Terza parte del Re Enrico VI/Atto primo

Atto primo

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il


RE ENRICO VI





ATTO PRIMO




SCENA I.

Londra — La sala del Parlamento.

Suono di tamburi. Una parte della soldatesca di York entra a forza; quindi tengono il duca di York, Eduardo, Riccardo, Norfolk, Montague, Warwick, ed altri, colle rose bianche sugli elmi.

War. Meraviglio come il re siasi sottratto alle nostre mani.

York. Mentre inseguivamo la cavalleria del nord egli è scomparso destramente, abbandonando i fanti; e nondimeno il gran Northumberland, il cui orecchio guerriero non potè mai soffrire il suono d’una ritirata, animava il suo esercito invilito, e con Clifford e Stafford investiva il nostro centro, finchè veniva ucciso dai nostri soldati.

Ed. Il padre di lord Stafford, duca di Buckingham, è pure ucciso, fieramente ferito: io gli fransi l’elmo con un colpo, e per prova, mio padre, mirate questo ferro. (mostrando la spada)

Gior. Ed ecco, fratello, in questa mia il sangue del conte di Wiltahire che affrontai al principio della mischia.

Ric. Parla tu per me, e di’ quello che feci. (gettando per terra la testa del duca di Sommerset)

York. Riccardo, tu hai meritato meglio di ogni altro dei miei figli. — Oh! è morta Vostra Grazia, milord di Sommerset?

Nor. Così muoiono tutte le speranze dei posteri di Giovanni di Gaunt! [p. 150 modifica]

Ricc. In egual guisa io spero di abbattere la testa del re Enrico.

War. E io pure confido in ciò. — Vittorioso principe di York, fino a che io non ti regga seduto sul trono che ora usurpa la casa di Lancastro, fo voto al Cielo che questi occhi non si chiuderanno. Questo è il palazzo del timido re, e questo il regal seggio: impadroniscitene, York, perchè è tuo e non degli eredi di Enrico.

York. Assistimi dunque, Warwick, e lo farò; perocchè noi non entrammo qui che per forza.

Nor. Tutti vi assisteremo; muoia colui che vi diserterà.

York. Grazie, gentile Norfolk; state con me, milordi; e voi pure, soldati, non mi lasciate per ora.

War. E quando il re venga non gli fate alcuna violenza, a meno che non cerchi di discacciarci. (i soldati si ritirano)

York. La regina ha convocato per questo giorno il Parlamento, ma ella non crede che noi ne faremo parte: colla voce o colla spada sosteniamo i nostri diritti.

Ricc. Armati come siamo fermiamoci qui.

War. Questo Parlamento si chiamerà Parlamento di sangue, se pure Plantageneto duca di York non divien re, e il vile Enrico, che ci ha renduto favola dei nemici, non è deposto.

York. Non mi lasciate, miei lórdi; siate risoluti; io intendo prender possesso de’ miei diritti.

War. Nè il re, nè alcuno de’ suoi più zelanti partigiani, di quei più fieri che sostengono la casa di Lancastro, oserà far motto se minaccia Warwick. Porrò Plantageneto sul trono: vedremo se alcuno osa strappamelo; sii fermo, Riccardo, e rivendica la corona d’Inghilterra. (Warwick conduce York sul trono, squillo di trombe. Entrano il re Enrico, Clifford, Northumberland, Westmoreland, Exeter, ed altri con rose rosse sugli elmi)

Enr. Guardate, miei lórdi, dove quell’audace ribelle si è assiso! Sul trono dello Stato! Certo egli intende, sostenuto dalle forze di Warwick, pari traditore, rapirmi la corona, e regnar sovrano. — Conte di Northumberland, ei ti uccise il padre, e il tuo anche uccise, lord Clifford: entrambi giuraste di vendicarvi sopra di lui, sui suoi figli, sui suoi protetti, sui suoi amici.

Nort. Se nol farò, il Cielo mi maledica!

Cliff. È con tale speranza che Clifford ha coperto di bruno questa armatura. [p. 151 modifica]

West. Dobbiam noi soffrir tanto? Strappiamolo di là: il mio cuore avvampa di collera; troppa è la tracotanza.

Enr. Sii paziente, gentil conte di Westmoreland.

