Trattato completo di agricoltura/Volume I/Coltivazione del gelso/4

Propagazione del gelso

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propagazione del gelso.

§ 576. Il gelso ordinariamente si propaga per semente, e la nuova pianta, che per tal mezzo se ne ottiene, dicesi selvatica, poichè, come sapete, le piante originarie d’altri climi e singolarmente di climi più caldi, propagate per seme, perdono in parte i loro caratteri speciali primitivi, ed acclimatizzandosi modificano la loro costituzione sulle nuove circostanze (§ 302).

I semi devono essere colti da piante robuste, non troppo vecchie nè troppo giovani, possibilmente da rami che abbiano due anni, e la cui foglia sia delle migliori varietà, cioè, consistente, ampia, liscia, e non facile a macchiarsi o soffrire per contrattempi atmosferici. Non essendo poi il gelso una pianta che porta fiori ermafroditi, ma sibbene fiori maschi e fiori femmine separati fra di loro, e che il più delle volte abbondano i fiori femmine, così abbisognerà avvertire che sulla stessa pianta o su piante vicine sianvi dei fiori maschi, altrimenti ì semi sarebbero infecondi, e per conseguenza non nascerebbero.

La raccolta dei frutti si deve fare scuotendo la pianta acciò cadano soltanto i più maturi. Raccolti i frutti, si passa a schiacciarli nell’acqua, allo scopo di separarli dalla parte polposa, usando delle mani onde non infrangere i semi. I semi fecondati riescono i più pesanti e vanno al fondo del recipiente, quelli infecondi o mal costituiti galleggiano, e per tal modo, decantando l’acqua, si conservano soltanto quelli che si depositarono sul fondo. Questi semi poscia si distendono all’ombra, ed in luogo arioso per farli asciugare.

Per conservare i semi del gelso sino alla vegnente primavera, sarebbe bene il mescolarli a sabbia ben secca, e tenerli in luogo fresco, asciutto, e riparato possibilmente dal contatto dell’aria, e più ancora dalle vicende atmosferiche. Questo seme soffre assai facilmente e ben di rado conserva la facoltà di germogliare dopo un anno.

Per ciò, quando si possa, è sempre meglio seguire l’ordine naturale; e seminare in quel tempo che i frutti cadono [p. 570 modifica]spontaneamente. Quest’epoca generalmente è nel mese di giugno. Epperò, preparato convenientemente il terreno, si faccia la semina, subito dopo che si raccolsero i semi sul fondo del recipiente in cui vennero schiacciati i frutti, senza tampoco lasciarli asciugare all’ombra.

Qualora poi si volessero seguir meglio i precetti naturali nella semina del gelso, che lascia cadere il frutto in una stagione caldissima ed ordinariamente asciutta, dovrebbesi seminare il frutto intiero, colla propria parte polposa, la quale servirebbe a mantenere l’umidità necessaria al rammollimento degli involucri del seme, ed alla prima germinazione. Un’altra cautela da usarsi seminando in quest’epoca, è quella di mantenere il seme all’ombra, come se fosse riparato dall’ardore dei raggi solari per mezzo delle frondi della pianta madre. Perciò, sul terreno seminato, si disporranno delle stuoje, o dei cannicci, alti un metro da terra; come pure vi si potrà supplire ricoprendo il terreno con foglie secche, con paglie e stramaglie, con frondi rivestite di foglie e conficcate nel terreno; oppure anche seminando assieme, o fra gli spazi, delle altre erbe che nascano e crescano prima del gelso, quali sono il miglio, la canapa, ecc.

In quest’epoca la semina, fatta con semi fecondi, può dirsi sicura; ed allorquando si temesse di forti geli nel verno, si potrà ricoprire il seminato con stramaglie, eriche o brugo, ma non consiglierò mai di aspettare la vegnente primavera per disporre le sementi nel terreno. Oltre alla facilità di guastarsi che hanno questi semi, se la semina vien fatta presto in primavera, il caldo non è sufficiente per la loro pronta germinazione, si rammolliscono, si alterano e marciscono nel terreno; e talvolta le forti e continuate piogge, oltre al raffreddare di troppo il terreno, lo indurano e vi formano una crosta superficiale, che i semi nascenti non possono rompere, e che difficilmente si potrebbe togliere senza manometterli.

