Trattato completo di agricoltura/Volume I/Vinificazione/3

Fermentazione del mosto

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della fermentazione del mosto.

§ 530. Quando vi parlai della fermentazione, dissi che nei corpi organici l’estinzione della vita o del loro particolar modo di esistere; la separazione e cessata relazione di continuità di una parte col resto del corpo cui appartiene per effetto di un taglio o di una contusione; ed il contatto di sostanze analoghe in istato di decomposizione, induceva in essi quella decomposizione progressiva che dicemmo fermentazione o lenta combustione. Condizione poi indispensabile, perchè abbia luogo questo fenomeno, dicemmo essere la presenza dell'ossigeno dell’aria o dell’acqua, ed un calore superiore a 0° ed inferiore a 100°.

Ora vedremo l’applicazione di questi principj al processo della vinificazione.

Un acino d’uva maturo staccato dal grappolo, senza contunderne o lacerarne la buccia, perderà mano mano la propria umidità, avvizzirà e finalmente disseccherà; ma se invece [p. 519 modifica]vi faremo una minima puntura o lacerazione alla buccia e metteremo per tal modo la sua sostanza interna in contatto dell’ossigeno atmosferico; oppure vi si faccia una leggier contusione, anche senza guastarne la buccia, producendo però uno spostamento anormale nelle molecole della sostanza interna, quest’acino si altererà, e, passando per diversi stadii, putreferà, scomponendosi finchè sianvi combinazioni e circostanze che valgano a scomporle.

Ora l’acino d’uva appartiene ai frutti di sugo dolce; ed i sughi dolci vegetali, abbandonati a sè, subiscono quella specie di fermentazione che dicesi vinosa od alcoolica, perchè il primo risultato di essa è la conversione della materia zuccherina in alcool (spirito di vino). Lasciando però agire ancora sulla loro massa le stesse circostanze, l’alcool si convertirebbe in aceto, altro grado di fermentazione che dicesi acetica; indi l’aceto, decomponendosi esso pure, produrrebbe dei gas putridi, ed avremmo la fermentazione putrida.

Il vinificatore adunque oltre al ben condurre la prima decomposizione o produzione di alcool, deve altresì limitarla, ond’essa non proceda alla acetica, ed alla putrida.

Richiamati questi principj teorici, e riconosciuto che le proporzioni delle sostanze componenti il mosto possono sensibilmente variare, passiamo ad osservare cosa succeda nel tino, onde farci un’idea del come avvenga la fermentazione vinosa, ossia la conversione della materia zuccherina in alcool, nella quale poi consiste il cambiamento del mosto in vino.

Ecco quel che generalmente avviene in un tino ove è posto il mosto. Dopo uno spazio di 12 in 24 ore le vinacce (buccie e graspi) cominciano ad alzarsi ed occupare la parte superiore della massa, la quale prende un maggior volume; contemporaneamente aumenta mano mano la temperatura del mosto, e si ode, o si vede una specie d’ebollizione, sollevandosi alcune bolle, le quali portano alla superficie della schiuma, che rompendosi lascia sfuggire un gas pesante, inetto alla respirazione. Infine, dopo otto o quindici giorni al più, secondo la stagione più o meno calda, l’ebollizione diminuisce e cessa, il volume pure diminuisce, e la temperatura del liquido si abbassa sino ad essere uguale a quella dell’ambiente. Le vinaccie occupano ancora la parte superiore nel tino, ma sotto di esse il liquido è trasparente, non è più dolce, ed invece di zuccaro contiene dell’alcool: il mosto si è fatto vino. Finalmente, sul fondo del tino trovasi un deposito o sedimento, al[p. 520 modifica]quanto più ossigenato del glutine, che prese il nome di fermento insolubile, volgarmente feccia.

Visto il fenomeno della fermentazione vinosa qual ci si presenta ai sensi, esaminiamone l’andamento colla scorta delle cognizioni chimiche. La materia azotata (albumina e glutine) posta, per mezzo della pigiatura, in contatto dell’ossigeno dell’aria, comincia ad alterarsi ed agire come fermento sulle parti vicine, comunicando il proprio stato e la propria facoltà alla rimanente materia azotata. Per tale alterazione il fermento agisce sulla materia zuccherina, la quale abbandona parte dell’ossigeno e del carbonio della sua composizione, che, in forma di gas acido carbonico, si svolge in bolle schiumose, trasportando alla superficie del tino un poco di materia azotata. Ivi questa materia, assorbendo nuovo ossigeno, si precipita sul fondo allo stato insolubile, inerte, nè più capace d’agire come fermento. È poi da notarsi che una volta formatasi la materia che serve di fermento, questa può comunicare la sua condizione chimica e le sue proprietà alla restante materia azotata anche, senza il concorso dell’ossigeno atmosferico, bastando 1/2 di fermento per alterare 100 parti di zuccaro.