Cliff. La pazienza è pei vili come colui che non avrebbe mai osato assidersi colà se vostro padre fosse vissuto. Mio grazioso lord, assaliamo qui entro la famiglia di quel traditore.

Nort. Lodo la tua idea, cugino; poniamola in atto.

Enr. Ah! non sapete che la città li ama, e che han molte schiere con loro?

Ex. Ma quando il duca sarà ucciso esse fuggiranno.

Sur. Lungi da me il pensiero di fare di questo Parlamento un luogo di carnificina! Cugino di Exeter, la voce autorevole, le parole e le minaccie saranno le sole armi che Enrico adoprerà contro di essi. — (si avanzano) Sedizioso duca di York, discendi mio trono, e inginocchiati a’ miei piedi per implorar grazia. Io sono il tuo signore.

York. Erri; son io il signor tuo!

Ex. Per vergogna, discendi, ei ti fece duca di York.

York. Era mia eredità, come fu la contea.

Enr. Ma tuo padre era stato traditore alla Corona.

War. Exeter, tu sei traditore seguendo l’usurpatore Enrico.

Cliff. Chi dovrebbe egli seguire se non il re suo naturale?

War. Ben dici, Clifford; ma il suo re è Riccardo duca di York.

Enr. E resterommene io qui intanto che tu siedi sul mio trono?

York. Forza è bene; tu siine pago.

War. Abbiti il ducato di Lancastro, ed egli il reame.

West. Egli è e re e duca di Lancastro, e Westmoreland ciò affermerà sempre.

War. Ma da Warwick gli verrà ognora contestato. Voi obbliate che noi siamo quelli che vi cacciarono dal campo, che uccisero i vostri padri, e a vessilli spiegati marciarono traverso alla città fino alle porte di questo palazzo!

Nort. Sì, Warwick, con dolore lo rammento; e per l’anima di quegli estinti, giuro che sconterete cara la loro morte.

West. Plantageneto, tu ed i tuoi figli, e i tuoi parenti ed amici sarete uccisi pel sangue che avete versato.

Cliff. Non dirne di più, Westmoreland, per tema che invece di minaccie io non risponda a Warwick con un colpo che ci vendichi sull’istante.

War. Misero Clifford, come io ti disprezzo!

York. Volete che vi mostriamo il nostro titolo a questa corona? O che le spade nostre lo decidano sul campo? [p. 152 modifica]

Enr. Quali titoli hai tu, traditore? Tuo padre era al par di te duca di York; tuo avolo Ruggero Mortimero conte della Marca; io sono il figlio di Enrico V, che umiliò ii Delfino, e conquistò la Francia.

War. Non parlar di Francia dacchè l’hai tu perduta.

Enr. Il lord Protettore la perde, non io; quando io fui coronato non compievo un anno di vita.

Ricc. Siete assai adulto ora, e nullameno perdete sempre: padre, strappate la corona dalla testa dell’usurpatore.

Ed. Caro padre, fa ciò, e ponila sul tuo capo.

Mon. Buon fratello, (a York) in nome delle armi che ami ed onori, terminiamo questa contesa tosto e senza altri garriti.

Ricc. Suonate, tamburi e trombe, e il re fuggirà.

York. Tacete, figli!

Enr. Taci tu stesso, e lascia parlare il re Enrico.

War. Plantageneto parlerà prima: uditelo, miei lórdi; e siate silenziosi ed attenti, perocchè quegli che l’interrompe non vivrà molto.

Enr. Credi tu ch’io abbandonerò così il mio trono reale dove il mio avolo e mio padre si sono assisi? No: prima la guerra, spopolerà questo mio regno... e queste insegne che, spiegate tanto spesso in Francia, si dispiegano oggi con mio gran dolore in Inghilterra, mi varranno da lenzuolo funebre. Perchè tal tradimento, miei lórdi? Il mio titolo è legittimo e migliore del suo.

War. Provalo, Enrico, e sarai re.

Enr. Enrico IV conquistò la corona.

York. Ribellandosi contro il suo sovrano.

Enr. Non so che dire; i miei titoli non reggono (a parte). Ditemi, non può un re adottare un erede?

York. Che perciò?

Enr. Se lo può, io sono re legittimo: perchè Riccardo al cospetto di molti lórdi cede lo scettro ad Enrico IV, erede di cui fu mio padre, com’io di lui lo sono.