Il terreno da disporsi pel semenzajo dev’essere piuttosto sciolto, lavorato profondamente, mondo dalle erbe cattive, ed ingrassato discretamente con letame minuto. Questo terreno si divida in varie ajuole, larghe non più di 1m,25; ed in esse si traccino 4 linee o solchetti, distanti fra loro 0m,25 e profonde 0m,03, disponendovi poscia a mano i semi od i frutti; in seguito si ricopra leggermente appianando la terra col rialzo dei solchi; e si difenda il seminato dall’azione dei raggi solari. [p. 571 modifica]

Fra un’ajuola e l’altra si mantenga un solco piuttosto profondo, largo 0m,25, il quale serva a dar passaggio a chi deve lavorare, ed a praticare un’irrigazione per imbibizione, quando vi sia l’opportunità ed il bisogno.

Nati i piccoli gelsi, e fattisi abbastanza robusti, quando abbiano da quattro a cinque foglie, si devono mondare dalle erbe nate casualmente sulle ajuole, oppure seminate espressamente a difesa degli ardori del sole. Poscia si diradano in modo che tra l’uno e l’altro vi sia almeno una distanza di 0m,15; indi, maggiormente rinvigoriti, si zapperanno leggermente; e così, continuando a tener monde le ajuole dalle erbe cattive ed a zappare diligentemente, le tenere pianticelle, pel mese di ottobre, possono raggiungere un’altezza di 0,20 e più, per il che riescono abbastanza robuste da resistere al freddo dei nostri inverni.

§ 577. Nella seguente primavera si può procedere all’impianto del vivajo, levando in tutto od in parte le pianticelle dal semenzajo, avvertendo, in quest’ultimo caso, di ripiantare una linea sì ed una linea no in modo che anche nel semenzajo siavi in appresso una distanza di 0m,50 fra linea e linea. Nella stessa linea lasciata si levino poi tanti gelsetti per cui risulti un distanza di 0m,75 circa tra l’uno e l’altro.

Per formare il vivajo, tanto si può lavorare intieramente il terreno per divelto, quanto si possono fare tante fossatelle larghe 0m,25, e profonde altrettanto e distanti 0m,75 fra loro. Epperò sarà sempre meglio lavorare completamente il terreno, ripiantando i gelsetti alla debita distanza. In questa maniera il terreno resta meno compresso dai piedi, e le radici possono in seguito più facilmente distendersi.

Nelle fossatelle o nelle linee che mano mano si tracciano nel divelto, si dispongono i gelsetti, distanti fra loro 0m,75, ben mondi dalle radici guaste, tagliando loro quella parte del fittone che oltrepassasse la lunghezza di 0m,10, o piegandolo da un lato qualora non fosse nè troppo consistente nè soverchiamente lungo. Questa operazione nel gelso si fa a due scopi. Il primo, più essenziale e ragionato, è quello che noi non vogliamo allevare il gelso come una pianta da cima, ma piuttosto bassa come una capitozza che faccia molti rami laterali; e perciò, come si è detto al § 4 e 5, abbisogna disporne le radici in modo che ramifichino ai lati, onde anche la parte ramosa più facilmente ne imiti la disposizione. L’altro scopo è poi quello di tenere le radici possibilmente [p. 572 modifica]superficiali, onde potere più facilmente levare le piante dal vivajo, senza romperle o guastarle.

Nell’interrare i gelsetti nel vivajo, s’avverta di stenderne e dividerne con diligenza le radici da ciascun lato, frammischiandole a terra ben scorrevole, in modo che tutte le involga senza comprimerle o ravvicinarle, e che non restino dei vuoti.

Finito l’impianto, con una tanaglia si tagliano le pianticelle ben presso terra. Usando del falcetto si correrebbe pericolo di svellerle o di scuoterne le radici. Anche quelle rimaste nel semenzajo, cui si diede pure una distanza di 0m,50 tra linea e linea, e di 0m,75 fra pianta e pianta, si dovranno tagliare presso terra, e poi si zapperanno.

Sviluppatesi le gemme in basso a fior di terra, se ne lascerà una sola per pianta, staccando le altre quando sono ancor tenere onde non produr lacerazioni sulla giovane corteccia. L’unica gemma che si è conservata si allevi dritta, levandole tutti i ramicelli laterali, mano mano che si sviluppano quando sono ancor teneri, senza levare la foglia presso la quale sorgono. La rimondatura di quest’ultima cacciata si faccia soltanto sino all’altezza di 1m,50 circa, permettendo che al di sopra allarghi e distenda anche le cacciate laterali.

