Sulla formazione terziaria nella zona solfifera della Sicilia/Capitolo VI

Ipotesi dell’autore dello scritto sulla genesi del minerale di zolfo

../Capitolo V ../Conclusioni IncludiIntestazione 1 agosto 2015 75% Da definire

Ipotesi dell’autore dello scritto sulla genesi del minerale di zolfo
Capitolo V Conclusioni
[p. 51 modifica]

Capitolo VI.


IPOTESI DELL’AUTORE DELLO SCRITTO SULLA GENESI DEL MINERALE DI ZOLFO.




Due sono le ipotesi esposte nella Memoria per spiegare la genesi del minerale di zolfo. La prima è quella di attribuire questo minerale alla scomposizione contemporanea nelle acque dei laghi dell’acido solfidrico e del bicarbonato di calce, recativi da sorgenti che contenevano in soluzione queste sostanze in proporzioni corrispondenti ad un dipresso ai loro chimici equivalenti. La seconda è quella di supporre che queste sorgenti contenessero in soluzione monosolfuro di calcio, invece del bicarbonato di calce e dell’acido solfidrico.

Tutte e due queste ipotesi si riducono poi ad una ipotesi sola. Lo zolfo sarebbe sempre originato dalla scomposizione del monosolfuro di calcio proveniente dalla riduzione per mezzo delle sostanze organiche dei gessi esistenti nel miocene inferiore. Solo nella prima ipotesi (bicarbonato di calce ed acido solfidrico) il monosolfuro di calcio sarebbe stato scomposto allo stato nascente in presenza dell’acqua e dell’acido carbonico originato dall’ossidazione delle sostanze organiche:

CaS + 2 CO² + HO = HS + CaO, 2 CO².

Nel secondo caso invece sarebbe rimasto indecomposto durante il. periodo della riduzione dei solfati e sarebbe passato in soluzione allo stato di monosolfuro nelle acque che lo portarono nei laghi dell’epoca solfifera.

Nella Memoria ho adottato tutte e due le ipotesi, attribuendo tuttavia maggiore importanza nella formazione delle solfare siciliane alle sorgenti contenenti in soluzione monosolfuro di calcio. Le ragioni che mi indussero ad attribuire maggiore importanza alle sorgenti di questa natura, piuttostochè a quelle di bicarbonato di calce, furono le seguenti:

1° La facilità colla quale le acque contenenti in soluzione bicarbonato di calce ed acido solfidrico lasciano sfuggire facilmente quest’acido allo stato di gaz prima che sia scomposto, generando così minerale povero, in cui il calcare e lo zolfo non possono più essere nella proporzione di 76 a 24, proporzione che si verifica ad un dipresso nei minerali siciliani.

2° La diversità di struttura dello zolfo originato dalla scomposizione dell’acido [p. 52 modifica]solfidrico nei laghi di Tivoli e nelle numerose sorgenti solfuree che si trovano in Sicilia, principalmente presso le solfare, il quale è sempre compatto, concrezionato come lo zolfo saponaceo, mentre lo zolfo che si trova associato al calcare e che costituisce la gran massa del minerale in Sicilia, ha una struttura resinosa e cristallina. Questa diversità di struttura pare indicare un’origine diversa.

3° Il legno fossile e le foglie che si incontrano nel minerale di zolfo in Sicilia, invece di essere petrificati, come sono le erbe che si trovano nei laghi di Tivoli e nelle acque contenenti bicarbonato di calce, sono perfettamente conservate, fatto naturalissimo qualora si ammetta la scomposizione del monosolfuro di calcio nelle acque dei laghi solfurei.

4° La produzione di una quantità così considerevole di minerale di zolfo, la potenza degli strati solfiferi, avuto riguardo alla loro piccola estensione, non avrebbe potuto avere luogo senza la riduzione in una scala immensa del solfato di calce associato colle sostanze organiche nel miocene inferiore. Questa riduzione in vasta scala esige una elevazione di temperatura nei centri solfiferi dipendente dall’azione vulcanica. I raddrizzamenti, i capovolgimenti degli strati dell’epofca solfifera, ed in genere i grandi sconvolgimenti a cui soggiacque questo terreno, l’influenza che vi esercitarono le maccalube, l’apparizione delle rocce basaltiche nei dintorni della zona solfifera alla fine dell’epoca miocenica, sono fatti che collimano coli’ esistenza di un’influenza vulcanica, ancorchè remota, in questa regione, e che rendono in conseguenza probabile l’elevazione di temperatura dei terreni sottostanti al terreno solfifero, e quindi la formazione del monosolfuro rimasto indecomposto e passato poscia in soluzione nelle acque dei laghi solfiferi.

5° La sede dei solfati che, ridotti dalle sostanze organiche, diedero origine al minerale di zolfo, è il miocene inferiore della Memoria. La parte più elevata di questo terreno è costituita da banchi potentissimi di marna impermeabili alle acque. La riduzione dei solfati avrebbe quindi avuto luogo senza la presenza delle acque che dovevano portare nei laghi gli elementi necessari per la formazione del minerale. Le acque sarebbero poscia penetrate a traverso fessure prodotte dai movimenti del suolo e le sorgenti sarebbero comparse sotto forma di maccalube, le quali esercitarono un influenza evidente nel terreno solfifero e specialmente nella formazione dei partimenti.

6° Una delle considerazioni più importanti che mi indussero ad ammettere che il monosolfuro di calcio si sia scomposto nei laghi dell’epoca miocenica, è la presenza dei banchi di tripoli e del calcare alquanto siliceo inferiormente ai banchi di minerale.

La formazione dei banchi di tripoli è stata considerata come una conseguenza dell’azione deli’ acido carbonico (prodotto dalla riduzione dei solfati per mezzo delle sostanze organiche) sui silicati delle argille e marne inferiori al terreno solfifero, della successiva scomposizione di questi silicati in presenza dell’acqua e della segregazione della silice, che potè così fornire materia agli infusorii per la formazione delle loro spoglie.

L’azione dell’acido carbonico sulle argille marnose del miocene inferiore diede origine alla formazione di bicarbonati, i quali si precipitarono in grande scala allorchè le [p. 53 modifica]acque divennero sature, generando i banchi del calcare siliceo. L’apparizione posteriore dello zolfo dimostrerebbe che gli elementi solfurei vennero sciolti molto tempo dopo la riduzione dei solfati, dalla quale venne prodotta una massa considerevole di acido carbonico, le cui esalazioni ebbero luogo nel periodo della formazione dei tripoli.

Tutte queste considerazioni hanno sicuramente il loro peso. Temo solo di averne esagerato alquanto l'importanza, e di avere attribuito in conseguenza alle sorgenti contenenti in soluzione bicarbonato di calce ed acido solfidrico un’influenza molto minore di quella che ebbero effettivamente nella formazione del minerale di zolfo, e, tuttochè ammetta sempre le reazioni che ho esposte nella Memoria ed i fatti che ne sono la conseguenza, credo tuttavia che può sempre esservi dubbio se il monosolfuro di calcio si scompose nella massima parte dei casi allo stato nascente, e se alle sorgenti di acido solfidrico e di bicarbonato di calce si deve in conseguenza attribuire in massima parte la formazione dei banchi solfiferi.

Il determinare se lo zolfo sia venuto alla luce allo stato di acido solfidrico o di monosolfuro di calcio è una questione molto ardua, poichè dal predominio dell'acido carbonico o dell’acido solfidrico dipende la natura della sorgente solfurea.