York. Ei si ribellò contro il suo signore, e per violenza lo fece discendere dal trono.

War. Imaginate anche che l’avesse fatto volontariamente; credete voi che ciò potesse nuocere ai diritti ereditarli della corona?

Ex. No; ei non poteva cederla che all’erede presuntivo che avea diritto di regnar dopo di lui.

Enr. Sei tu ancora contro di noi, duca di Exeter?

Ex. Perdonatemi, ma la ragione sta in suo favore. [p. 153 modifica]

York. Perchè mormorate, miei lôrdi, senza rispondere?

Ex. La mia coscienza mi dice che egli è il legittimo re.

Enr. Tutti da me si ribellano, e a lui si rivolgono.

Nort. Plantageneto, non credere che per le tue pretese Enrico possa venire deposto.

War. Ei sarà deposto in onta di voì tutti.

Nort. Erri; non è in poter tuo, nè dei conti di Essex, di Suffolk e di Reut lo elevare il duca al trono mio malgrado.

Cliff. Re Enrico, sia o no legittimo il tao titolo, Clifford fa voto di combattere in tua difesa; e possa quel terreno spalancarsi e inghiottirmi vivo, che mi vedrà inginocchiare dinanzi all’uccisore di mio padre!

Enr. Oh Clifford! come le tue parole fan rivivere il mio cuore!

York. Enrico di Lancastro, cedi la corona. — Che dite voi, o che tramate, signori?

War. Rendete giustizia a questo egregio duca di York; o empirò questa sala di armati, e sul trono in cui egli ora si asside scriverò i suoi diritti col sangue di un usurpatore.

(batte un piede e i soldati rientrano)

Enr. Milord di Warwick, uditemi; lasciate ch’io regni fino che vivo.

York. Assicura la corona a me e ai miei eredi, e potrai regnare in pace il resto de’ tuoi giorni.

Enr. Di ciò mi tengo pago: Riccardo Plantageneto salirà in trono quand’io sarò estinto.

Cliff. Quale ingiuria è questa al principe vostro figlio?

War. Qual bene non è per l’Inghilterra e per lui?

West. Timido, abbietto Enrico, che per un nulla disperi!

Cliff. Come hai offeso e te stesso e noi!

West. Io non posso soffermarmi per intendere sì turpi composizioni.

Nort. Nè io.

Cliff. Vieni, cugino, andiamo a narrare alla regina queste novelle.

West. Addio, timido e degenere monarca, nel cui freddo sangue non è stilla d’onore.

Nort. Sii tu vittima della casa di York e muori in ceppi per questa vile abdicazione!

Cliff. In terribile guerra possa tu essere sopraffatto o durare in pace solo nell’abbandono e nel disprezzo!

(esce con Nort. e West.)

War. Volgiti da questa parte, Enrico, nè ti calga di loro. [p. 154 modifica]

Ex. Essi cercano vendetta, nè vogliono cedere.

Enr. Ah Exeter!

Mar. Perchè sospirate, milord?

Enr. Non per me, Warwick, ma per mio figlio ch’io barbaramente privo del suo retaggio! Ma avvenga ciò che è decretato... Io dichiaro qui che la mia corona passerà a te (a York) e ai tuoi discendenti, a patto però che tu giuri di estinguere questa guerra civile, e di onorarmi finchè vivrò, come tuo re, senza mai cercare con alcun tradimento o violenza di abbattermi dal trono per porti al mio luogo.

York. Accetto il giuramento e l’adempirò.

(discendendo dal trono)

War. Lungamente viva il re Enrico! Plantageneto, abbraccialo.

Enr. E lungamente ancora vivi tu e questi tuoi nobili figli!

York. Ora York e Lancastro sono riconciliati.

Ex. Maledetto sia colui che cercherà di renderli di nuovo nemici. (i lòrdi si alzano)

York. Addio, mio grazioso signore; io vo al mio castello.

War. Ed io a custodir Londra coi miei soldati.

Norf. Io corro a Norfolk coi miei seguaci.

Mont. Io al mare da cui venni.

(esce York coi figli, War., Norf., Mont., soldati e seguito)

Enr. Ed io rientrerò nel mio palazzo col dolore nell’anima.

