Vae Victis/Parte terza/XXII

XXII

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XXII.


                    «Rockaby, lullaby,
                    «bees in the clover...»

cantava Nurse Elliot, facendo dondolare la culla e guardando distrattamente dalla finestra donde si scorgeva il campanile della chiesa di Bomal e le cime ondeggianti degli alberi nel cimitero.

«Forse,» sospirò Miss Elliot, infermiera della Croce Rossa Americana, «forse questa povera creaturina starebbe meglio se dormisse già laggiù, sotto quegli alberi....»

Quasi in assentimento il bimbo nella culla emise un malinconico vagito. Allora Miss Elliot ricominciò a ninnare la culla ed a cantare.

Il bambino rinunciò subito a gareggiare con quella poderosa voce di contralto e per disperazione si riaddormentò. Non era al mondo che [p. 286 modifica]da sette giorni e, a dir vero, non vi aveva trovato gran che da rallegrarsi; Vi era molto trambusto e canto, poco nutrimento e parecchi dolori di qua e di là.

«Questa è la vita!» gli disse la cicogna che stava ancora sul tetto, ritta su una gamba sola, a riposarsi dal viaggio. «Potevi stare dov’eri!»

«Non si potrebbe tornar via?» pianse il piccino. «Si stava assai bene nell’azzurra landa dell’inesistenza, sdraiati nel calice d’un fiore di loto.»

La cicogna si strinse nelle ali e si pettinò le piume col becco. «Abbi pazienza. La vita dura poco.»

«Quanto tempo dura?» chiese il bambino umano, un poco inquieto.

«Meno di cent’anni,» rispose la cicogna.

Allora il bambino pianse più di prima. «Ma come? Ma perchè dura così poco?»

«Ah, questa stolta, illogica umanità, quanto la disprezzo,» disse la cicogna; e volò via.


Erano arrivate a Bomal dieci giorni prima, Luisa, Chérie e Mirella, dopo un viaggio terribile traverso l’Olanda e le Fiandre. Alla stazione di Liegi Chérie stava così male da muove[p. 287 modifica]re a compassione anche le autorità, che permisero a un’infermiera di accompagnarla fino a Bomal. La buona Nurse Elliot ottenne dalla Croce Rossa il consenso di rimanervi ad assistere l’ammalata fino ad evento compiuto.

Al loro arrivo a Bomal Luisa non era andata direttamente a casa. Le mancava il coraggio di condurvi Mirella. Tremava — ella stessa non sapeva di che. Avrebbe la bambina riconosciuto quei luoghi? Quale effetto produrrebbe sulla piccola anima sensitiva la scossa di tali ricordi?.... Luisa si sentì incapace di affrontare una nuova emozione; le fatiche e le angoscie del viaggio aggiunte alla tormentosa inquietudine, d’ora in ora crescente, per lo stato di Chérie, l’avevano affranta. Decise dunque di condurre Mirella in casa della loro vecchia amica, Madame Doré.

Incerta dell’accoglienza che ne riceverebbe, tremante dei mutamenti che vi potrebbe trovare dopo nove mesi d’assenza, Luisa battè con tremante mano alla porta della «Maisonnette des Lilas.»

Fu Madame Doré in persona che venne ad aprire. Ma era questa veramente Madame Doré? Questa donna dai capelli bianchi, dal volto stralunato, che la fissava senza riconoscerla? [p. 288 modifica]

«Madame Doré! Sono io, Luisa e la piccola Mirella! — Non ci riconoscete?»

La donna sussultò. «Zitta, parla piano. Entra, entra!» E prendendole il braccio la trasse rapida nell’anticamera e chiuse a chiave e col catenaccio la porta di casa.

Il suo sguardo era oscillante, smarrito, e di tratto in tratto uno spasimo nervoso le contraeva il volto.

«Oh, mia cara!» esclamò Luisa, e l’abbracciò piangendo.

Madame Doré la condusse di sopra nella sua camera da letto, ed anche là chiuse la porta a doppio giro: aveva l’ossessione di essere costantemente spiata e vigilata.

Allora sottovoce, tra il pianto, narrò a Luisa la sua terribile storia — Andrea ucciso nella notte del 4 agosto sul piazzale della chiesa; Jeannette, quindicenne, preda della soldataglia tedesca e morta in un ospedale di Bruxelles; Cecilia fuggita in Inghilterra.

Ed a sua volta la triste donna apprese dalle labbra di Luisa il loro triplice martirio.

Col cuore stretto da un’infinita pietà Madame Doré accarezzava i morbidi capelli di Mirella. «Sì, sì; lasciala pure con me. Puoi essere tranquilla sul suo conto. Sarà anzi un grande con[p. 289 modifica]forto averla qui. Ah, se ci fosse anche Cecilia che l’amava tanto!»

«Come mai Cecilia ha trovato il coraggio di partire così, tutta sola?» chiese sommessa Luisa.