Se l’acido solfidrico è in predominio sull'acido carbonico, le acque possono contenere in soluzione monosolfuro di calcio ed acido solfidrico. Se l’acido carbonico invece è in predominio sull'acido solfidrico, in tal caso il monosolfuro di calcio si scompone in presenza dell’acqua e dell’acido carbonico suddetto con formazione di carbonato di calce e di acido solfidrico. Se la riduzione dei solfati ebbe luogo in presenza dell’acqua, le sorgenti (così venne detto nella Memoria) dovettero contenere in soluzione acido solfidrico e bicarbonato di calce. Ciò è vero, se la riduzione dei solfati venne operata intieramente a spese del carbonio delle sostanze organiche. Siccome però anche V idrogeno delle sostanze suddette può avere esercitato la sua azione riducente sul solfato di calce, così può essere che V acido solfidrico sia stato in predominio sull’acido carbonico, e che il monosolfuro di calcio e l’idrogeno solforato sieno venuti alla luce in seno alle stesse acque.

Nella Memoria trovansi esposte tutte le considerazioni che militano in favore dell’ipotesi che le sorgenti contenessero in soluzione monosolfuro di calcio. In questa Appendice saranno esposte diffusamente le ragioni che militano in favore della ipotesi che le sorgenti solfuree contenessero in soluzione bicarbonato di calce ed acido solfidrico. Queste ragioni si trasformano naturalmente in una specie di critica della prima ipotesi, ma non alterano la sostanza della Memoria, servendo solo ad attribuire ad una parte di essa un’importanza maggiore di quella che le venne attribuita.

1° La prima delle considerazioni esposte in favore dell’ipotesi sorgenti di monosolfuro di calcio, è che l'acido solfidrico si disperde facilmente nell'atmosfera prima di scomporsi. Le acque dei laghi di Tivoli contengono in soluzione oltre a vari elementi (come solfato di calce, cloruro di magnesio, cloruro di calcio, solfato di stronziana) bicarbonato di calce ed acido solfidrico in proporzioni tali che, se l’acido solfidrico non sfuggisse allo stato di gaz, il deposito risultante conterrebbe il 14 per 100 in zolfo. Il calcare invece è ivi poverissimo di questa sostanza. L’acido solfidrico si disperde [p. 54 modifica]nell’atmosfera e fa sentire il suo odore ad alcuni chilometri di distanza. Questo fatto è sicuramente un’obbiezione importante contro l’origine del minerale di zolfo dalle soluzioni di idrogeno solforato e di bicarbonato di calce, principalmente se si tiene conto dell’importanza che dovevano avere le sorgenti dell’epoca solfurea in Sicilia.

Se tuttavia si suppone che le sorgenti erano piccole rispetto alla quantità di acqua contenuta nei laghi, l’acido solfidrico avrebbe potuto stare in soluzione e venire successivamente scomposto in presenza dell’ossigeno atmosferico in zolfo ed acqua. Questa supposizione non è assurda.

L’acqua, alla temperatura di 11° ed alla pressione atmosferica, può contenere in soluzione due volte e mezzo il suo volume di acido solfidrico. Se gli straterelli che si osservano nella solata sono il risultato delle emanazioni di un anno, e, se si osserva che lo spessore di questi straterelli in media non è superiore a 6 od 8 millimetri, di cui un millimetro e mezzo o due millimetri sono rappresentati da zolfo, le acque dei laghi avrebbero dovuto contenere in soluzione una quantità di acido solfidrico rappresentato da un volume avente per base la superficie del lago e per altezza metri 2,161 a 2,881. Per contenere in soluzione questa quantità di acido solfidrico le acque, nelle condizioni suddette di temperatura e di pressione, avrebbero dovuto avere un’altezza di 0m,86 ad 1m,15. Egli è vero che la temperatura delle acque dei laghi era più elevata nel quale caso la loro altezza per tenere in soluzione la quantità sopraccennata di acido solfidrico, dovrebbe essere superiore. Giova tuttavia osservare che diventando l’acqua profonda aumenta notevolmente la pressione a cui è sottomesso l’acido solfidrico, ed aumenta in conseguenza notevolmente la quantità di questo gaz che l’acqua può tenere in soluzione. Le acque profonde erano quindi come una specie di serbatoio di acido solfidrico, il quale poteva così scomporsi a poco a poco a misura che veniva in contatto coll’atmosfera.

L’altezza di 1m,15 di acqua è minore di quella che annualmente si evapora in Sicilia, e dimostra in conseguenza la possibilità e la probabilità che il minerale corrispondente ad un periodo nella solata sia il risultato delle emanazioni di un anno.

Se nei laghi di Tivoli il gaz idrogeno solforato si disperde così facilmente nell’atmosfera, egli è specialmente perchè le acque sono ivi in continuo movimento. Le acque del laghetto delle Colonnelle a breve distanza entrano in quello delle acque Albule, dal quale parte un canale della portata di un metro cubo per secondo. L’effetto della scomposizione dell’acido solfidrico comincia appena ad avvertirsi ad una distanza di 200 metri dal lago. L’acqua comincia ivi ad intorbidarsi, e l’intorbidamento per la scomposizione dell’idrogeno solforato aumenta ancora a un chilometro e mezzo di distanza. A questa distanza le acque, non ostante il loro movimento, il loro rinnovarsi più volte in contatto coli’ atmosfera, contengono quindi ancora idrogeno solforato in soluzione. Se esse rimanessero tranquille, questo gaz non si disperderebbe quindi così facilmente e potrebbe scomporsi quasi intieramente in contatto coll’atmosfera.

Le acque del lago dei Tartari invece sono sempre stagnanti, tranquille, e sono quindi sempre torbide per lo zolfo che esse contengono in sospensione originato dalla scomposizione dell’acido solfidrico. Se non vi si verifica un deposito di zolfo abbondante, [p. 55 modifica]può essere che questo dipenda da che la sorgente che lo alimenta, è meno ricca assai di acido solfidrico di quello che lo siano le acque Albule; può essere infine, ciò che è più importante, che questa piccola quantità di zolfo si ossidi completamente in presenza del calcare con formazione di solfato di calce, il quale sia successivamente esportato dalle acque del lago per meati sotterranei.

La rapidità colla quale il minerale minuto esposto all’atmosfera si trasforma in briscale od in solfato di calce, rende probabile questa congettura. Nei giacimenti solfiferi della Sicilia una parte notevole dei gessi, e specialmente quelli che sono sottostanti al minerale e che vi formano non di rado banchi considerevoli, proviene dall’ossidazione completa dello zolfo in presenza del calcare.

Le pareti dei laghi solfurei della Sicilia, tolti i tripoli ed il calcare siliceo, erano costituite da banchi potentissimi di marne dell’epoca miocenica, all’acqua impermeabili. Le marne dovevano occupare una posizione più elevata che i laghi, poichè le acque solfuree che alimentavano i laghi suddetti, provenivano appunto dal miocene inferiore. Il solfato di calce non poteva quindi essere esportato dai laghi, e doveva in essi precipitarsi interamente a misura che le acque divenivano sature e formare così banchi potenti di gesso. Nella Campagna romana invece i laghi sono racchiusi tra travertini, i quali sono permeabili alle acque e lasciano loro facilmente il campo ai meati sotterranei. Le sorgenti che alimentano questi laghi contengono infatti in soluzione cloruro di sodio, cloruro di magnesio in quantità abbondante, solfato di magnesia, solfato di calce, ed il difetto assoluto di un deposito di queste sostanze nel lago dei Tartari, il quale non ha scolo apparente, prova che esse sono per vie nascoste dalle acque esportate in soluzione.