(entra la regina Margherita col Principe di Galles)

Ex. S’avanza la regina, e i di lei occhi sono pieni di collera: vo’ allontanarmi.

Enr. Ed io pure, Exeter. (partendo)

Mar. Non scostarti da me, io ti seguirò.

Enr. Calmati, dolce regina, starò ad udirti.

Mar. Chi può calmarsi in tali estremi? Ah sciagurato, fossi io morta vergine senza mai vederti, senza mai darti un figlio, dappoichè tu sei così barbaro padre. Meritava egli di perdere i suoi diritti in tal guisa? Oh! se sentita tu avessi per lui la metà soltanto della mia tenerezza, o s’ei ti fosse costato i dolori che soffersi io per dargli la vita, o se nudrito lo avessi come io col tuo proprio sangue, avresti versato quel sangue fino, all’ultima stilla, prima che fare quel selvaggio duca tuo erede, spogliando indegnamente il tuo unico figlio.

Prin. Padre, voi non potete diseredarmi: se siete re, perchè non dovrei io succedervi?

Enr. Perdonatemi, Margherita, perdonami, caro figlio; il conte di Warwick e il duca mi vi hanno forzato. [p. 155 modifica]

Mar. Forzato! Sei tu re, e ti lasci forzare? Arrossisco d’intenderti. Oh sciagurato e timido uomo! tu ne hai perduti tutti, e fatto ti sei un rettore nella casa di York, nè regnar più potrai che schiavo di quella. A che sei tu riescito trasmettendo la corona a York e ai suoi eredi, se non a trascinarti da te stesso la tomba e a trascinarti verso di essa lungo tempo prima del termine de’ tuoi giorni? Warwick è cancelliere e signore di Calais; il feroce Faulconbridge comanda lo stretto del mare; il duca è Protettore del regno, e nondimeno ti credi salvo? Quella salute avrai che ha il tremante agnello circondato da’ lupi. S’io fossi stata qui, quantunque debole donna, i soldati avrebbero dovuto trafiggermi colle loro lancie, prima che consentito avessi all’atto obbrobrioso. Ma tu preferisti la vita all’onore; e vedendoti invilito a tal segno io fo divorzio da te, e mi divido di mensa e di letto, fino a che revocato non sia quest’atto fatale che rapisce il trono a mio figlio. I signori del nord che hanno maledetto i tuoi vessilli, seguiranno i miei ove vengano dispiegati: e dispiegati verranno con tua vergogna, e a ruina perpetua della casa di York. Così ti lascio: vieni, figlio, partiamo; il nostro esercito è pronto; noi lo seguiremo.

Enr. Fermati, gentil Margherita, e lasciami parlare.

Mar. Troppo parlasti già; vattene.

Enr. Buon figlio Eduardo, tu resterai con me?

Mar. Sì, per essere ucciso da’ suoi nemici.

Prin. Quando ritornerò vittorioso dal campo vi rivedrò; ora seguo mia madre.

Mar. Vieni, figlio, vieni; poco tempo ci resta.

(esce col principe)

Enr. Sfortunata regina! come l’amore che porta a me e al figlio suo l’ha fatta prorompere in parole di sdegno! Vendetta potesse ella ottenere di quell’odioso duca, il cui altero spirito infiammato dall’ambizione si posa costante sulla mia corona, e come aquila famelica si pasce delle membra mie e di mio figlio! L’abbandono di quei tre lórdi mi contrista; vo’ scrivere ad essi, e supplicarli con dolci parole; venite, cugino, voi sarete il messaggiere.

Ex. E ho fede che tutti li riconcilierò.

(escono)

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SCENA II.

Una stanza nel castello di Saudal vicino a Wakefield Della provincia di York.

Entrano Eduabdo, Riccardo e Montague.

Ricc. Fratello, sebbene io da più giovine, lasciami parlare.

Ed. No, io sarò miglior oratore.

Mont. Ma ho potenti ragioni da addurre. (entra York)

York. Come! Figli e fratello in discordia? Qual’è la vostra contesa? come incominciò?

Ed. Non è contesa, ma lieve controversia.

York. Intorno a che?

Ricc. Intorno a ciò che concerne Vostra Grazia, e noi: intorno alla corona d’Inghilterra, padre, che vi spetta.

York. Mi spetta? No, figlio, finchè il re Enrico vive.

