardi, Enea. Ha proprio detto una cosa giusta. Neppure io saprei dirle se il mio Edoardo sia vivo o morto. In ogni caso, per un po’ ci scrivemmo e quando Edda era piccola – beh, insomma, diciamo una ragazzina – le raccontavo che suo padre mi scriveva. Poi, più nulla».

Poi mi parlò di quel famoso accendino e che nessun altro poteva averlo, se non Edoardo. Mi raccontò anche che qualora nessuno dei due avesse notizie l’uno dell’altra, quell’accendino doveva essere gettato via, piuttosto che finire in mani estranee. Questo particolare mi interessò moltissimo. Dissi:

«Supponiamo allora che Edoardo fosse vivo. Lei, come si comporterebbe?».

«In questo caso, anche se a quest’età non sono più capace di amare – beh, insomma, voglio dire in quel senso – vorrei ugualmente sposarlo e passare con lui tutti i giorni che mi restano. Io ho fatto per la verità diversi tentativi per rintracciarlo, ma senza alcun risultato. Ora conosco Jack solo da qualche giorno e, nonostante quello scontro verbale, la sua compagnia mi piace. Ma non sarà mai come con Edoardo, come non lo sarà qualora Edoardo fosse vivo».

Dunque, Nina non sapeva, non poteva sapere, né io dovevo dirglielo. Anche lei mi raccontò quella storia che in parte avevo già sentito. Però, alla fine mi arrischiai a farle questa domanda:

«Senta, Nina. Se Edoardo fosse vivo, lei sarebbe in grado di riconoscerlo dai lineamenti?».

«Forse, ma non ne sarei poi tanto sicura. L’unico segno inequivocabile sarebbe una cicatrice sul braccio sinistro». E lì daccapo a raccontarmi quella terribile storia.

Facemmo un altro giro per Roma. Poi venne la cena e l’annuncio che la festa di benvenuto del giorno seguente avrebbe avuto luogo alle dieci. «Perché così presto?», disse Tony mentre la sera eravamo a tavola. «Perché ci sarà una scenetta con alcune comparse».

«Allora, quella storia dell’assicurazione...».

«Abbi pazienza, Tony! Domani lo saprai».

La sera precedente avevo dato a Clementina istruzioni importanti perché vi fossero anche dei fiori e lei aveva passato queste istruzioni a suo padre, perché era di riposo, ma l’indomani sarebbe stata di nuovo al lavoro.

Poi arrivò Aldo, e con Aldo la corsa in Rai.