2° La struttura resinosa semi-cristallina dello zolfo di Sicilia, diversa interamente da quella prodotta dalla scomposizione dell’acido solfidrico nei laghi di Tivoli, e specialmente nel canale delle acque Albule, come pure nei diversi canali in cui scorrono le acque delle numerose sorgenti solfuree che si incontrano nell’isola, è sicuramente una obbiezione seria all’origine dello zolfo dalla scomposizione dell’acido solfidrico.

In questi canali tuttavia se le molecole di zolfo non possono raggrupparsi in cristalli, ciò dipende specialmente da che le acque sono in continuo movimento. Se invece le acque fossero tranquille e lenta la chimica scomposizione dell’idrogeno solforato, lo zolfo si precipiterebbe lentissimamente e potrebbe raggrupparsi e costituire un deposito avente la struttura del minerale siciliano. Lo zolfo saponaceo o compatto o concrezionato, si incontra quasi sempre nelle marne o nei tufi sotto forma di lenti o di arnioni, ed il minerale contenente questa specie di zolfo è sempre povero rispetto a quello che è costituito da zolfo a struttura resinosa.

L’associazione della marna allo zolfo, ossia di una materia estranea al calcare che è la sua matrice legittima, nel mentre ci somministra la ragione della povertà del minerale, serve altresì a spiegare il perchè lo zolfo vi abbia assunto la struttura compatta. La marna infatti, essendo una materia di trasporto, indica che le acque che la depositarono erano in movimento e che lo zolfo in conseguenza, invece di aggrupparsi in una massa cristallina, doveva assumere lo stesso carattere di quello che si depone nei canali nei quali scorrono acque solfuree. [p. 56 modifica]

A questo si deve aggiungere la presenza degli olii e delle sostanze bituminose in tutte le rocce dell’epoca solfifera, le quali dovettero operare come scioglienti sopra una parte dello zolfo. I cristalli isolati infatti che si incontrano nelle solfare, ed anche alcuni massi di zolfo puro come quelli che si trovano nella solfara di Casteltermini, provengono, come i cristalli delle Romagne, dallo zolfo contenuto in soluzione in seno a questi olii od a questi bitumi. Non si deve tuttavia attribuire un’influenza in vasta scala all’azione sciogliente di questi olii, sia perchè piccola è la quantità di bitume che si incontra nelle solfare (poche eccettuate), sia perchè un’influenza di questa natura avrebbe avuto per effetto di concentrare lo zolfo in alcuni punti speciali, distruggendo quell’associazione costante dello zolfo e del calcare nel rapporto di 24 a 76 che si osserva nelle solfare, fatta astrazione dalle materie estranee, e che dimostra in modo evidente che questi elementi erano insieme chimicamente cementati.

3° Nei laghi di Tivoli le erbe che crescono sulle loro sponde, le foglie che si trovano nelle loro acque, sono prima incrostate e poi petrificate, mentre in Sicilia il legno fossile e le foglie che si trovano nel minerale, sono perfettamente conservate. Nelle solfare di Racalmuto si incontrò tuttavia un’erba simile a quella che si incontra nelle paludi ed anche nelle acque correnti, perfettamente petrificata dal carbonato di calce, come le erbe che si trovano nei laghi sopraccennati. Alle diverse ramificazioni di quest’erba erano aderenti cristalli di zolfo giallognoli perfettamente trasparenti. Questo saggio dimostra che le acque dei laghi solfurei contenevano in soluzione bicarbonato di calce ed in conseguenza altresì idrogeno solforato. Egli è quindi probabile che dalla scomposizione dell’idrogeno solforato pervengano altresì i cristalli di zolfo che ingemmano la petrificazione suddetta. Allorchè il minerale proviene dalla scomposizione del monosolfuro di calcio in presenza dell’atmosfera, le piante che si trovano immerse nelle acque solfuree non possono sicuramente venire petrificate per la ragione che il carbonato di calce, a misura che si forma dalla scomposizione del monosolfuro di calcio in presenza dell’acido carbonico e dell’ossigeno atmosferico, si precipita, nè può passare allo stato di bicarbonato, nè in questo stato penetrare nei pori delle erbe e delle piante e sostituirsi alla loro materia.

Due sono le cause che contribuiscono nei laghi di Tivoli all’incrostazione ed alla petrificazione delle erbe. La prima è la loro vita vegetale, nel quale periodo esse scompongono l’acido carbonico che tiene in soluzione il carbonato di calce, il quale deve in conseguenza precipitarsi nel loro contatto e produrre una incrostazione. Quest’effetto non si potè verificare sulle piante che furono trascinate nei laghi e che avevano cessato di vivere.

La seconda causa è la precipitazione del carbonato di calce originato dal disperdimento nell’atmosfera dell’acido carbonico; ed è quindi specialmente in contatto coll’atmosfera ad una piccola profondità che si producono facilmente le petrificazioni. Ad una profondità notevole l’acido carbonico è tenuto facilmente in soluzione dalla pressione delle acque soprastanti. Se quindi un tronco di un albero, una foglia o simile viene per una circostanza qualunque a discendere al fondo dei laghi ad una notevole profondità, esso vi resta sepolto prima di venire petrificato. Tale pare essere la ragione [p. 57 modifica] della conservazione perfetta del legno fossile e delle foglie nelle solfare siciliane, qualora la loro origine sia dovuta ad emanazioni di bicarbonato di calce e di acido solfidrico.

4° Ho osservato nella Memoria che la struttura della solata e la maggior parte dei fatti che si osservano nelle solfare, si possono spiegare colle emanazioni di acido solfidrico o di bicarbonato di calce in modo pressoché analogo a quello con cui si spiegano questi fenomeni nell’ipotesi di emanazioni di monosolfuro di calcio. Ripeterò quindi quanto ho detto nello scritto precedente sulla genesi della solata per mezzo della scomposizione del monosolfuro di calcio, applicandovi l’ipotesi che le sorgenti solfuree contenessero in soluzione acido solfidrico e bicarbonato di calce.

La varietà di minerale chiamata solata, è interessante per il periodo costante che si osserva nella serie degli straterelli di zolfo e di calcare. Questo periodo dimostra un’azione periodica nelle cause che presiedettero alla formazione del minerale di zolfo. L’ipotesi dell’esistenza di sorgenti intermittenti alimentate dalle acque piovane, che, penetrando a traverso i terreni inferiori, venivano a sciogliere gli elementi che servirono alla formazione del minerale, è in armonia perfetta col fatto sovraccennato. Se le sorgenti non sono intermittenti ma continue, se cioè non cessano per comparire di nuovo, il minerale presenta una struttura irregolare, poiché in tal caso la scomposizione del bicarbonato di calce e dell’acido solfidrico succede contemporaneamente ed in modo continuo, e quindi lo zolfo ed il calcare restano mischiati in modo uniforme. Se invece le sorgenti sono intermittenti ed il tempo trascorso tra una emanazione e l’altra è abbastanza lungo, perchè gli elementi suddetti possano scomporsi totalmente, il minerale deve presentare la struttura della solata, poiché la scomposizione del bicarbonato di calce e dell’acido solfidrico non procede con eguale rapidità nelle loro equivalenti chimiche proporzioni ed i precipitati prodotti da questa scomposizione non possono in conseguenza essere mischiati in modo uniforme, ma debbono almeno in gran parte sovrapporsi l’uno all’altro. A questo si aggiunga che il carbonato di calce si precipita rapidamente, mentre lo zolfo prodotto dalla scomposizione dell’acido solfidrico resta per un tempo lunghissimo in sospensione nelle acque e non si depone che lentissimamente.