Ricc. I vostri dritti non dipendono dalla sua vita o dalla sua morte.

Ed. Voi siete suo erede; godete dunque tosto dell’eredità; concedendo alla casa di Lancastro agio di respirare, essa alla fine potrà opprimervi.

York. Giura! di lasciarlo regnar in pace.

Ed. Ma per un regno ogni giuramento può essere violato: mille io ne infrangerei, per imperare soltanto un anno.

Ricc. No; Dio non voglia che Vostra Grazia divenga spergiuro.

York. Lo diverrò, se uso la forza.

Ricc. Mostrerò l’opposto se volete intendermi.

York. Nol potrai, figlio; è impossibile.

Ricc. Un giuramento è nullo quando non è fatto dinanzi a un magistrato legittimo che abbia autorità sopra quello che giura: Enrico non ne aveva alcuna avendo usurpato il trono, e poichè è esso che vi ha fatto giurare di rinunciare a’ vostri diritti, il vostro giuramento, signore, è irrito e vano. All’armi dunque; e pensa, o padre, quanto dolce cosa da il portare una corona, entro al cui circolo sta racchiuso l’eliso e tutto ciò che i poeti fingono di beatitudine e di felicità. Perchè indugiamo così? Io non posso arrestarmi, finchè la rosa bianca che porto non sia tinta nel vil sangue di Enrico.

York. Basta, Riccardo; sarò re, o morrò. Fratello, corri tosto a Londra, e incita Warwick a quest’opera. — Tu, Riccardo, andrai dal duca di Norfolk, e lo preverrai segretamente [p. 157 modifica]del nostro intento. — Voi, Eduardo, correte da milord Cobham, con cui gli abitanti di Kent di buon grado si solleveranno: in essi io confido, avvegnachè son soldati pieni di coraggio, di senno e di affezione. — Intanto che voi accudirete a tali cose, io cercherò un’occasione di rivolta, senza che il re, o alcuno della casa di Lancastro penetri i miei disegni. (entra un Messaggiere) Ma fermatevi Quali novelle? Perchè vieni tu così sollecito?

Mess. La regina coi conti del nord intende di assediarvi qui nel vostro castello: ella guida ventimila uomini; pensate, milord, a ben fortificarvi.

York. Sì, colla mia spada. Che! credi tu che noi abbiamo timore? Eduardo e Riccardo, voi resterete con me; mio fratello Montague volerà a Londra per ammonire Warwick, Cobham, e gli altri che avevam lasciati quali protettori del re, di rendersi forti colle armi, e di non più confidare nel semplice Enrico nè ne’ suoi giuramenti.

Mont. Vado, fratello; li convincerò, non temere: umilmente m’accomiato, (esce; entrano sir Giovanni e sir Ugo Mortimero)

York. Sir Giovanni, e sir Ugo, nobili miei zii, in buon’ora giugnete a Saudal; l’esercito della regina intende d’assediarne.

Gio. Ella non ne avrà d’uopo; l’incontreremo sul campo.

York. Con cinquemila uomini?

Ricc. Anche con cinquecento, padre, se occorre. Il loro generale è mia donna; che avremo a temere?

(si ode una marcia lontana)

Ed. Odo i loro tamburi; mettiamo i nostri nomini in ordinanza, ed esciamo tosto per combatterli.

York. Cinque contro venti! Sebbene la differenza sia grande, io non dubito, zio, della vittoria. Molte battaglie ho vinte in Francia, in cui i nemici erano dieci contr’uno: perchè non otterrei ora un egual successo? (allarme. Escono)

SCENA III.

Pianure attigue al castello.

Allarmi ed escursioni. Entrano Rutland e il suo Precettore.

Rut. Ah, dove fuggirò io per salvarmi dalle loro mani! Oh, maestro! mirate, il sanguinoso Clifford s’avanza! (entra Clifford con una mano di soldati) Cliff. Ecclesiastico, fuggi! Il tuo abito ti salva la vita. Quanto [p. 158 modifica]al rampollo di quel maledetto duca, che mi uccise il padre, ei deve morire.

Prec. Ed io, milord, morirò con lui.

Cliff. Soldati, guidatelo lungi.

Prec. Ah, Clifford! non uccidere quest’innocente fanciullo, per tema di non essere riprovato da Dio e dall’uomo.