Continuamente poi si tengano mondi dalle erbe il vivajo ed il semenzajo ridotto a vivajo, zappando frequentemente quando la terra non sia troppo bagnata, nè troppo indurita dalla siccità. Così facendo le pianticelle lasciate nel vivajo daranno sicuramente una cacciata di metri 1,75, che è un’altezza più che sufficiente per formar l’asta ossia il tronco del futuro gelso. Quelle del vivajo, se il terreno sarà stato ben lavorato, concimato discretamente, e che la stagione non sia stata troppo arida, o che siasi potuto irrigare, arriveranno anch’esse ad un’altezza di metri 1,50, tanto più se si avrà avuto cura di togliere frequentemente i ramicelli laterali. Le cacciate che non avessero potuto raggiungere un’altezza di 1m,30, si dovranno nuovamente recidere presso terra, che, nel secondo anno, rinnoveranno certamente una cacciata abbastanza lunga.

Avutasi una cacciata maggiore di 1m,50, si continuerà per due o tre anni successivi a tenerla monda dai rametti laterali almeno sino all’altezza di 1m,30, lasciando intatto il resto che forma la cima. Siccome poi l’asta, o futuro tronco, non è per anco robusta da sostenere il fiocco della cima, così la si sostiene e raddrizza assicurandola ad un palo. [p. 573 modifica]Contemporaneamente si deve inoltre zappare il vivajo tre volte all’anno, e tenerlo mondo dalle cattive erbe. In tal modo, in quattro o cinque anni dopo la semina, avremo un gelso abbastanza robusto da potersi trasportare nei campi.

Un aro (100m quad.) può contenere 125 gelsetti, che a cent. 50 ciascuno, darebbe circa fr. 60; dai quali dedotte le spese di semina e di coltivazione per cinque anni, calcolabili a fr. 15, resteranno fr. 45 di prodotto netto per ogni aro, ossia fr. 4500 all’ettaro, ogni cinque anni, o fr. 900 ogni anno.

§ 578. Ho detto che per mezzo della semina il gelso, acclimatizzandosi, subiva delle modificazioni. Eccovi pertanto un confronto fra i caratteri d' un gelso innestato e d’un altro nato da seme, detto selvatico.

GELSO INNESTATO.

Legno di fibra larga, midollo grande, visibile anche il 2.° anno. Si recide facilmente.

Rami annuali lunghi, con quasi nessun rametto laterale; nodi assai distanti fra loro; i teneri germogli di 5 ad 8 foglie si staccano facilmente.

Foglie larghe, acquose, liscie, consistenti, e che si staccano facilmente senza lacerare la corteccia.

Corteccia liscia, sottile, e che si stacca facilmente dal legno.

Il legno di due anni porta frutti grossi, ma con pochi semi maturi.

GELSO SELVATICO.

Legno più compatto, midollo piccolo, che scompare il 2.° anno. Più resistente al taglio.

Rami più corti, con rami laterali quasi ad ogni nodo; nodi più ravvicinati; i germogli si staccano difficilmente, e se ne lacera la corteccia.

Foglie più piccole, quasi sempre divise, meno acquose, meno consistenti, ma che si staccano difficilmente senza lacerare la corteccia.

Corteccia più rugosa, grossa, e che difficilmente si distacca dal legno.

Il legno di due anni difficilmente porta frutti, e questi sono più piccoli, ma più abbondanti di semi e più maturi1.

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Egli è perciò che si riconobbe necessario l’innesto per mantenere almeno alcuno dei principali caratteri, cioè la maggior larghezza delle foglie, e la facilità di coglierla prestamente senza guastare i rami.

§ 579. Ma voi sapete che per mezzo della talea, della propaggine e della margotta si possono conservare i caratteri primitivi di molte piante di climi migliori, che propagate invece per semi si modificherebbero al punto di non riconoscerne la somiglianza; epperciò molti suggeriscono questi mezzi per conservare i caratteri nella propagazione del gelso.

La talea (vedi fig. 72, 73) quantunque venga indicata da molti, si può ritenere come poco conveniente per la sua difficile riuscita nelle ordinarie varietà di gelso, ad eccezione del gelso delle Filippine, il quale può propagarsi anche per occhi o gemme (fig. 71), come vedremo in appresso.

§ 580. Un metodo assai migliore è la propaggine. La margotta esige troppe cure, e non è altro infine che una propaggine fatta sopra terra.

Per la propaggine si procede trattando un giovane gelso come ho indicato al § 309 parlando del così detto vivajo perpetuo o chinese (fig. 97).

I polloni che si ottengono devono essere staccati d’anno in anno, per non scemare il vigore del ceppo madre, e per lasciar maggior spazio ai rami, che, sorti da esso, devono essere nel venturo anno propagginati al posto dove erano quelli dell’anno prima.

Note

  1. Reso indispensabile l’innesto, alcuni preferiscono seminare il frutto od il seme della pianta selvatica per maggior sicurezza dell’operazione, e per ottenere una pianta sempre più robusta.