Se le sorgenti minerali sono intermittenti, ogni periodo di attività di queste sorgenti è rappresentato da uno straterello di calcare, povero di zolfo, e da uno straterello di zolfo, e si ha quindi la solata in cui il periodo consta di due termini rappresentata col tipo P. La solata rappresentata nel tipo Q in cui il periodo consta di tre termini, cioè di uno straterello di calcare compatto, di uno straterello di zolfo ed infine di uno straticello di calcare bianco cristallino, venne prodotta in un modo analogo a quello indicato per la formazione di questa varietà di minerale nell’ipotesi di sorgenti contenenti in soluzione monosolfuro di calcio.

In questa varietà di solata si verifica sempre uno spazio vuoto più o meno interrotto tra lo straterello di zolfo e lo straterello di calcare cristallino. Questo spazio vuoto doveva venire occupato dalle acque contenenti in soluzione bicarbonato di calce ed acido solfidrico. Le chimiche scomposizioni di queste sostanze così racchiuse, la formazione del carbonato di calce e la separazione dello zolfo, succedettero quindi lentamente [p. 58 modifica]e tanto il primo che il secondo si raggrupparono in cristalli. Lo strato di carbonato di calce cristallino è sempre in capo allo straterello di zolfo ed aderente allo strato superiore di calcare compatto. La ragione di questo fatto è ovvia e naturale. Le molecole di carbonato di calce, a misura che si precipitavano, dovevano portarsi a preferenza sul calcare superiore che sullo zolfo sottostante, e lo stesso reciprocamente si deve dire dello zolfo.

Ho osservato altresì che nelle spaccature o fessure incontransi spesso stalattiti calcaree, le quali sono accompagnate dal rinchiusu o dall’acido carbonico ivi racchiuso. La presenza contemporanea di questo gaz e delle stalattiti calcaree, prova che queste furono generate dalla scomposizione del bicarbonato di calce forse posteriormente alla formazione del minerale. Queste stalattiti sono tappezzate di cristalli di calcare spatico ed hanno la forma di romboedri inversi come quelli che, in varii casi, costituiscono lo straticello di calcare cristallino nella varietà di solata il cui periodo consta di tre termini Questo fatto pare indicare che gli straterelli suddetti furono in alcuni casi originati in un modo analogo a quello con cui furono formate le stalattiti calcaree. Se questi straterelli furono, come le stalattiti, prodotti dalla scomposizione del bicarbonato di calce, lo zolfo che le accompagna dovette venire prodotto dalla scomposizione dell’acido solfidrico, a meno che le stalattiti e gli straterelli sopraccennati sieno stati prodotti posteriormente alla formazione del minerale.

Che la formazione delle stalattiti calcaree e forse anche del calcare cristallino nel minerale a struttura solata tipo Q, si debba attribuire in parte a bicarbonato di calce penetrato in soluzione nel minerale posteriormente alla sua formazione e scomposto lentamente nelle cavità o nei vuoti del minerale suddetto, è cosa probabilissima.

Una parte notevole del minerale nell’epoca solfifera e nelle epoche successive fu ossidata e trasformata in solfato di calce. In questa trasformazione l’acido carbonico del carbonato che forma la matrice dello zolfo venne messo in libertà. Esso passò in parte in soluzione nelle acque, e, combinandosi col calcare restante, formò bicarbonato di calce, il quale, penetrando nelle cavità del minerale e scomponendosi lentamente, dovette produrre stalattiti calcaree e cristalli di carbonato di calce aventi le loro punte rivolte verso il muro degli strati.

L’ipotesi della genesi dello zolfo dall’idrogeno solforato associato al bicarbonato di calce serve altresì a spiegare la formazione del calcare avente la stessa struttura della solata a tre termini col difetto dello straterello di zolfo. L’acido solfidrico sarebbe in questo caso sfuggito probabilmente allo stato di gaz come nei laghi di Tivoli, e lo straterello di calcare cristallino sarebbe stato prodotto in un modo analogo a quello delle stalattiti calcaree.

Se l’ipotesi delle sorgenti contenenti bicarbonato di calce ed acido solfidrico serve benissimo a spiegare la genesi di tutti questi minerali e di queste rocce, non si può negare tuttavia che l’ipotesi di sorgenti contenenti in soluzione monosolfuro di calcio rende ragione in modo più soddisfacente della genesi della solata e specialmente dei rapporto intimo e costante tra le quantità cristalline di zolfo e di calcare, e dello sviluppo relativo dei cristalli di queste sostanze; poichè in questa ipotesi le formazioni del [p. 59 modifica]carbonato di calce e dello zolfo sarebbero fatti intimamente connessi fra loro, in modo da dare contemporaneamente origine a depositi di queste sostanze chimicamente fra loro equivalenti ed aventi nella loro struttura cristallina un corrispondente sviluppo. Il periodo che si osserva nella serie degli straterelli componenti i minerali listati, pare che, sia nella prima che nella seconda ipotesi, si debba sempre attribuire alla serie delle oscillazioni annuali delle sorgenti dipendenti dalla successione dell’epoca di lunghe pioggie e dell’epoca di siccità, che si verifica specialmente nella stagione estiva. Ogni periodo farebbe quindi il deposito che in un anno si sarebbe prodotto nei laghi solfurei, ed il numero dei periodi, che si possono osservare in tutto lo spessore del minerale di una solfara allorchè la sua struttura listata è ben definita, rappresenterebbe il numero di anni impiegati dalla natura per la sua formazione.

Nella Solfara Grande di Sommatino, come ho osservato, lo spessore del minerale arriva a 28m,5. La sua struttura non è tuttavia ivi tale da potere determinare il numero dei periodi corrispondenti ai varii depositi annuali. Questi periodi si possono determinare nella solfara limitrofa di Riesi, dove la struttura venata era nell’epoca che fu visitata ben definita. In questa solfara tuttavia pare che la potenza degli strati non sia superiore a 16 metri, e che in conseguenza lo spessore degli straterelli corrispondenti ad un periodo sia ivi minore di quello che dovrebbe essere per la Solfara Grande di Sommatino, supposto, come si può considerare come certo, che tutte e due le miniere siano state prodotte contemporaneamente. Prendendo adunque come dati per calcolare la durata del periodo di formazione del minerale lo spessore di 16 metri ed uno spessore complessivo di 7 millimetri per gli straticelli costituenti un periodo, la durata del tempo impiegato nella formazione di questa miniera sarebbe di 2300 anni. La cifra di 10,000 anni, attribuita alla durata dell’epoca solfifera propriamente detta, sarebbe esagerata, se non si comprendesse in questa cifra anche il tempo necessario per la formazione dei gessi che sono intercalati od inferiori al minerale di zolfo, e che si formarono dalla sua ossidazione completa in presenza del calcare nel periodo solfifero propriamente detto.