Questa azione di ossidamento dell’albumina e del glutine continua sino a tanto che siavi zuccaro da decomporre, o materia azotata non ancora depositata allo stato di fermento insolubile. L’acqua, che pur essa faceva parte del mosto, vi diminuisce di proporzione, servendo alla formazione dell’alcool; ed il bitartrato di potassa, che dapprima era solubile nel mosto, dopo la formazione dell’alcool, si va depositando sul fondo in forma di cristalli, perchè come vedemmo, esso è insolubile nell’alcool.

§ 531. Dall’esposto si vede, che la diversa proporzione dei componenti del mosto porterà non solo una variazione nel processo della fermentazione, ma eziandio sul di lei risultato, ossia sulla qualità del vino.

Epperò, quanto più il mosto sarà ricco di materia zuccherina, perchè di clima caldo o d’uva assai matura, la fermentazione incomincerà più tardi e sarà meno precipitosa e più lunga, per la minor quantità proporzionale di materia azotata che serve di fermento. Nel vino la quantità dell’alcool sarà maggiore, per la maggior quantità di zuccaro decomposto. Il deposito del bitartrato di potassa sarà più copioso, per la maggior proporzione di alcool; e sul fondo del tino vi sarà una [p. 521 modifica]maggior copia di fermento insolubile. Il vino poi sarà più colorito, e potrà essere anche dolce, quando siavi stata una eccedenza di zuccaro, dopo l’essersi tutta la materia azotata deposta allo stato insolubile. Questo vino sarà meno aspro al palato e meno sentirà l’etere enantico, il quale si rende più manifesto ove siavi abbondanza d’acido tartrico, che, in questo caso, si combinerebbe alla potassa per formare un deposito maggiore di bitartrato di potassa.

Quando invece nel mosto, scarso di zuccaro, la materia azotata riesce in proporzione maggiore, perchè l’uva sia di climi meno che temperati, o perchè raccolta in anni freddi o piovosi, la fermentazione sarà più pronta, rapida e breve, formandosi maggior quantità di fermento, ed essendovi invece una minor quantità di zuccaro da decomporre. Minore sarà per conseguenza la quantità dell’alcool contenuto nel vino; minore il deposito di bitartrato di potassa e di fermento insolubile; che anzi, potrà esservi un avanzo di glutine o di acido tartrico, facilmente alterabile nel tratto successivo; ed il vino avrà un colore meno intenso, un odore più sentito ed un sapore più aspro.

Una minore proporzione d’acqua nel mosto ritarda e prolunga la fermentazione; e lo stesso succede per una proporzione eccessiva, fuorchè, in tal caso, il vino è più debole ed il deposito del tartaro resta minore per la maggior quantità del veicolo acquoso solvente.

Da tutto ciò ne consegue, riguardo alla qualità del vino, che, se lo zuccaro dell’uva fu in quantità appena sufficiente perchè il fermento abbia potuto in totalità depositarsi allo stato insolubile, e che la materia azotata, che servì di fermento, sia stata appena bastante per la totale decomposizione dello zuccaro, il vino che si otterrà sarà il più durevole e non aspro, senza esser dolce. Che se all’incontro, vi sarà stata una sovrabbondanza di zuccaro dopo la completa riduzione del fermento allo stato insolubile, il vino resterà dolce, e non si altererà, quand’anche rimanesse per qualche tempo mal difeso dell’aria, poichè non verrebbesi tutt’al più che a convertire parte della restante materia zuccherina in alcool, non variando quindi che nel grado di dolcezza. Ma se, per la scarsità della materia zuccherina, sarà rimasto nel vino un residuo inalterato di materia azotata, esso non potrà rimanere lungamente esposto all’aria senza inacidire, poichè il fermento che formerebbesi, non trovando zuccaro da decomporre, rivolgerebbe la sua azione sull’alcool, e lo convertirebbe in aceto. [p. 522 modifica]

§ 532. In qualunque caso, e con qualunque sorta di mosto, la fermentazione deve cominciare contemporaneamente e lentamente in tutta massa. E perciò esigonsi alcune regole, che in parte abbiamo già osservate.

