Viaggio sentimentale di Yorick (Laterza, 1920)/XXXV. La traduzione

XXXV. La traduzione

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Laurence Sterne - Viaggio sentimentale di Yorick (1768)
Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
XXXV. La traduzione
XXXIV. I guanti XXXVI. Il nano
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XXXV

LA TRADUZIONE

PARIGI

Nel palchetto assegnatomi mi trovai solo con un discreto francese, vecchio ufficiale: carattere che a me piace, sí perché onoro l’uomo il quale fa piú mansueti i propri costumi, professando un mestiero che rende tristissimi i tristi; sí perché ne conobbi uno... non lo rivedrò piú sulla terra!... E perché non preserverò io una mia pagina dalla profanazione, scrivendovi il suo nome, e dicendo a tutti, ch’io parlo del capitano Tobia Shandy, dilettissimo a me fra le mie pecorelle, e amicissimo mio; alla umanità del quale io, da tanto tempo ch’ei morí, non ripenso, che il pianto non mi sgorghi dagli occhi?1. Per amor suo tutta la schiera de’ veterani è mia prediletta2.

Scavalcai le due file de’ sedili di dietro, e mi posi accanto al vecchio ufficiale francese.

Ei leggeva un opuscoletto (forse il libro dell’opera) con un gran paio d’occhiali. Ma non sí tosto m’assisi, si levò gli

[p. 68 modifica] occhiali, li ripose in una custodia di pelle e se li serbò in tasca col libro. Mi rizzai e gli feci un inchino.

Traduci in qual piú vuoi lingua colta del mondo, significa: — Vedi un povero forestiero che viene nel palchetto. E’ pare ch’egli non conosca veruno; e, quando pur soggiornasse sette anni in Parigi, non conoscerà probabilmente veruno, se tutti, a’ quali ei s’accosta, si terranno gli occhiali sul naso: cosí gli si chiuderebbe l’uscio della conversazione formalmente sul viso, trattandolo peggio assai d’un tedesco. —

Né l’ufficiale francese avrebbe potuto dirmelo a voce piú chiaramente; e dov’ei me l’avesse detto, gli avrei tradotto il mio inchino in francese, rispondendogli ch’io apprezzava la sua gentilezza, e gliene rendea mille grazie.

Non so di verun secreto che piú agevoli il commercio sociale quanto l’impratichirsi di questa specie d’abbreviatura, per tradurre in un batter d’occhio i vari cenni delle fattezze e delle membra, e tutte le loro pieghe e lineamenti tradurli in piane parole. Ed io mi ci sono tanto assuefatto, che, girando per Londra, vo quasi meccanicamente traducendo sempre lungo la via; e mi sono piú d’una volta soffermato dietro il cerchio di quelle persone tra le quali non si dicono tre parole3, e donde riportai meco venti diversi dialoghi che avrei potuto scrivere a penna corrente, e giurarvi.

Me n’andava una sera a un concerto del Martini in Milano, e mentre io poneva il piè sulla soglia di quella sala, la marchesina F*** uscivane in furia, e mi fu addosso che appena la vidi: balzo da un lato per darle il passo, e balza anch’essa e dal medesimo lato; e le nostre teste si picchiano, s’ella non si scansa lestissima per uscire dall’altra parte; e la disgrazia mi caccia per l’appunto a ritôrle il passo da quella parte: saltiamo insieme, torniamo insieme, e via cosí, da farci ridere dietro; e le vidi in volto il rossore ch’io sentiva e non poteva [p. 69 modifica] più tollerare in me stesso; e feci alla fine com’io doveva pur fare alla prima: non mi mossi; e la marchesina non trovò impedimento: ma io non trovava piú modo d’entrare, se innanzi non mi fermava ad accompagnarla per tutto il corridoio con gli occhi, e riparare almeno cosí alla mia colpa. Ed ella si guardò dietro e riguardò; e se n’andava rasente il muro, come per dar luogo a taluno che saliva le scale.

— Oibò! — dissi — questa è traduzione plebea4; posso far ammenda migliore, e la marchesina può giustamente pretenderla, e però m’apre quest’adito: — onde, raggiungendola, la supplicai che mi perdonasse e credesse ch’io non tendeva che a cederle il passo.

— Ed io a lei — rispos’ella, e ci siamo ringraziati scambievolmente. Stava in cima alla scala; e, non vedendole intorno verun cicisbeo5, la pregai che si degnasse della mia mano sino alla porta; e scendemmo fermandoci quasi ad ogni gradino a discorrere e del concerto e del nostro sconcerto.

— Davvero, madama — le dissi, dandole braccio a salire in carrozza — io feci sei sforzi perch’Ella potesse uscire.

— Ed io sei, perch’Ella potesse entrare — diss’ella.

— Se il cielo ispirasse a madama di far il settimo! — le diss’io.

— Con tutto il cuore! — e mi fe’ luogo nella carrozza. Le formalità non prolungano la nostra cortissima vita: entrai senza [p. 70 modifica]

piú; e m’accompagnò a casa sua. E, quanto al concerto, credo che santa Cecilia6 vi fosse, e ne saprà piú di me.

Dirò bensi che l’amicizia ch’io mi procacciai con questa traduzione fu a me piú cara di quante ebbi l’onore di contrarre in Italia7.

Note

  1. Tristano Shandy lasciò scritto che il suo zio Tobia, già vecchio, affliggendosi della prossima morte d’uno che non conosceva, nominò invano il nome di Dio: l’angelo, che nella cancelleria del cielo pigliava ricordo di questo peccato, lasciò grondare una lagrima sulla parola che registrava e la cancellò [F.].
  2. E Yorick, contro il costume degli ecclesiastici, parla sempre con amore degli uomini militari. Vedi nella Vita di Tristano Shandy la morte di Le Fèvre che non si può leggere né rileggere senza lagrima. Ma e Yorick rimase orfanello d’un padre che morí militando [F].
  3. Vedi addietro al cap. xxiv, la postilla alla voce «cerchio» [F.].
  4. Ecco uno de’ due luoghi emendati, di cui si è parlato nell’Avvertimento ai lettori. Il testo ha: «that’ s a vile translation», e Didimo scrisse: «questa è traduzione salviniana», scusandosi con la seguente postilla: «Quest’aggiunto, benché nuovo, è tutto italiano, e calzante e pieno di verità e necessario; e, quand’anche Yorick non avesse avuto in mente il Salvini, egli ad ogni modo intendeva di parlare di quella specie di traduzioni. Ed ho per discolpa di sí fatti anacronismi l’esempio d’un’eruditissima traduzione moderna d’una commedia latina, scritta parecchie decine d’anni prima dei simbolo degli apostoli, nella quale il traduttore, uomo dottissimo della lingua nostra, fa dire a unti pagano: «Torno tra due Credi» [F.].
  5. De’ cicisbei si va perdendo la razza: erano e sono né amanti, né amici, né servi, né mariti; bensí individui mirabilmente composti di qualità negative. Li difende il Baretti nel suo libro inglese The Italians, cap. 3. ma pigliò l’impresa per carità della patria [F.].
  6. Santa tutelare della musica, e celebrata, tra bene e male, da molti poeti inglesi, e divinamente da un’ode di Dryden [F.].
  7. Arturo Young nel suo Viaggio in Italia nomina questa marchesa F***, citando l’avventura di Yorick; non so con quanta verità storica, ma certamente con poca discretezza, se per altro alcune delle nostre gentildonne non aspirano alla celebrità dell’infamia [F.].