5° La produzione di una quantità così considerevole di minerale di zolfo in Sicilia, la potenza notevole degli strati solfiferi avuto riguardo specialmente alla loro piccola estensione, la massa enorme dei gessi originati dall’ossidazione completa degli elementi solfurei, dimostrano sicuramente che la riduzione del solfato di calce associato alle sostanze organiche nel miocene inferiore ebbe luogo in una scala immensa, e che questa riduzione venne coadiuvata dall’azione del calore dipendente dall’azione vulcanica, di cui se ne veggono vaste impronte in varie località dell’isola, e che fu causa, sebbene remota, dei grandi sconvolgimenti a cui soggiacque questo terreno. Non si può negare che l’elevazione di temperatura dell’eocene superiore, (o miocene inferiore) ha potuto determinare la formazione del monosolfuro di calcio, il quale sia rimasto indecomposto e sia venuto più tardi in soluzione nelle acque di sorgenti minerali. Ho tuttavia potuto esaminare in molte località, anche in prossimità dei centri solfiferi, i gessi del miocene inferiore, la cui riduzione fu la causa prima della formazione delle miniere di zolfo, ed in nessuna di queste località esse passarono allo stato anidro. Essi conservano da [p. 60 modifica]pertutto la struttura ed il carattere che assunsero allorchè vennero deposti dalle acque marine, che li tenevano in soluzione. Non ho potuto esaminare i gessi sottostanti al terreno solfifero. Se essi si incontrassero allo stato anidro, si dovrebbe ammettere che le sorgenti minerali che alimentavano i laghi solfurei contenevano in soluzione monosolfuro di calcio. Se i gessi suddetti fossero tuttavia passati allo Stato di anidrite inferiormente ai centri solfiferi, essi si dovrebbero incontrare allo stato anidro almeno in alcune località in vicinanza di questi centri. L’averli quindi trovati sempre inalterati, dimostra che probabilissimamente la temperatura del miocene inferiore non fu elevata al punto da trasformare in anidrite la massa dei gessi racchiusa in questo terreno e che si può ammettere con tutta probabilità che la loro riduzione abbia avuto luogo in presenza dell’acqua, e che il monosolfuro di calcio si sia scomposto allo stato nascente con produzione di bicarbonato di calce e di acido solfidrico.

Le acque dei laghi di Tivoli dimostrano chiaramente che la riduzione dei gessi può verificarsi in larga scala ad una temperatura di 24°.

Sono rinomate in Sicilia le acque solfuree di Santa Venera, località distante tre chilometri circa da Aci-Reale, dove ora furono condotte per dare vita ad un bellissimo stabilimento di bagni eretto dal barone Pennisi. Le acque solfuree sgorgano superiormente ad un banco di argilla racchiuso fra le rocce vulcaniche dell’Etna, e ciò non ostante la loro temperatura non è che di 22°.5 centigradi (V. Analisi di G. de’ Gaetani). Queste acque contengono bicarbonato di calce ed acido solfidrico, solfato di calce, solfato di magnesia, cloruro di sodio e materia organica.1 Esse sono quindi analoghe alle acque dei laghi di Tivoli, e la presenza dell’acido solfidrico e del bicarbonato di calce vi è dovuta alla riduzione del solfato di calce per mezzo delle sostanze organiche, e dimostra che, se anche sull’Etna nella formazione di una sorgente solfurea non si osserva un’elevazione di temperatura, non è necessario“ammettere che durante l’epoca solfifera questa elevazione, tutto che certa, sia stata tale da trasformare i gessi in anidrite. Nella storia delle eruzioni vulcaniche della Sicilia debbonsi distinguere due periodi. Il periodo più recente cominciò alla fine dell’epoca pliocenica od al principio dell’epoca attuale: il periodo più antico cominciò allorchè ebbe fine l’epoca miocenica, ed a questo periodo debbonsi riferire i basalti della base dell’Etna, i quali si mostrano in forma maestosa appunto in queste regioni e specialmente in prossimità di Aci-Castello. L’argilla superiore a questi basalti è un deposito marino dell’epoca pliocenica. Nel sollevamento del suolo si formò in questa regione una specie di lago, in cui si evaporavano le acque del mare. Il deposito chimico di solfato di calce, di cloruro di sodio ec., restò probabilissimamente associato alle alghe trascinate nel lago dalle acque che vi penetravano per supplire all’evaporazione, come succede attualmente nelle saline. Dalla scomposizione di queste sostanze organiche, dalla loro azione sul solfato di calce, derivano le esalazioni di idrogeno carbonato e la natura solfurea della sorgente. [p. 61 modifica]

Si può quindi ammettere che la riduzione dei gessi del miocene inferiore potè verificarsi in larga scala anche senza un’elevazione di temperatura tale da trasformare in anidrite il solfato di calce, e che questa riduzione potè avere luogo in presenza dell’acqua con formazione di acido solfidrico e di carbonato di calce.

La riduzione del solfato di calce per mezzo delle sostanze organiche succede facilmente se queste sostanze sono in scomposizione. Lo sviluppo del gaz delle paludi dai laghi di Tivoli, dalle acque di Santa Venera e da altre innumerevoli sorgenti solfuree dimostra che in queste acque si trovano in scomposizione sostanze organiche. Questa scomposizione doveva nelF epoca solfifera verificarsi in grandi proporzioni, e doveva in conseguenza avere luogo anche in grande proporzione la riduzione dei gessi associati ai depositi delle fucoidi. Nella scomposizione delle sostanze organiche si ha sempre uno sviluppo di calore: questo calore è quindi causa almeno parziale dell’elevazione di temperatura che si osserva in molte sorgenti solfuree. Nella riduzione del solfato di calce si ha, è vero, un assorbimento di calorico, ma questo assorbimento è compensato dal calore prodotto dall’ossidazione delle sostanze organiche sopraccennate.

Nella Memoria si legge che «eccettuata la regione orientale dell’isola verso Raddusa e Centorbi ed i basalti di Cattolica (località solfifere), non furono ancora incontrate rocce vulcaniche in posizione primitiva nella zona principale del miocene superiore.» Invece delle parole verso Raddusa e Centorbi si dovrebbe leggere al di là di Centorbi. Nei dintorni di Raddusa non si incontrano rocce vulcaniche in posizione normale, ma solo pezzi e massi erranti come in varie altre località della zona solfifera.

6° La formazione dei banchi di tripoli inferiormente al minerale di zolfo, qualora debba venire considerata come una conseguenza dell’azione dell’acido carbonico prodotto dalla riduzione dei solfati per mezzo delle sostanze organiche sulle argille, e della successiva liberazione della silice che fu segregata dagli infusorii, serve a dimostrare chiaramente che la riduzione dei solfati ebbe luogo molto tempo prima dell’apparizione delle sorgenti solfuree, che il monosolfuro di calcio non venne scomposto allo stato nascente e che passò quindi più tardi in soluzione nelle acque che lo portarono nei laghi solfiferi.Un’obbiezione molto seria sorge ora contro questa ipotesi. Se le emanazioni di acido carbonico originato dalla riduzione dei solfati penetravano nelle acque dei laghi, queste acque avrebbero dovuto alla loro volta penetrare a traverso le fessure ed i meati percorsi dall’acido carbonico fino alT incontro dei solfati in istato di riduzione. In questo caso la riduzione avrebbe avuto luogo in presenza dell’acqua, il monosolfuro di calcio si sarebbe scomposto allo stato nascente con produzione di carbonato di calce e di acido solfidrico, la riduzione suddetta si. dovrebbe considerare come un fatto contemporaneo dell’apparizióne delle sorgenti solfuree nei laghi del miocene superiore, ed i banchi di tripoli dovrebbero essere contemporanei della formazione dello zolfo.