Infatti si è visto il perchè l’uva, oltre all’essere ben matura e monda dagli acini marci e da altre sostanze che potrebbero comunicare la fermentazione putrida, dev’essere pigiata immediatamente, o più presto che sia possibile. Si è pure osservato che gli stessi motivi inducevano a riempire i tini di mosto in meno di mezza giornata. Ora dirò che in ciascun tino non devesi porre a fermentare una quantità di mosto che sorpassi i 2 od i 3 mille chilogrammi, perchè, quanto maggiore è la massa, l’innalzamento della temperatura prodotto dalla fermentazione riesce maggiore, e quindi più rapido e tumultuosa riesce la decomposizione, più facilmente ineguale, incompleta e breve. La parte solida e liquida deve distribuirsi uniformemente. Per la stessa ragione abbisognerà moderare anche l’influenza della temperatura esterna. La temperatura del locale dovrà essere superiore a 10°, e possibilmente dovrebbe mantenersi tra i 12° ed 15°, onde la fermentazione proceda regolare e lenta. Ciononpertanto la temperatura interna del mosto aumenta gradatamente sino a superare di 10° a 15° quella dell’atmosfera o dell’ambiente. Quanto più le temperature dell’ambiente e del mosto saranno elevate, altrettanto più da temersi sarà l’acidificazione delle vinaccie e del vino.

L’aria deve circolare liberamente nel locale ove succede la fermentazione, allo scopo anche di non permettere un soverchio accumulamento di gas acido carbonico che si sviluppa dai tini. La luce pure deve penetrarvi, avendo anch’essa molta influenza sulle chimiche combinazioni.

§ 533. Ora sorge la quistione, se meglio convenga che il mosto fermenti in tini chiusi od in aperti. Anticamente si faceva fermentare il mosto in tini aperti, ed ottenevansi eccellenti vini; ma oramai, per le cause che voi già sapete, l’uva ha effettivamente deteriorato, matura più a stento, e riesce meno zuccherina e più acquosa; contiene cioè una maggior proporzione di materia azotata. Anzi oggidì, alcuni, conoscendo che una volta incominciata la fermentazione, essa può progredire da sè, senza il concorso dell’aria, soltanto a spese dell’ossigeno della massa fermentante, immaginarono di farla succedere in tini ermeticamente chiusi. [p. 523 modifica]

Noi passeremo in rivista questi due metodi per vedere quale sia il più razionale, ed il più adattato alle nostre circostanze.

§ 534. Quando si fa bollire o fermentare il mosto in tini aperti e riempiti per 4/5 o 5/6, dopo due giorni la parte superiore della massa, detta cappello, è costituita dai graspi e dalle buccie, che, come più leggeri, galleggiano sulla porzione liquida. E siccome abbiamo veduto che la parte zuccherina e colorante in ispecie è aderente alle bucce, così, per introdurre nella massa fermentante queste due sostanze, si pensò di praticare la follatura. E la follatura è quell’operazione per la quale le buccie ed i graspi galleggianti vengono con un mezzo qualunque, respinti ed agitati nella parte liquida, per un tempo più o men lungo, onde la fermentazione levi loro maggior parte di zuccaro e di materia colorante. Una tale operazione qualche volta si ripete, e dopo poche ore i graspi e le buccie riprendono il loro posto superficiale.

Con questo metodo, il contatto dell’aria è libero, e maggiore per conseguenza dovrebbe essere l’ossidazione del fermento ed il suo depositarsi allo stato insolubile; che anzi a quest’uopo taluni suggerirono di fare i tini più larghi in alto che in basso. Ma ad eccezione di questo possibile vantaggio, molti sono gli inconvenienti che presenta un tal modo di fermentazione.

Dissi poi possibile il vantaggio della facile ossidazione del fermento, poichè il più delle volte non può aver effetto. Infatti la parte superficiale, costituita dalle vinaccie, forma un corpo soffice, alto un buon terzo della massa totale, e che impedisce alle bolle gasose che trasportano alla superficie la schiuma o fermento di porsi in contatto dell’aria, perdendosi esse invece per entro le porosità delle vinaccie, senza che il fermento, ossidandosi maggiormente, possa rendersi inerte. Perciò, continuando esso ad agire entro di esse, sorpassa il grado stabilito alla fermentazione vinosa, ed induce quella acetica, causa dell’odor forte piccante, quasi acetoso, che troviamo nel cappello del tino. Altro inconveniente è poi quello di respingere ed agitare queste vinaccie già alquanto inacidite, e talvolta anche ammuffate, nella parte liquida del mosto, cui può comunicare il suo stato chimico, o per lo meno un sapore più aspro, o disaggradevole. Finalmente, terminata la fermentazione, le vinaccie ancora porose, occupando la superficie in contatto dell’aria, prendono un vero odore e sapore acetico, che vien comunicato al vino che se ne estrae colla [p. 524 modifica]torchiatura. E ciò è tanto vero, che si è obbligati a cavar presto il vino dai tini, onde le vinaccie, continuando a rimanere in quella condizione, non inacidiscano affatto; per il che dopo la svinatura abbisogna metterle subito sotto il torchio. A questi inconvenienti aggiungasi che, sebbene parte dell’acqua possa evaporare, anche molte sostanze aromatiche evaporano con essa e coll’alcool che si va formando.

