Trasformazioni industriali e trasformazioni linguistiche nel cinema americano del dopoguerra/Capitolo 2 - Struttura industriale del cinema americano degli anni Settanta/Il sistema di produzione


Capitolo 2 - Struttura industriale del cinema americano degli anni Settanta
2.4 Il sistema di produzione

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Capitolo 2 - Struttura industriale del cinema americano degli anni Settanta
2.4 Il sistema di produzione
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I criteri ai quali il sistema produttivo americano si è conformato negli ultimi dieci anni sono radicalmente diversi da quelli che aveva seguito negli anni '50 e '60. Ciò che allora interessava ai Moguls era la produzione di film che, come annunciava la pubblicità, "non potrete mai vedere in TV". Da qui venne lo stimolo per il riacutizzarsi della megalomania di Hollywood, del suo culto per la grandiosità. Sulla base di questa comune politica di produzione le Majors si diedero battaglia producendo un kolossal dietro l'altro, finché il palese insuccesso di queste super-produzioni non le lasciò sul lastrico. Ma intorno agli anni. '70, in seguito alla ristrutturazione dell'industria cinematografica e alla sua più stretta integrazione nell'apparato economico degli U.S.A., i nuovi manager di hollywood hanno elaborato una concezione gestionale che tiene ben presenti le esigenze e tale comunque da non affidare più nulla, o quasi, alla fatalità degli eventi. Essi fanno fronte agli ineliminabili rischi della produzione attraverso la scelta accurata dei temi e delle sceneggiature, attraverso i sondaggi circa i gusti e i desideri del pubblico, ed infine attraverso il costante controllo dei "budgets" dei film in cantiere; non si tollerano più, come accadeva troppo spesso in passato, l'imprevedibile aumento delle spese di produzione oppure il volatilizzarsi degli incassi. Sebbene importanti, queste però non sono che le caratteristiche più superficiali di un sistema di produzione che negli ultimi anni si è dimostrato quanto mai ligio ai duri criteri della serialità e della spettacolarità. In questi due termini ci sembra che possano essere riassunte molte delle cose nuove e delle cose vecchie della recente produzione hollywoodiana. Questa se da una parte si è tipicizzata sempre più come un'attività industriale, dall'altra ha permesso più che in altri periodi una relativa libertà d'espressione, come dimostrato dalla molteplicità dei temi e dalla diversità degli stili con cui questi temi sono stati trattati. Si è spesso osservato da più parti quanto il sue cesso della "New Hollywood" si fondi su una caratteristica comune a tutti i suoi film, e cioè la presenza costante di un certo grado di spettacolarità, lasciata emergere attraverso le maglie di un ineccepibile rigore professionale, deducibile dalla ricchezza tecnologica, dalla cura dell'ideazione e dall'esattezza dell'esecuzione. In effetti, al di là delle particolarità di ogni autore, Hollywood si è sempre preoccupata di esaltare una qualità propria dello spettacolo, vale a dire la capacità di essere intrattenimento per il pubblico, anche laddove i temi meno si presterebbero a questa operazione. Anche i nuovi autori sembrano tutti aver capito questa regola fondamentale. Tuttavia, sebbene non siano affatto da tralasciare queste considerazioni, dal punto di vista industriale ci sembra che la ragione prima del rinnovato proselitismo di Hollywood vada ricondotta alla strategia della produzione in serie. L'esperienza delle Majors ha ormai confermato che se la carriera di un singolo film continua a costituire una grossa incognita per i produttori e i distributori, al contrario la percentuale di rischio, comunque insita nella realizzazione di un film, diminuisce allorquando non si tratta più di un solo film, bensì di una serie di film. Il concetto viene ribadito da una dichiarazione di E. Gerard, uno dei dirigenti della Warner : "E' un cattivo affare e un cattivo investimento se si fanno uno o due film all'anno; è un ottimo affare e un buon investimento se ne fate 10 o 15 e disponete di una rete di distribuzione"(14). In altre parole, producendo una serie di film basta che due o tre abbiano un buon successo perché gli altri ne ricavino un beneficio. Questo tipo di film in grado di tirare sul mercato viene chiamato "block buster, e rappresenterebbe dunque una specie di accelerazione di successo per gli altri film della serie. Un classico esempio di "block buster" è stato Jaws (Lo squalo, 1975: regia di S. Spielberg, produzione Zanuck/Brown, distribuzione Universal). Il suo costo di produzione si aggirava sui 9 milioni di dollari, ma ha registrato un incasso mondiale di 200 milioni di dollari (15). Insieme a pochi altri titoli viene considerato dagli specialisti la causa fondamentale della definitiva ripresa industriale di Hollywood negli anni '74 e '75. Nel 1977 la situazione si è ripetuta più o meno negli stessi termini con Star Wars (Guerre stellari, 1977: regia di G. Lucas, produzione Gary Kurtz, distr buzione 20th Century Fox): nel breve giro di due mesi recuperò i suoi costi di produzione che ammontavano anch'essi a 9 milioni di dollari (16). Questa cifra si colloca alquanto al di sopra del costo medio di un film americano nel 1977, calcolato a 5,4 milioni di dollari. Ma il costo medio tende a salire. Stando a quanto fa rilevare Jack Valenti, presidente della MPAA, nel suo di scorso alla convenzione annuale della "National Association of Theatre Owners", già nel 1978 il costo medio di un film sarebbe salito a 6,4 milioni di dollari. L'aumento troverebbe la sua giustificazione al di fuori dei costi di produzione, tra i costi di distribuzione, che includono, oltre le spese per le copie, anche quelle per la pubblicità ed il marketing, ormai estremamente necessarie al lancio di un prodotto sul mercato di qualsiasi paese. A questo fenomeno ha perciò fatto riscontro una riduzione drastica della produzione, che negli ultimi tre anni ha fatto fatica a superare i 200 film all'anno. Per avere un termine di confronto, bisogna tener presente che la produzione europea supera i 700 film all'anno, e addirittura la Francia e l'Italia hanno prodotto rispettivamente 187 e 238 film all'anno negli ultimi tre anni. Bisogna dunque concludere che la tendenza del cinema americano ad un decremento produttivo, già manifestatasi negli anni '50 e '60, ha subìto addirittura un'accelerazione nell'ultimo decennio (cfr. TAB.5 pag. 82). A differenza di allora però, l'attuale decremento non è dovuto ad una crisi finanziaria o alla difficoltà di reperire presso le banche i soldi necessari agli investimenti, ma è il risultato di un attento calcolo sui costi di distribuzione, oltreché sulle probabilità di successo di un certo film in un certo momento su un particolare mercato. Sempre a proposito della scarsità della produzione, si è spesso rimproverato alle Majors, soprattutto da parte degli esercenti, il non reinvestimento dei soldi ricavati dagli incassi cinematografici nella produzione di nuovi film, preferendo destinare quelle somme ad investimenti estranei all'industria del cinema. A ciò le Majors rispondono che non sarebbe altro che una perdita di soldi, dal momento che esse si limitano semplicemente a rispondere alle esigenze del mercato e non intendono assolutamente sovraccaricarlo di prodotti. Questo invece, fu quello che accadde nel 1970. In quell'anno Hollywood aveva sovrapprodotto ed immagazzinato in eccesso. Claude Degand, nel suo già citato articolo, stima a "1.200 milioni lo stock dei film delle Majors di fronte ad un mercato mondiale che garantiva appena 750 milioni, vale a dire 400 sul mercato interno e 350 su quello estero. La reazione ragionevole che si impose negli anni seguenti fu di riportare questo stock a un valore rapportato alle possibilità del mercato, cioè intorno ai 600 milioni..."(17). In aggiunta a questo, il tenere sotto controllo le spese e l'investire in settori esterni contribuisce al raggiungimento di una tranquillità finanziaria che non manca di seminare fiducia negli operatori di borsa, a tutto beneficio dell'industria del cinema. Tuttavia il successo del cinema americano degli anni '70 non può essere attribuito esclusivamente ad un'oculata concezione gestionale. Essa sarebbe comunque troppo conservatrice, troppo poco dedita all'assunzione di rischi per poter incrementare il proprio successo. Probabilmente senza l'azione degli indipendenti non si sarebbero raggiunti gli attuali risultati. Essi hanno svolto una funzione eminentemente innovativa, sia riempiendo coi loro film a basso costo quella parte di mercato lasciata naturalmente sguarnita dalle Majors, sia contribuendo non poco alla formazione di talenti nuovi che hanno poi rialzato coi loro film le sorti del cinema statunitense. Coppola, Lucas, Scorsese, Bogdanovich, Milius, ecc., prima di arrivare al successo, hanno avuto all'attivo una lunga militanza nelle Mini-majors e tutt'ora tengono particolarmente alla propria autonomia dagli Studios. La presenza degli indipendenti finisce per essere, insomma, una garanzia della continuità del ricambio, quel ricambio che in Europa trova difficoltà ad attuarsi oppure avviene quasi per caso, nonostante che il numero dei film prodotti sia più alto, e sia più alto anche il numero delle case produttrici. Ma oltre alle Mini-majors si è rivelata essenziale anche l'iniziativa di un altro genere di produttore in