A Luigia Abbadia
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VII
Cara e gentil penisola
nel riso dei pianeti,
nel bacio delle vergini,
nel canto dei poeti;
5cara e gentil, siccome
il musical tuo nome
proferto in ogni barbara
lingua con dolce suon;
ama costei, che ogn’intima
10aura di tua favella
sente, e la fa dall’agili
corde vibrar piú bella;
ama costei, che tanto
coglie sorriso e pianto,
15quant’è dall’Etna al Vèsulo,
e te lo reca in don.
Ella vagí tra i liguri
fior, sotto l’ombre care
de’ cedri. E i malinconici
20venti, le stelle, il mare,
il turbine, la calma,
tutto sonò in quell’alma;
e una spontanea musica
furono i suoi pensier.
25Si fé’ narrar le istorie
d’Imelda e di Giulietta.
E, in voluttá fantastiche
chiusa la giovinetta,
il doloroso arcano
30pensò del pianto umano,
e in quella facil estasi
pianse, e conobbe il ver.
Con tutti allora il parvolo
suo cor tremò diviso.
35Ebbe pei mesti un gemito,
pei fortunati un riso,
e da quel vario moto
agile, ardente, ignoto,
come da sacra tenebra,
40l’arte, raggiando, uscí.
Cosí questa ineffabile
forza, che sente e crea,
chiude in eterne immagini
la fuggitiva idea;
45ed è vittoria e regno
dell’ispirato ingegno
quella parola artefice,
che al mondo e al ciel rapí.
Ed è parola il gelido
50marmo, la pinta tela;
questo color, quest’impeto,
che il mio pensier rivela;
e la canzon d’amore,
che pria ti nasce in core,
55poi sulle ardenti porpore
delle tue labbra vien.
Canta, sí, canta; e provoca
col musical tesoro
le rigid’alme. Immemore
60di chi l’involga, onoro
l’arte del canto unita
con un pensier di vita,
come fremea sugli attici
campi a Tirteo nel sen.
65Italia mia, di mártiri
divino asil, bagnato
dalle immortali lacrime
di Dante e di Torquato;
misera e sacra terra
70piena d’orrenda guerra,
che die’ retaggio ai popoli
d’ignavia e di dolor;
su te si volve un secolo
lieto di molta speme.
75Ma nel tuo sen combattono
avverse forze insieme.
Voleri accesi e lenti,
coraggi e pentimenti,
pie le parole, e indomito
80l’acre desio dell’òr.
Forse un immenso palpito
in questo dubbio mondo
desterá Dio. Dell’ínclite
acque eridanie in fondo
85fors’è la gemma ascosa,
che all’indolente sposa
piú gloriosi talami
desiderar fará.
E tu, fanciulla, indocile
90degli evirati accenti,
cantar tu possa il cantico
che aspettano le genti!
E in quell’eccelso agone
raccoglierai corone,
95quai non fiorîro al libero
sol della greca etá.