(esce trascinato dai soldati)

Cliff. Ebbene! è egli già morto? è solo il timore che gli fa così chiuder gli occhi? Io glieli aprirò.

Rut. Oh! il tuo sguardo è quello del leone affamato che affigge la vittima che trema sotto i suoi artigli spietati: così ei se le avvicina per divorarne le membra: in tal guisa l’insulta eia deride. — Buon Clifford, uccidimi colla spada, e non con isguardi tanto fieri. Lasciami parlare, pietoso Clifford, prima ch’io muoia: io sono oggetto troppo debole per la tua collera; vendicati sopra gli uomini, e lasciami vivere.

Cliff. Parli invano, sciagurato fanciullo; il sangue di mio padre ha chiuso il varco per cui le tue parole potevano entrare nel mio cuore.

Rut. Il sangue del padre mio lo riapra di nuovo: egli è un uomo, Clifford, va a combattere con lui.

Cliff. Se avessi qui tutti i tuoi fratelli, la loro vita e la tua non basterebbero per appagare la mia vendetta. No, quand’anche scavassi nella tomba de’ tuoi maggiori, e appendessi per aria i loro feretri, a metà consunti, quale spettacolo d’ignominia, il mio furore il mio cuore non sarebbero placati La vista d’ogni uomo della casa di York è una furia che mi crucia l’anima; e finchè estirpato io non abbia la loro schiatta maledetta, senza lasciarne uno in vita, sono all’inferno. Tu dunque... (alzando il braccio)

Rut. Oh! lasciami pregare prima di morire... Sei tu, ch’io invoco, buon Clifford, abbi pietà di me!

Cliff. Quella pietà che ti offre la punta della mia spada.

Rut. Io non ti feci mai male; perchè vuoi uccidermi?

Cliff. Tuo padre mi oltraggiò.

Rut. Io non era allora neppure in vita... Tu hai un figlio; per amor suo abbi compassione di me, per tema che, come giusto è Dio, ei non sia com’io miserabilmente ucciso. Fammi passare tutta la vita in carcere, e al primo cruccio che ti causerò, ordina mi si uccida... ora non n’hai motivo.

Cliff. Non motivo? Tuo padre uccise il padre mio; muori.

(lo trafigge)

Rut. Dii faciant, laudis summa sit ista tuæ! (muore) [p. 159 modifica]

Cliff. Plantageneto! Vengo, Plantageneto! e questo sangue di tuo figlio, spruzzato sulla mia spada, arrugginirà in finchè il tuo non lo lavi! (esce)

SCENA IV.

La stessa.

Allarme. Entra York.

York. L’esercito della regina ha trionfato: i miei due zii sono morti difendendo la mia vita, e tutti i miei partigiani volgono le spalle al nemico vincitore e fuggono come vascelli dinanzi ai venti, timidi agnelli inseguiti da lupi feroci. — I figli miei!... Dio sa qual’è la loro sorte. Ma io ben so che, vivi o estinti, comportati si sono da uomini nati per la gloria. Tre volte Riccardo si è aperta la via fino a me, gridandomi: Coraggio, padre, combattiamo con tutte le forze! e tre volte Eduardo m’ha raggiunto colla spada, rossa fino all’elsa di sangue nemico. Mentre i più arditi si ritiravano, Riccardo gridava: Avanti! non cedete un palmo di terra! Una corona o una tomba gloriosa! uno scettro e una croce! — Allora rinnovammo la battaglia, ma oimè! invano. Costretti fummo ad arretrarci di nuovo. Così ho veduto talvolta un cigno lottare contro la corrente, estenuandosi in vani conati. — Ma che odo? (allarme) Il nemico, oimè! m’è sopra. Troppo debole sono per fuggire; e quand’anche avessi tutta la mia lena, campar non potrei. Le ore che componevano la mia vita son trascorse: debbo restar qui per morire.

(entrano la regina Margherita, Clifford, Northumberland e soldati)

York. Tieni, feroce Clifford, barbaro Northumberland! Io oso pur anche provocare la vostra rabbia insaziabile; eccomi in preda all’ire vostre e ai vostri oltraggi.

Nort. Arrenditi, orgoglioso Plantageneto, e chiedi grazia.