Se si ammette quindi che le sorgenti contenevano in soluzione bicarbonato di calce ed acido solfidrico, devesi ammettere altresì che la causa principale determinante la formazione dei banchi di tripoli non è la citata azione dell’acido carbonico sulle argille e marne del miocene inferiore. [p. 62 modifica]

Affinchè gl’infusorii potessero moltiplicarsi in modo così favoloso da dare origine ad un deposito avente in alcune località 40 e più metri di potenza, una quantità enorme di silice dovette indispensabilmente passare in soluzione nelle acque dei laghi dell’epoca miocenica. Queste acque dovettero inoltre essere abbondantemente impregnate di sostanze organiche in scomposizione: sia gli elementi organici che la silice furono somministrati in abbondanza dal miocene inferiore (eocene superiore). Venne poco fa osservato che la scomposizione delle sostanze organiche prodotte dal deposito delle fucoidi doveva verificarsi in una scala gigantesca durante l’epoca solfifera, affinchè la riduzione dei solfati potesse procedere in proporzioni corrispondenti agli effetti ed alle impronte che ci lasciò in questo terreno. Tutte le rocce di quest’epoca sono impregnate di queste sostanze. Le acque che da esse scaturiscono sono ancora attualmente ricche di elementi organici. Le acque dei laghi dovevano essere quindi ricchissime di sostanze organiche in scomposizione e, dato che non vi fosse difetto di silice per la formazione degli scheletri degl’infusorii, questi dovevano realmente moltiplicarsi in proporzioni favolose. Le sostanze organiche stesse derivanti dalle fucoidi dovevano somministrare una certa quantità di silice al lavorío degl’infusorii. Da un’analisi fatta da Knauss sulle ceneri delle fucoidi del Mar Bianco (Bollettino dell’Accademia di Pietroburgo, tomo 2º, 1860) appare che esse contengono il 42,635 per % di silice. L’acido silicico ha molta tendenza a combinarsi colle sostanze organiche, e la presenza di queste sostanze in quantità straordinaria nei laghi può avere favorito notevolmente la presenza della silice necessaria per la formazione delle spoglie degli infusorii. La maggior parte della silice pare tuttavia che sia stata fornita dalla riidda sparsa nel miocene inferiore. La composizione della riidda è la seguente:


Acqua ed Acido carbonico 0,169
Silice 0,634
Allumina ed Ossido di ferro 0,132
Calce 0,023
Cloruro di sodio e traccie di altri sali solubili nell’acqua 0,025
Magnesia 0,015

0,998


La composizione del tripoli è:


Silice 0,686
Allumina ed Ossido di ferro 0,036
Calce e Magnesia 0,121
Sostanze organiche, Acqua ed Acido carbonico 0,152

0,995


L’analogia che si osserva tra questi risultati è degna di osservazione, ed indica la possibilità che la riidda abbia fornito il materiale per la genesi del tripoli. Allorchè essa è stemperata nell’acqua, prende una struttura fioccosa simile ai precipitati chimici di recente formati e resta per un tempo lunghissimo in sospensione.

La riidda pura non si trova in tutte le località della zona solfifera. Essa si trova tuttavia in grande abbondanza nella massima parte dei punti di questa zona associata [p. 63 modifica]alle marne ed argille del miocene inferiore. La divisione pressochè chimica di questo materiale fu causa che essa venisse facilmente trasportata a dalle acque nei laghi dell’epoca solfifera, nei quali potè poscia passare in soluzione o restare lungo tempo in sospensione, in modo da potere essere segregata dagli infusorii per la fabbricazione delle loro spoglie. Pare quindi che la silice, che forni il materiale per la formazione dei banchi di tripoli, in gran parte provenga dalla riidda, in parte dalle sostanze organiche che si trovavano in abbondanza nei laghi sulfurei, in parte infine dalla scomposizione dei silicati per mezzo dell’acido carbonico e degli altri acidi originati essi stessi dalla scomposizione delle sostanze organiche. Pare che questa scomposizione sia facilitata dal miscuglio di acque dolci e di acque salate, il quale doveva succedere necessariamente nei laghi miocenici.

Tutte le acque che in Sicilia percorrono la zona delle argille salifere, sono tutte più o meno salate: sono altresì salati i piccoli laghetti, i quali si trovano in questa zona. Molto più salati dovevano essere i laghi sulfurei alimentati da acque, le quali dovevano necessariamente percorrere o trovarsi in contatto colle marne salifere del miocene inferiore o del miocene medio, le quali ultime altresì racchiudono nella zona solfifera una certa quantità di cloruro di sodio proveniente dal miocene inferiore. Ancorchè le acque contenessero in soluzione una piccola quantità di cloruro di sodio, il loro arrivo periodico in tutti gli anni nei laghi, e la concentrazione costante di queste soluzioni saline prodotte dalla loro evaporazione dovevano aumentare in modo notevolissimo la loro salsedine. In prossimità poi delle miniere di salgemma, come a Villarosa, a Serradifalco, a Montedoro, Bonpensieri, Sutera, Casteltermini e specialmente a Racalmuto i laghi sulfurei dovevano essere salatissimi.

Dopo un periodo di grandi piogge dovevano scaricarsi nei laghi molte acque, le quali, se non erano dolci, potevano tuttavia essere considerate come tali, allorchè il cloruro di sodio che si trovava sul cammino da esse percorso, era stato quasi tutto esportato. Il miscuglio sopraccennato delle acque dolci e delle acque salate, doveva quindi succedere necessariamente, e doveva in conseguenza essere facilitata la scomposizione delle sostanze organiche. Ammessa l’ipotesi esposta nella Memoria sulla genesi del tripoli e del calcare siliceo, questo sarebbe il rappresentante del carbonato di calce originato dalla scomposizione dei silicati per mezzo dell’acido carbonico, e dovrebbe occupare il posto che occupa effettivamente nella serie successiva delle varie rocce.

Il carbonato di calce infatti non poteva precipitarsi nelle acque dei laghi mentre grande era la quantità di acido carbonico che vi arrivava, a meno che cominciassero ad essere sature. La precipitazione del carbonato doveva quindi essere preceduta da un deposito di tripoli.

Se invece si ammette che la riduzione dei solfati e l’apparizione degli elementi sulfurei nei laghi dell’epoca miocenica sono fatti contemporanei, l’origine del calcare siliceo deve essere in parte attribuita all’azione delle acque piovane che, raccogliendosi nei laghi suddetti, vi portarono il carbonato di calce sciolto nel loro cammino mercè l’acido carbonico da esse assorbito nell’atmosfera, ed attribuito per l’altra parte al [p. 64 modifica]bicarbonato di calce contenuto in soluzione unitamente all’acido solfidrico nelle acque delle sorgenti minerali. L’acido solfidrico sarebbe stato od ossidato completamente con formazione di solfato di calce, oppure disperso nell’atmosfera in un modo analogo a quello, che succede nei laghi di Tivoli. La sua dispersione potrebbe inoltre essere stata facilitata dall’azione del calore o dalla temperatura più elevata delle sorgenti.

Il calcare siliceo considerato sotto questo rapporto, non sarebbe più in gran parte che un calcare corrispondente al calcare solfifero, povero o privo di zolfo, prodotto nelle circostanze accennate nella Memoria. Lo zolfo, che non di rado si incontra in questo calcare, pare confermare l’ipotesi ora esposta sulla sua origine. Il calcare privo di zolfo, che giace in banchi potenti sopra il minerale delle solfare Messana, sopra una parte delle solfare di Grottacalda, di Fioristella ed in altre solfare, ed i banchi di calcare siliceo inferiormente allo zolfo, sarebbero quindi stati originati in modo analogo, e dovrebbero venire considerati come una sola formazione unitamente al calcare solfifero. Siccome però il calcare privo di zolfo trovasi nella massima parte dei casi inferiore al minerale, credo conveniente nella serie dei terreni indicata nella Memoria e ripetuta al principio di questa Appendice, di conservare anche in questa ipotesi (sorgenti di bicarbonato di calce ed acido solfidrico) al calcare siliceo il posto che gli ho attribuito e che esso vi conserva quasi constantemente.