«Altre quattro donne di Bomal sono andate con lei. Ve n’era una che aveva dei parenti nella contea di Surrey... Qui Cecilia non poteva più vivere,» singhiozzò la madre, «dopo la morte di Jeannette e di suo fratello Andrea. —» Di nuovo lo spasimo nervoso le contrasse il viso macilento. «Tu sapevi di lui... che l’avevano ammazzato a fianco del nostro povero curato in quella notte....»

Sì, Luisa sapeva. E strinse forte tra le sue le mani scarne e tremanti della vecchia amica.

Parlarono di tutti i loro amici e conoscenti. Su tutti, su tutti era passata la procella, travolgendo, rovinando quelle esistenze, mandandole disperse per il mondo....

«Taci!» sussurrò improvvisa Madame Doré afferrando il braccio di Luisa. «Ascolta! Ascolta!»

Fuori si udivano i passi cadenzati della soldatesca, e un vociar rude, ed imprecazioni e risa.

«Li senti, i nostri padroni?» susurrò Madame Doré stringendosi convulsa a Luisa. «Entrano nelle nostre case quando vogliono, anche [p. 290 modifica]nel cuor della notte. Entrano e frugano da per tutto; portano via i nostri denari; leggono le nostre lettere; ci comandano, consultano a piacer loro. A noi non è lecito nè parlare, nè pensare, nè esistere senza il loro consenso e la loro approvazione. Viviamo sotto la minaccia perenne della prigione o della deportazione. E abbiamo fame... si, abbiamo anche fame! Ah! perchè, perchè non ho avuto il coraggio di partire anch’io? Potevo rifugiarmi con Cecilia in Inghilterra....»

«Era forse meglio,» disse Luisa a bassa voce.

«Che vuoi? Non ho osato abbandonare i miei morti.... E poi mi sentivo così vecchia, così vecchia e spaventata... Ed ora eccomi qui rinchiusa nel Belgio come in un carcere — e Cecilia è lontana e sola!»

Invano Luisa tentò confortarla con parole soavi e tenere carezze. La vecchia donna era colpita al cuore e desolata. Il solo fatto che Luisa, quando era in Inghilterra, non aveva veduto Cecilia nè avuto nuove di lei, le empiva l’animo di sgomento. Chissà che ne era di Cecilia in quel lontano paese, tra quella gente straniera!

«Non temete per lei,» la confortò Luisa. «Non le accadrà alcun male. Gli inglesi sono brava gente.» E, mentre lo diceva, un improv[p. 291 modifica]viso senso di rimpianto, di struggimento quasi nostalgico le morse il cuore. Ah, invero gli inglesi — che brava gente! L’Inghilterra! che porto sicuro, che rifugio di salvezza! Come placida e calma e forte nella sua cerchia di acque grige!...

«Forse,» pensò Luisa ritornandosene sola traverso il villaggio e cercando di schivare lo sguardo di gente estranea e dei soldati tedeschi che camminavano da padroni in mezzo alla via, «forse era meglio rimanere in quel nostro lontano esilio, e non tornar qui per essere alla mercè delle belve che ci hanno conquistate...»

E ripensando a Jeannette, Luisa impallidì.


Frattanto in casa del dottor Brandès l’energica e attiva Miss Elliot non aveva perduto tempo. Data una rapida rivista alla dimora saccheggiata aveva constatato che, sebbene gli invasori avessero portato via argenteria, quadri e ogni altra cosa di valore, restava tuttavia intatta la biancheria di casa, nè mancavano gli utensili domestici più necessari.

Energica e gaia ella accomodò Chérie in un letto candido, le spazzolò i bei capelli e glieli raccolse in due lunghe treccie lucenti; le diede da mangiare del pane e del latte; poi, chiuse le imposte, con un bacio sulla fronte la lasciò. [p. 292 modifica]

Indi si mise risoluta a ripulire la casa; bisognava far sparire il disordine e la confusione prima dell’arrivo di Luisa.

Dal pianterreno alla soffitta la casa era sparsa di piatti sporchi, di bicchieri, di bottiglie, di mozziconi di sigari e di sigarette. Materassi e coperte colle impronte di scarpe fangose ingombravano i pavimenti; cassetti e armadi erano stati vuotati e il loro contenuto rovesciato per terra. Stoviglie, brocche e catinelle d’acqua sporca erano su tutti i mobili — sulle credenze, sulle tavole, sulle sedie.

Miss Elliot pulì, spazzò, vuotò, strofinò, indi aprì tutte le finestre, accese tutti i fuochi nei caminetti — e quando Luisa, ansante e pallida, battè al portone Miss Elliot le aprì con un sorrisetto di soddisfazione. Indi la seguì di stanza in stanza notando commossa il fluttuante raggio di gioia che appariva su quel pallido viso alla vista di tante cose note e care....

Ah, questa era casa sua! Casa sua!... E Luisa guardandosi intorno nell’ambiente famigliare sentì tornarle in cuore — trepida ospite desueta — la speranza.