Cliff. Grazia! Sì, come quella che il suo braccio spietate impartì a mio padre. Alfine questo superbo è precipitato dal suo carro d’orgoglio e trova il termine della vita a metà del suoi giorni.

York. Forse dalle mie ceneri nascerà un vendicatore che vi punirà tutti: pieno dì tale speranza ed alzando gli occhi al cielo, disprezzo le ire de’ miei nemici. Or bene? Perchè non venite oltre? Siete presi da timore con tanta superiorità di forze?

Cliff. I vili cominciano a combattere quando non possono più [p. 160 modifica]fuggire: così la debole colomba contende contro gli artigli del falco che la strazia, e i ladri sorpresi nel furto e disperando della vita, opprimono d’ingiurie i soldati che gl’incatenano.

York. Oh, Clifford! pensa un istante al passato, e se lo puoi senza arrossire, contempla questo volto, e mordi quella lingua che mi calunnia e mi accusa di viltà, mentre io tante volte ti feci fuggire.

Cliff. Teco non contenderò con parole: è colla spada che ti risponderò e saranno due colpi contro ognuno.

Mar. Fermati, prode Clifford! Gravi argomenti m’inducono a protrarre la vita di questo traditore. — La rabbia lo rende sordo. — Northumberland, raffrenatelo.

Nort. Fermati, Clifford: non fargli l’onore di assoggettarti alla più lieve scalfittura per trafiggergli il cuore. Qual valore v’è nel porre una mano nella gola d’un mastino sdegnoso, allorchè si può cacciar con un piede senza pericolo? Diritto è di guerra l’usare di tutti i vantaggi; e dieci uomini ne incatenano uno senza disonorarsi. (si avventano sopra York)

Cliff. Sì, sì, ti dibatti invano, come l’uccello fra la rete.

Nort. O come il coniglio sotto il cane.

(York è fatto prigioniero)

York. Così trionfano i carnefici sulla preda loro: così cede l’uomo onesto oppresso dalla forza.

Nort. Che vuol fare ora Vostra Grazia?

Mar. Prodi guerrieri, Clifford e Northumberland, giova ora ch’egli sia posto su quel monticello di terra, dappoichè il suo braccio ambizioso voleva raggiungere tutte le altezze, sebbene poi non attingesse mai che alle loro ombre. — Eri dunque tu che intendevi d’essere il re d’Inghilterra? Tu che tuonavi nel nostro Parlamento, esaltando la tua illustre nascita? Dove sono ora per sostenerti i tuoi figli che alimentavano il tuo orgoglio? Dov’è il tuo lascivo Eduardo, e il tuo alacre Giorgio? Dov’è quel prode e deforme Riccardo, quel mostro, orrore di natura, la cui voce ti eccitava incessantemente alla rivolta? E infine dov’è il tuo diletto Rutland? Mira, York; io tinsi questa pezzuola col sangue che l’illustre Clifford estrasse colla punta della sua spada dal seno di quel fanciullo, e se i tuoi occhi possono piangere per la sua morte, io ti do questo drappo per asciugarli le lagrime. Oimè, povero York! senza l’odio mortale che ti porto io dolorerei il tuo miserabile stato. Te ne prego, piangi, perchè io sia lieta; dispera; stracciati i capelli, impreca onde il cuore mi balzi di contento. Che! la rabbia ardente del tuo cuore ha ella dunque [p. 161 modifica]diseccato le tue viscere così che non una lagrima accordi alla morte del tuo Rutland? Donde ti venne tanta impassibilità? Tu dovresti essere furioso, e per renderti tale io ti schernisco in questo modo. Ma vorresti esser pagato, lo veggo, per darmi diletto, e York non può parlare a meno che non porti una corona. — Una corona a York; e voi, lórdi, prostratevi. — Tenetegli le mani, intanto che io gliela cingerò al capo, (mettendogli una corona di carta). Ora veramente egli ha l’aspetto di re! Sì, questo è quegli che s’impossesso del trono di Enrico, e che adottato fu per suo erede. — Ma come il gran Plantageneto venne egli incoronato si tosto violando il suo giuramento? A quel che mi sembra voi non dovevate esser re prima della morte del nostro Enrico: or come ardite voi cinger la corona di Enrico, e furare alle sue tempia il diadema mentre egli vive, contro il vostro sacramento? Oh è un delitto imperdonabile! Toglietegli quella corona, e con essa le testa; lunga sia la morte che voi gl’infliggerete.