7° Di minore importanza è l’ultima delle considerazioni sovraesposte in favore delle sorgenti contenenti in soluzione monosolfuro di calcio. L’essere la zona del miocene inferiore formata di marne impermeabili alle acque, è sicuramente un fatto il quale serve a dimostrare la possibilità che la riduzione dei solfati sia stata operata senza la presenza delle acque, e la probabilità che le sorgenti sulfuree abbiano assunto un carattere analogo a quello delle maccalube.

Che molte sorgenti sulfuree abbiano assunto nell’epoca solfifera il carattere di maccalube, e che queste abbiano avuto un’influenza notevole su tutta la formazione solfifera, sia come centri eruttivi, sia come centri di sollevamento, è un fatto che pare oramai incontestabile. Ora nelle maccalube, quando assumono il carattere delle sorgenti dell’epoca solfifera, l’apparizione degli elementi sulfurei si verifica nello stesso tempo in cui succede la riduzione dei solfati (poichè vi si nota un aumento di temperatura nelle loro emanazioni) ed il monosolfuro di calcio si scompone allo stato nascente con produzione di acido solfidrico e di bicarbonato di calce. È quindi più naturale e più probabile in conseguenza l’ipotesi che le sorgenti dell’epoca solfifera analoghe alle maccalube, contenessero altresì in soluzione bicarbonato di calce ed acido solfidrico.

Nella Memoria si legge: «Non è ammessibile che la riduzione dei solfati sia stata operata in Sicilia in tutto ed in tutte le località assolutamente all’infuori dell’acqua. Che anzi è probabile che varii calcari di quest’epoca poveri o privi di zolfo, provengano appunto dal bicarbonato di calce nel modo che ci mostrano i laghi di Tivoli....... La presenza dell’acqua d’altronde ai solfati può essere stata agevolata dal maggiore sviluppo o delle arenarie ferruginose o del calcare concrezionato e cavernoso.»

Queste rocce si trovano precisamente intercalate od in contatto col deposito di solfato di calce del miocene inferiore, dalla cui riduzione furono originati i giacimenti [p. 65 modifica]solfiferi della Sicilia. Le arenarie, e specialmente il calcare concrezionato, sono permeabili alle acque, ed abbenchè il loro deposito sia spesso interrotto, esse compariscono in vari punti in tutta la zona solfifera. Le acque piovane potevano in conseguenza penetrare in questa formazione fino ai gessi in processo di riduzione, sciogliere ivi il.bicarbonato di calce e l’acido solfidrico prodotto dalla riduzione di questi gessi, e sortire infine alla luce inferiormente o dalle arenarie ferruginose e gessose, oppure con maggiore facilità dalle molte fessure e divisioni dei banchi di calcare a Nummuliti e di alberese sottostanti. Il deposito di solfato di calce del miocene presenta il suo massimo sviluppo immediatamente sopra l’alberese ed in suo contatto, ed in alcuni casi l’alberese ed il deposito gessoso prodotto dall’evaporazione delle acque marine sono, nel passaggio da una formazione all’altra, più volte tra loro intercalati. Le acque che alimentavano le sorgenti solfuree dovevano quindi in molti casi scaturire dal calcare suddetto.

Sono molto rinomate in Sicilia le sorgenti solfuree termali dei Bagni Saraceni presso Villafrati, del Monte San Calogero presso Sciacca, di Termini e di Sclafani.

La sorgente solfurea dei Bagni Saraceni sotto Villafrati, scaturisce appunto dal calcare alberese. All’alberese, in linea ascendente, succede la formazione gessosa del miocene inferiore associata con marne e sostanze organiche. L’acqua della sorgente è impregnata di queste sostanze, e contiene in soluzione come elementi principali solfato di calce, bicarbonato di calce ed acido solfidrico. Queste ultime sostanze derivano quindi senza dubbio dalla riduzione dei gessi esistenti nel miocene inferiore. Le acque piovane filtrano a traverso queste formazioni, sciolgono il bicarbonato di calce e l’acido solfidrico, e, penetrando a traverso le fessure e gli interstizii esistenti fra i diversi strati di alberese, i quali sono ivi molto inclinati, vengono a scaturire presso il fondo della valle tra Villafrati ed Ogliastro.

Le rinomatissime sorgenti termali del Monte San Calogero, presso Sciacca, scaturiscono pure dall’alberese ed hanno una origine identica a quella dei Bagni Saraceni. La loro temperatura è di 56° centigradi.

Tutte queste sorgenti sono quindi tanti monumenti, che ci rappresentano ancora i fenomeni che diedero origine alla formazione del terreno solfifero, il terreno che fu la sede di questi fenomeni e gli elementi che servirono a produrli. Una parte delle sorgenti minerali dell’epoca solfifera scaturirono dal calcare alberese, altre assunsero il carattere delle maccalube, e tutte provennero dalle acque piovane che filtrarono a traverso il miocene inferiore.

L’ipotesi che le sorgenti sulfuree dell’epoca miocenica contenessero in soluzione in molti casi bicarbonato di calce ed acido solfidrico, è più consentanea alla pluralità dei fatti che succedono nella natura e particolarmente in Sicilia nello stesso terreno ed in condizioni analoghe a quelle che determinarono i fenomeni dell’epoca solfifera. A questa ipotesi si deve quindi attribuire probabilmente nella formazione delle miniere di zolfo un’importanza maggiore che a quella di sorgenti contenenti in soluzione monosolfuro di calcio.

Le considerazioni precedenti non escludono che in alcuni casi la formazione delle [p. 66 modifica]miniere di zolfo si debba attribuire alla scomposizione del monosolfuro di calcio nei laghi miocenici in presenza dell’ossigeno e dell’acido carbonico dell’atmosfera nel modo esposto nella Memoria. Che anzi è cosa probabilissima, che in Sicilia in quell’epoca esistessero sorgenti di monosolfuro di calcio, non potendosi rivocare in dubbio l’elevazione di temperatura del terreno eocenico in quest’epoca, onde avesse luogo in larga scala la riduzione dei solfati. Del resto, se l’acido carbonico libero scompone in presenza dell’acqua il monosolfuro di calcio, pare che il monosolfuro suddetto non sia scomposto dall’acido carbonico combinato colla calce allo stato di bicarbonato.

Non mancano in natura esempi di sorgenti contenenti in soluzione solfuro di calcio e bicarbonato di calce. Oltre quelle già citate nella Memoria, meritano una speciale menzione quelle di Stolypin, le cui analisi sono state pubblicate da Schmidt (Bollettino dell’Accademia di Pietroburgo, vol. 9, 1866).


MATERIE DEPOSITATE DALL’ACQUA SALSA. Stolypin. Staraja Russa. Orensburg. Hapsal.
Sali solubili 8,55 27,02 9,89 3,06
FeS 6,15 25,88 25,75 19,61
FeS2 4,98
CaS 11,93 0,24 0,45
CaO,CO2 6,65 28,34 12,09 14,15
MgO,CO2 5,59 2,12 0,25
3CaO,PhO4 0,02 0,02 0,02
Silicati e sabbia quarzosa 417,43 364,27 531,34 627,25
Sostanze organiche (detriti di alghe) 55,23 38,56 22,16 18,19
Solfuro di ammonio 0,18
Acqua 483,46 515,93 396,20 317,19




999,99 1000,00 999,99 1000,17


Importantissimo è il risultato dell’analisi di Stolypin, e specialmente la presenza di 11,93 di monosolfuro di calcio, con 55,23 di sostanze organiche (detriti di alghe). Questa analisi sola prova la possibilità e la probabilità che fra le sorgenti dell’epoca solfifera si trovassero sorgenti di monosolfuro di calcio, e ciò tanto più in quanto che queste regioni della Russia si avvicinano per i loro fenomeni alle condizioni in cui versava la Sicilia durante l’epoca solfifera.