§ 535. Per la fermentazione in tini ermeticamente chiusi, questi vengono riempiti come al solito, fuorchè il tino in seguito si copre, lutandone il coperchio con creta molle in modo che non passi aria; nel mezzo di detto coperchio s’introduce un ordigno follatore, che rimane permanente e girabile, perchè unito con involto di tela cerata. Ma la chiusura ermetica avrebbe l’inconveniente che, condensandosi il gas acido carbonico tra il coperchio e le vinaccie che formano il cappello, potrebbe produrre lo scoppio del tino. Quindi a pervenire un tal guasto si pensò a munire il coperchio d’una valvola di sicurezza, o d’un tubo ricurvo pescante nell’acqua, o d’un tubo a doppia curva a guisa di trombetta, riempito pure d’acqua nella seconda curvatura; onde, tanto nell’un caso quanto nell’altro, il gas acido carbonico eccedente, facendosi strada per questi tubi, esca gorgogliando dall’acqua serviente di valvola. Ma anche questo metodo presenta l’inconveniente che le vinaccie, per quanto non siano in contatto dell’aria, pure riempiendosi della schiuma del fermento, assumono sempre un sapor aspro, che comunicano al vino; oltre che maggiormente è impedita l’ossidazione del fermento e la di lui riduzione allo stato insolubile inerte.

§ 536. Altri modificarono quest’ultima maniera di fermentazione, ed ovviarono ai danni ed agli incomodi della follatura, senza perderne i vantaggi, mantenendo le vinaccie costantemente immerse nel mosto fermentante, in modo che vi sovranuotasse circa un decimetro di parte liquida. E con ciò effettivamente si ottenne di meglio levare alle buccie la sostanza zuccherina e colorante; si evitò il pericolo dell’acidificazione delle vinaccie; s’impedì che in esse s’accumulasse la schiuma del fermento; e si facilitò il contatto di questa coll’aria, potendo le bolle portarsi alla superficie libera superiore del liquido sornuotante. Perciò, quantunque la chiusura ermetica impedisca in parte l’ossidazione del fermento, pure esso non può fermarsi ad impregnare ed inacidire le vinaccie.

Altra conseguenza di questa modificazione, che rese [p. 525 modifica]impossibile l'acidificazione delle vinaccie, e che risparmiò la follatura che la comunicava alla parte liquida, fu che il vino riuscì più colorito e meno aspro anche subito dopo la svinatura, vantaggio assai apprezzabile singolarmente pel vino ottenuto colla torchiatura. Inoltre la svinatura potè farsi anche molti giorni dopo cessata la fermentazione, essendo tolto il pericolo dell’ulteriore alterazione delle vinaccie.

Per mantenere le vinaccie entro il mosto liquido si usa d’un coperchio che penetri nel tino, e che nell' egual tempo che comprime le vinaccie, permetta alla parte liquida di passare per disopra onde ne sia coperto per circa un decimetro. Perciò si praticano dei fori nel coperchio, o si lascia una fessura fra i varj pezzi d’asse che lo compongono. Perchè poi il coperchio conservi tale posizione, vi si obbliga mediante puntelli fissi al tino, o col sovrapporvi un peso proporzionato allo sforzo che esercitano le vinaccie per venire alla superficie, siccome di minor peso, e perchè rese ancor più leggiere dalle bolle gasose sviluppantisi durante la fermentazione (fig. 155). 155.

Voi mi domanderete quale fra questi due metodi sia il migliore; ed io vi rispondo che nessuno soddisfa alle condizioni delle nostre uve. Col primo abbiamo la facile acidificazione [p. 526 modifica]dei graspi, un disperdimento d’alcool, di aromi, ed un vino più aspro, senza avere un’abbondante ossidazione del fermento; col secondo, dei tini chiusi con follatore, si hanno in parte gl’inconvenienti del primo, più un’assoluta minore possibilità che l’abbondante fermento possa facilmente ossidarsi, per l’impedito contatto dell’aria. La modificazione del tener compresse le vinaccie presenta i grandi vantaggi che abbiamo ai già enumerati, fuorchè, per la perfetta chiusura, resta ancora di molto impedita l’ossidazione della schiuma che si solleva alla superficie.

