../V

../VII IncludiIntestazione 24 aprile 2015 75% Da definire

V VII



VI



Trascorsi cinque minuti ci trovammo a casa sua. I Portici ci accolsero in una grande villa, ben arredata e che Leandro fece visitare in particolare a Tony e a me, soffermandosi su tutti i minimi particolari; anche Laura e Lisa videro tutto ciò con i loro occhi. Poi ci sedemmo dinanzi ad un lungo tavolo e si passò alle presentazioni.

«Questa è mia madre Maria, lui, invece è mio fratello Ezio che, come me, si occupa di assistenza in componenti elettronici ed informatici; l’azienda l’abbiamo fondata insieme. Si chiama POECO, dove le prime due lettere stanno per “Portici”, mentre le altre significano “elettronica e computer”. Questo signore, invece, è nonno Leonardo, con la nonna Chiara. La prossima volta vi farò conoscere mio padre Alessandro che è professore di matematica e mia sorella Ines, che studia giurisprudenza ma che, per mantenersi agli studi, lavora con noi in azienda come segretaria. I miei nonni sono i genitori di mio padre, quelli di mia madre, purtroppo, non ci sono più».

Poi, come se ciò fosse importante, aveva aggiunto che il nonno Leo (così lo chiamava, anziché Leonardo) gli aveva insegnato non senza rischi e pericoli a farsi la barba con il rasoio a mano libera.

Intanto, nonno Leo chiese il permesso di fumare e si arrotolò una cartina; Leandro mi aveva infatti spiegato che anche il nonno si faceva le sigarette.

«Quindi», dissi, «il nonno ti ha insegnato anche questo».

«No, ma a furia di guardarlo, ho imparato anch’io. Naturalmente, lo facevo di nascosto. Avevo diciassette anni; quando notò che puzzavo di fumo, tentai di nasconderglielo, dicendo che erano i vestiti ad avere quell’odore, ma mio nonno capì immediatamente, tuttavia mi disse che non avrebbe mai detto nulla ai genitori. Poi, col passare del tempo, capirono anche loro».

«Ricordi ciò che mi hai promesso, vero? Prima o poi mi insegnerai a fare le cartine».

«Te lo insegno subito, ecco...».

«Non così», gli disse il nonno, «e poi la macchinetta non serve, anche se sarebbe davvero comoda. Ecco, la cartina si tiene tra le dita in questo modo». E così dicendo mi insegnò a tenerla in equilibrio. Lui sì, che ci sapeva fare! Poi mi disse di leccarla leggermente, senza bagnarla troppo con la lingua. Quindi era arrivato il momento di accenderla, ma io gli chiesi di darmi un’altra cartina con dell’altro tabacco, perché volevo provarci da solo. Acconsentì. «Come prima volta, non c’è male» disse.

Gli replicai che nel fumare mi venivano in bocca i granuli di tabacco.

«Come ti ripeto, è normale, essendo la prima volta. Vedrai che imparerai e diventerai anche più bravo di me. A proposito, posso darti del tu, vero? È come se fossimo amici da lungo tempo!».

«Certo».

«Ah, ho commesso una mancanza. Non mi sono ancora complimentato con te per l’intervista con Biagi. È stata bellissima».

Poi, mentre ci venivano serviti le paste con il tè, il caffè e (per chi lo voleva) anche l’amaro, nonno Leo riprese: «Devo ammettere che tante cose sui non vedenti non le sapevo. Chiedi un po’ a mio nipote che, da qualche mese, come sai, fa il volontario qui a Roma all’Unione Italiana Ciechi. Sai, ormai gli obiettori da qui a poco scompariranno».

«Beh, in effetti ne ho sentito parlare di libri per non vedenti, in Braille o su cassetta, ma non più di tanto. A proposito, sai se si possono leggere libri anche in formato mp3?».

«Sì, quando torneremo a casa, per quella sera dormirai da me, e io ti farò vedere ogni cosa». Dopo quella merenda, Leandro consultò l’orologio. Erano le cinque meno dieci. Anche gli altri avevano preso parte alla nostra conversazione, esprimendo i propri pareri. Poi Leandro disse che bisognava andare.

«Allora, facciamo così. Domenica a mezzogiorno, siete a pranzo da noi, così conoscerete anche il resto della famiglia», disse la madre di Leandro.

«Domenica no», le rispose lui, «perché i nostri amici vogliono andare a Fregene, per trascorrere una giornata al mare».

Intervenne la nonna.

«Allora, sabato sera».

Tony le disse che per lui – se gli altri non fossero stati contrari – andava bene, purché non arrecasse loro troppo disturbo.

«Va bene anche per noi e non ci recate affatto disturbo», rispose la signora Maria. «Ormai, il nostro amico Enea sta diventando famoso e, per suo riguardo, dobbiamo trattarvi bene. A proposito, sai che sei su tutti i giornali? Anche quelli esteri. Purtroppo, però, c’è un articolo che...».

«Sì», le replicai, «Leandro me l’ha letto, ma io ho già sistemato tutto a dovere».

«Hai fatto benissimo», approvò nonno Leo. Poi, dopo aver salutato la famiglia quasi al completo di Leandro, con la promessa di incontrarci nuovamente la sera del sabato seguente, ce ne andammo.

«Allora, sabato alle sette».

Rispondemmo loro di sì.

«Leandro», disse Tony non appena fummo in macchina, «la tua famiglia è simpaticissima». Noi fummo tutti d’accordo con lui e Leandro ringraziò. Poi, mentre proseguivamo il nostro itinerario turistico che ci permise di visitare altri posti interessanti, dissi una mia idea per il pomeriggio seguente.

«Domani è mercoledì ed io, se siete d’accordo, avrei piacere di andare all’udienza generale che il papa tiene appunto ogni mercoledì alle quindici».

Leandro mi rispose che pur essendo ateo avrebbe fatto uno strappo alla regola, e gli altri acconsentirono. Non rimaneva molto tempo per quella sera, ma il nostro programma venne rispettato ugualmente. Rientrammo in albergo alle sette meno venti. Ebbi appena il tempo di preparare la mia toilette. La giacca e la cravatta li avrei indossati dopo cena.

La cena fu molto abbondante e la conversazione molto piacevole, con la musica che faceva da sottofondo. Non appena ci fu Il tuo mondo di Claudio Villa, Jack si mise a cantare il ritornello e – debbo dirlo – fu molto intonato. Intanto alcuni camerieri passarono per servirci la cena. Io proposi di farci ascoltare anche Granada.

«Ah, non sapevo che a lei piacesse Claudio Villa», disse Jack.

La signora di cui non sapevo ancora il nome disse:

«Sì, ha fatto delle belle canzoni, tra cui alcune tratte da brani di musica classica».

«Allora», dissi, «se ne intende anche lei, a quanto pare. A proposito, mi dica il suo nome».

«Nina. Beh, per la verità mi chiamo Anselmina, ma preferisco il diminutivo. E lei?»

Le dissi il mio nome. Nonostante Nina e Jack si fossero beccati, furono insieme allo stesso tavolo. Terminata la cena corsi di sopra, mi cambiai camicia e pantaloni e mi misi giacca e cravatta; tutto era stato preparato ordinatamente da Leandro, ma in camera c’ero andato da solo, perché ormai conoscevo la strada. Quindi scesi e Leandro mi aiutò a sistemare bene la cravatta; per il resto, tutto era in ordine. Infine, tutti mi salutarono. Poi arrivò Aldo.