A qualunque di queste due ipotesi del resto si voglia dare la preferenza, certa cosa è che esse si riducono ad una ipotesi unica.

Che i depositi di zolfo della Sicilia derivano dalla scomposizione del monosolfuro di calcio, generato dalla riduzione dei gessi marini del miocene inferiore, in presenza delle sostanze organiche prodotte dalle alghe e specialmente dalle fucoidi.


Genesi delle piriti. — L’ossido di ferro sparso nell’argille del miocene inferiore, o sotto forma di arnioni oppure in grani anche minutissimi, è associato al solfato di calce deposto come il ferro stesso dall’evaporazione delle acque del mare. Spesso questo deposito è accompagnato dalle sostanze organiche originate dalla scomposizione delle fucoidi. Il ferro, essendo associato a sostanze organiche ed a solfato di calce, venne [p. 67 modifica]trasformato in pirite. La ragione di questa trasformazione dell’ossido di ferro in solfuro è evidente. La riduzione del solfato di calce per mezzo delle sostanze organiche dà luogo a monosolfuro di calcio, il quale si scompone al suo stato nascente con formazione di acido solfidrico e di carbonato di calce se la riduzione ha luogo in presenza dell’acqua. L’acido solfidrico passa in soluzione e trasforma in solfuro l’ossido di ferro col quale viene in contatto. Se la riduzione non ha luogo in presenza dell’acqua, il monosolfuro può passare più tardi in soluzione e, venendo in contatto col ferro, si scompone cedendogli il suo zolfo e trasformandolo in pirite.

È probabile che i depositi di marcassite che si trovano nel terreno triassico, abbiano la stessa origine, essendovi una grande analogia tra la formazione del Trias e quella del miocene inferiore (eocene superiore). Nella Memoria si legge: «I depositi di solfuro di ferro possono provenire dalla solfurazione di depositi marini di ossido o di cloruro di ferro associati a solfato di calce ed a materie organiche.» Questa frase deve essere in parte dilucidata, in parte corretta. Il carbonato di ferro non è direttamente un deposito di natura marina: se si incontra in un deposito marino, come in Sicilia, è il prodotto della trasformazione del perossido di ferro in carbonato per mezzo delle sostanze organiche. Nella citata espressione avrebbero poi dovute essere tralasciate le parole cloruro di ferro, non potendo questo provenire dall’evaporazione delle acque del mare.

Nelle arenarie ferruginose che si incontrano alla base del miocene inferiore il ferro è spesso allo stato di marcassite. Un bellissimo esempio di queste arenarie ferruginose contenenti pirite di ferro, si ha in un cocuzzolo che sporge fra le marne a breve distanza della sponda sinistra del fiume Imera, oltrepassata la solfara di Fiume di Riesi e discendendo lungo il fiume suddetto. Presso questo cocuzzolo l’ingegnere Moris trovò nelle marne grani di calcopirite e di carbonato di rame.

In contatto colle arenarie e con esse legato trovasi quivi il calcare concrezionato del miocene inferiore. Essendo quindi queste rocce comprese nelle argille associate a solfato di calce in quantità considerevolissima ed a sostanze organiche, le acque, che filtrano a traverso le arenarie ed il calcare, rocce tutte permeabili, debbono contenere in soluzione acido solfidrico ed il ferro deve in conseguenza passare allo stato di pirite.

Il calcare concrezionato e specialmente le arene ed arenarie ferruginose, sono due rocce importantissime nel miocene inferiore e sono sempre in contatto colle argille ferruginose e gessose associate a sostanze organiche. I depositi di scisti bituminosi che si incontrano in Sicilia in questa formazione sono generalmente in contatto col calcare concrezionato sopraccennato. Le sorgenti dell’epoca solfifera dovevano quindi percorcorrere in moltissimi casi queste rocce. Ammessa questa ipotesi ne deriva:

1° Che l’ossido di ferro, il quale si trovava lungo il cammino percorso dalle acque solfuree, dovette passare allo stato di marcassite, e che a questo fenomeno è appunto dovuta la presenza della marcassite in questa formazione;

2° Che la riduzione del solfato di calce, da cui provennero i depositi solfiferi, [p. 68 modifica]dovette avere luogo in molti casi in presenza delle acque, essendo le rocce intercalate con questo deposito gessoso alle acque permeabili.

Degna di considerazione è l’analogia indicata nella Memoria tra il Trias od il terreno delle nuove arenarie rosse ed il miocene inferiore (eocene superiore).

Queste formazioni sono essenzialmente caratterizzate dall’associazione in vasta scala di depositi prodotti per via meccanica con depositi prodotti dall’evaporazione successiva delle acque del mare, e possono, quando la serie di questi depositi è quasi completa, essere considerate come saline naturali in una scala immensa.

Non solo in Sicilia e nell’Italia peninsulare si trovano i depositi prodotti dall’evaporazione delle acque marina associati ad argille ed a marne nel terreno eocenico, ma altresì nell’Algeria, nella Persia, nei dintorni del Mar Caspio, in Polonia, nella Moldavia, nella Valachia, ec. ec. La formazione contemporanea in tutte queste regioni di vaste saline naturali in larga scala, è un fatto dovuto alle grandi dislocazioni nella crosta della terra ed alle grandi modificazioni nel movimento di oscillazione del suolo, che separarono profondamente la formazione terziaria dalla formazione secondaria. Il miocene inferiore (eocene superiore) occupa nel terreno terziario il posto analogo a quello che nel terreno secondario è occupato dal Trias, ed è per una ragione analoga che questa formazione è in molti punti ricca degli elementi prodotti dall’evaporazione delle acque del mare. Si può quindi stabilire, che l’apparizione di una nuova grande epoca geologica è non solo caratterizzata dall’apparizione di una nuova fauna, ma altresì dalla formazione di numerosi ed immensi depositi dei sali marini. Questa formazione deve modificare profondamente la proporzione degli elementi contenuti in soluzione nelle acque del mare, rendendole proporzionatamente meno ricche degli elementi meno solubili. L’apparizione di una nuova grande epoca geologica ha quindi per effetto di modificare nella prima parte del periodo successivo la natura delle acque dell’Oceano.

Ho nella Memoria osservato che i depositi di marcassite esistenti nel Trias hanno un’origine analoga a quella delle marcassiti esistenti nel miocene inferiore della Sicilia. Il terreno triassico è più ricco in depositi di ossido di ferro e di marcassiti di quello che lo sia il terreno terziario: esso è tuttavia meno ricco del terreno di transizione e specialmente del siluriano. Questo è il terreno per eccellenza dei depositi di galena, di calcopirite, di marcassite ed in genere dei depositi metallici. Questa scala, questa proporzione decrescente nei depositi di questi metalli dal terreno di transizione al terreno terziario, pare confermare quanto venne detto poc’anzi sulla variazione di composizione delle acque dell’Oceano nel periodo successivo a quello dell’apparizione di una grande epoca geologica.

  1. Aveva scritto questa Appendice allorchè ricevetti il pregevolissimo lavoro del prof. Silvestri, Sulla composizione chimica dell’acqua minerale di Santa Venera. Egli vi ha constatato la presenza del solfuro di sodio, l’assenza del solfato di calce, ciò che prova che alla temperatura di 19° la riduzione dei solfati di calce, di sodio ecc., è completa. Constatò di più la presenza d’un idrocarburo gassoso sciolto nelle acque.