Cliff. Questo spetta a me per amor di mio padre.

Mar. Fermati; udiamo l’orazione ch’ei ne sa fare.

York. Lupa di Francia, più spietata dei lupi ferocissimi di quella terra, la tua lingua supera in veleno il dente della vipera; ma quanto mal si addice al tuo sesso l’insultare ai dolori degli sfortunati! Se il tuo volto senza pudore indurito non fosse dall’abito di opere nefande, io vorrei, superba regina, farti arrossire: io ti direi di dove venisti, e qual fu la tua stirpe, e ciò basterebbe per coprirti d’ignominia, se svergognata già non fossi. Tuo padre si adorna de’ titoli di re di Napoli, di Sicilia e di Gerusalemme, e nondimeno è meno ricco di un colono inglese. Quel mendico sovrano t’insegnò egli forse a vilipendere? Stolta arte ell’è, inumana regina, a meno che avverar non volessi l’adagio: un accattone quando è in sella corre finchè il suo cavallo è estinto. La bellezza suol rendere altere le donne; ma Dio sa che ben piccola fu la porzione di bellezza che tu avesti: la virtù le suol far molto ammirare; i tuoi vizi empiono di ribrezzo tutti quelli a cui son noti: la dolcezza suol renderle care come angeli; ogni mancanza di essa ti fa abbominevole: tu sei così opposta ad ogni bene come lo sono a noi gli antipodi o il mezzodì al settentrione. Oh, cuore di tigre, nascosto nel cuore di una donna! come potesti bagnare il tuo velo nel sangue di un fanciullo per darlo al padre suo onde si terga gli occhi, e serbare ancora il volto di donna? Le donne son dolci, miti, pietose: tu sei feroce, implacabile, dura come le roccie, e senza rimorsi. Tu mi esortavi alla rabbia? I tuoi voti sono adempiti. Volevi [p. 162 modifica]vedermi piangere? Il tuo desiderio è pago: perocchè l’ira raduna i pianti che, quand’ella rallenta, sgorgano in larga copia. Queste lagrime sono le esequie del mio Rutland, del mio dolce figlio; ed ognuna di esse grida vendetta della sua morte contro di te, empio Clifford, e contro questa barbara francese.

Nort. Compatitemi, ma le sue sventure mi commuovono tanto che a stento io tengo asciutti gli occhi.

York. I cannibali famelici toccato non avrebbero, non insanguinato il volto di quel vago fanciullo; ma voi siete più inumani, più inesorabili... oh mille volte più crudi siete delle tigri d’Ircania! Mira, regina iniqua; mira i pianti di un padre disperato: di questo drappo, che tuffasti nel sangue di mio figlio, io lavo le macchie colle mie lagrime. Riprendilo, e gloriati di quanto facesti. (le dà il fazzoletto) E se tu narri questa dolorosa istoria senza falzarìa, coloro che l’udiranno non manterranno inalterato il ciglio: i miei nemici stessi ne avran molli le guancie e fremendo diranno: atroce fu quell’opera! Riprenditi questo serto, e con esso la mia maledizione. Possa tu nelle tue sventure trovare i conforti che io ebbi dalla tua mano crudele! Barbaro Clifford, toglimi dal mondo, onde la mia anima vada in cielo, e il sangue ricada sulle vostre teste!

Nort. Se egli mi avesse uccisi tutti i figli, neppure per ciò potrei astenermi dal piangere, vedendo quant’è il dolore della sua anima.

Mar. Che! voi siete commosso, milord di Northumberland! Pensate alle offese che egli a tutti ne fece, e tal penderò diseccherà la sorgente delle vostre lagrime.

Cliff. Questo per mantenere il mio giuramento, e questo per la morte di mio padre. (pugnalandolo)

Mar. Un colpo ancora per amore del nostro buon re.

(gli dà una pugnalata)

York. Aprimi le porte della tua misericordia, Dio di clemenza! La mia anima s’invola per queste ferite, e viene a cercarti.

(muore)

Mar. Troncategli la testa, e ponetela sulle porte di York: così egli potrà contemplare tutta la sua città.

(escono)