Alcuni credono che facendo fermentare il mosto in tini chiusi ermeticamente, il vino si renda migliore perchè trattenga il gas acido carbonico. Ma questa opinione è falsa. Il gas acido carbonico all’ordinaria pressione atmosferica non può condensarsi nei liquidi, e quello che in forma di spuma si svolge da certi vini, come anche da altri liquidi composti, per esempio dalle acque di sedlitz, proviene dalla decomposizione che subiscono alcune sostanze appena che vengano in contatto dell’aria, e che nel nostro caso non sarebbe altro che gas acido carbonico sviluppantesi per una rapida decomposizione della materia zuccherina contenuta nel vino, la quale, in uno stato assai suddiviso, trovasi già in contatto con una rimanenza di materia azotata o fermento, e quindi pronta a decomporsi appena che siavi il concorso dell’ossigeno dell’aria. Infatti questo fenomeno succede naturalmente nei vini d’uva non troppo matura dei climi temperati, nei quali esiste ancora un poco di fermento non ancora insolubile; i veri vini dolci nei quali non evvi tale avanzo non fanno spuma, ossia non isvolgono gas acido carbonico. Che poi questo sviluppo gasoso, questo spumeggiare dei vini non sia assolutamente un indizio di bontà, ognuno potrebbe accorgersene, poichè scomparsa la spuma, questi vini restano vuoti di sapore e più deboli degli altri che loro si possano paragonare: spuma l’acqua di sedlitz che vi citai, spumerebbe dopo qualche tempo l’acqua pura imbottigliata con un qualche grano di frumento ed un poco di zuccaro, ecc., e credo che voi non preferireste queste bibite al buon vino non ispumante.

§ 537. Togliamo ora la parte razionale d’ambedue i metodi, e ne avremo uno adattato alle circostanze del nostro clima, ossia alla qualità del mosto che si ottiene colle nostre uve. Noi abbiamo bisogno di tener conto della minima quantità di zuccaro e della parte colorante, nonchè di procurare [p. 527 modifica]il modo onde venga resa insolubile la soverchia proporzione di fermento, costituita dalle materie azotate. Al primo intento useremo la compressione delle vinaccie nel mosto, per cui, sottoposte continuamente all’influenza della fermentazione, la parte zuccherina e colorante, che abbiam visto essere per la maggior parte aderente alle buccie, meglio si stacchi e passi nella parte liquida del mosto. Pel secondo scopo, cioè per ottenere la massima ossidazione del fermento, già si è fatto molto, poichè surnuotando il liquido alle vinaccie, la schiuma viene alla superficie libera del liquido, e per ciò meglio potrebbe ossidarsi. Ma perchè avvenga questo fatto è indispensabile di lasciar libero l’accesso dell’aria nell’interno del tino, proscrivendo la chiusura ermetica adottando invece una semplice copertura.

Comportandoci in questo modo avremo adunque il vantaggio di rallentare e rendere più uniforme e completa la fermentazione; di risparmiare la follatura, e di avere un vino meno aspro e più colorito, perchè la parte zuccherina e colorante viene meglio dalla fermentazione alterata o tradotta nella parte liquida, e perchè i graspi o vinaccie non possono inacidire, nè fa bisogno di agitarle colla follatura nella rimanente parte del mosto. Si otterrà la massima ossidazione del fermento, potendo esso portarsi alla superficie libera del liquido; e non saremo poi obbligati a cavar vino troppo presto, per timore che le vinaccie formanti il cappello possano inacidire. Finalmente il vino della torchiatura sarà esso pure meno aspro e più colorito.

Si fa l’obbiezione, che tenendo compresse le vinaccie nel mosto, va perduta una parte del primo vino e si aumenta invece la quantità di quello espresso colla torchiatura. Questo è verissimo, ma la perdita del primo vino non è di gran rilievo, ed è abbondantemente compensata dalla migliore qualità di quello che si ottiene colla torchiatura. Solo nei climi caldi potrebbe suggerirsi la chiusura ermetica dei tini, allo scopo invece che tutta la materia azotata agisca e si renda insolubile per effetto della sua azione sullo zuccaro che trovasi in abbondanza, e non già pel libero contatto coll’aria.