Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Lettera XLV

Lettera XLV

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Lettera XLIV Frontespizio della parte seconda
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LETTERA XLV

Ore 9.

Perdonami, Teresa! La mia passione ha funestato i tuoi giorni: ma io fuggirò, poiché la mia lontananza può soltanto rasserenarli.

Vivi felice, e godi almen tu di quella pace ch’io non potrò piú sperare! Che la mia memoria non venga a turbare giammai la tua tranquillitá! Se tu l’esigi, io mi renderò sacro il dovere di non piú scriverti: sepellirò nel mio cuore i miei gemiti, e verserò nella oscuritá della mia solitudine quel pianto che da gran tempo consacro a te sola. Dovunque mi trarranno le mie disavventure, io mi conforterò, dicendo a me stesso: — Sono stato l’amico di Teresa, e sento che il mio cuore è degno di amarla. —

Io non credeva di aver questa costanza... Ti posso lasciare senza morir di dolore a’ tuoi piedi, e non è poco: usiamo di questo momento, finché il cuore mi regge e la ragione non mi abbandona affatto.

Ma la mia anima è tutta sepolta nel solo pensiero di adorarti per sempre; e sará mia unica occupazione il piangere un [p. 141 modifica] bene che non ho mai posseduto e che ho perduto senza speranza.

O angelo, tu mi hai assistito con tanto affetto nella mia breve malattia. Te ne ringrazio di cuore; te ne ringrazio.

Ho meco l’unica tua lettera, che mi scrivesti quand’io era a Padova. Felice tempo! Ma chi l’avrebbe mai detto? Io la rileggo... Solo e sacro testimonio del mio dolore e dell’amor mio, non mi abbandonerá mai, mai; nemmen nel sepolcro.

Tu frattanto accogli il Werther, l’Amalia, la Virginia e la Clarissa. Questi libri, che sono stati i compagni della nostra solitudine, t’ispireranno una dolce malinconia e ti faranno spargere nell’infelice giovane un sospiro di rimembranza. O mia Teresa! questi sono forse deliri; ma l’uomo sommamente misero sente con passione queste cose, che sfuggono a chi è felice: il cuore, quando ha bisogno di consolazione, non ne lascia perdere alcuna.

Addio: perdonami, Teresa,... perdonami.

Scrivo male e di un carattere appena intelligibile: ma ti scrivo arso dalla febbre, con l’anima lacerata, l’idee interrotte e confuse..., il pianto sugli occhi... e la mano che s’arresta a ogni linea.

Che se la mia languente salute, se le mie sventure e la mia tristezza scavassero la fossa a’ miei giovani giorni, soffri ch’io mi renda consolante la morte con la certezza che tu verserai su le mie ceneri una stilla di pianto. Finalmente io sono stato, e lo mi chiamavi l’«amico del tuo cuore»! e sono... sì!

Ah!... adesso io sento tutto il dolore a cui ti lascio! Oh! potessi morirti vicino; oh! potessi almeno morire ed essere coperto dalla terra che coprirá le tue ossa. Addio... addio!