Storia di Torino (vol 2)/Libro II/Capo VIII

Libro II - Capo VIII

../Capo VII ../../Libro III IncludiIntestazione 22 ottobre 2023 75% Da definire

Libro II - Capo VII Libro III
[p. 278 modifica]

Capo Ottavo


Confraternita del Santissimo Sudario — Manicomio. Sue qualità. Numero de’ ricoverati. — Spedale di San Luigi pe’ cronici. Ottime disposizioni locali di questa fabbrica. Letti fondati dal Re Carlo Alberto per le malattie cutanee appiccaticcie. — Incendio nella casa del conte Bugino nel 1741. — Breve storia del monastero di S.ta Chiara. — Piazza della Consolata.


Ora ci conviene risalire a porta Susina e percorrere le vie traverse a manca di Dora Grossa.

La prima via traversa nulla rammenta che degno sia di memoria.

Nella seconda troviamo in capo del terzo isolalo a diritta, lungo la via del Deposito, la chiesetta del Santo Sudario e della Vergine delle Grazie ufficiala dalla confraternita di questo nome.

Dapprima la chiesa non era che un oratorio interno. Nel 1764 la confraternita ottenne il permesso d’aprirlo verso la strada: poi anche ragioni di sepoltura, per cuj ebbe lunghe e gravi questioni col parroco del Carmine. [p. 279 modifica]

Questa confraternita fu eretta nel 1598 sotto gli auspizii di Carlo Emmanuele i. Prima ufficiava la chiesa di San Pietro de curte ducis. Di là erasi trasferita a Sta Maria di Piazza. Nel 1728 avendo inteso che Vittorio Amedeo ii desiderava si edificasse uno spedale pe’ mentecatti, dichiarò d’esser pronta a pigliar sopra di se questo carico, ed avuto dal re in dono il terreno, v’edificò la chiesa e lo spedale che servì fino ai dì nostri a quest’uso.

Nel 1818 fu cominciala la nuova fabbrica, il cui ingresso si trova in capo della medesima via. E più capace provveduta d’ampio giardino e pili acconcia al fine che vi si propone la carità, più conforme ai miglioramenti con felice prova introdotti in altri paesi nella cura dei mentecatti. Il chiarissimo dottor Bonacossa, medico del Manicomio, il quale ha visitalo i principali Manicomii stranieri, scrive che nissuno di quelli che ha veduto è così ricco di gallerie ed ambulatorii, per cui in ogni stagione ed in ogni tempo sono sempre facili il passeggio ed altri modi d’esercizio corporale de’ mentecatti. Guislain, lodando in molte cose l’interna disposizione di questo spedale, non approva la facilità che vi trovano i mentecatti a far ragunate e convegni, mentre lo studio dell’architetto dovrebbe essere di separarli e disseminarli. Ma considerato in tutte le sue condizioni è uno de’ migliori che si sieno finora costrutti.1 Architetto del novello edilizio, fu il [p. 280 modifica]cavaliere Giuseppe Talucchi. Il numero de’ mentecalli che vi sono ricoverali è salilo alla mela del 1844 ai 500, ed ora (marzo 1846) è di 453, di cui 252 uomini e 201 donne.

Ma tra l’antico ed il nuovo manicomio sorge un altro spedale che onora immensamente la carità nazionale. È questo lo spedale di S. Luigi in cui si raccettano i cronici e gli altri poveri abbandonati.

Ebbe, come la maggior parte degli instituti di beneficenza, privata origine nel 1794. Il sacerdote Barucchi curato della cittadella, Molineri acquacedrataio, Orsetti mercante ne furono i fondatori. Protetta dal cardinale Costa arcivescovo di Torino, quella pia congregazione ottenne quattr’anni dopo rendila certa da Vittorio Amedeo iii. Ma le private liberalità furon quelle che la posero in grado d’adempiere così largamente i due fini che si propose, di ricoverar cioè gli infermi abbandonali e di soccorrere i poveri a domicilio.

Il suo primo spedale era in una casa a porta Susina, sul prato della cittadella. Dopo la restaurazione cominciò la nuova stupenda fabbrica, a croce di Sant’Andrea, dove non fu ommessa industria, perchè l’aria si rinnovasse perennemente per mezzo degli opportuni sfiatatoi, perchè i convalescenti avessero modo di passeggiare al coperto ed all’aperto; perchè nel caso frequente di dolorose operazioni il letto dell’infermo possa esser tratto in sull’istante in un andito [p. 281 modifica]posteriore e risparmiare agli altri infermi un crudele spettacolo; e perchè si possa nella medesima guisa sottrarre ai poveri languenti la funebre vista del letto che racchiude le spoglie d’un trapassato. La carità non poteva essere più ingegnosa; e grande onor ne torna all’architetto Talucchi, il quale l’imaginò, ed agli amministratori che consentirono ad eseguirne il concetto, ancorché dispendioso, consapevoli che in fatto di pubblici monumenti bisogna cercar l’ottimo, e che per far molto bene vi vuol molta spesa; ma che al dispendio richiesto da tali instituti soccorre la Provvidenza che regola i cuori degli uomini e le ultime disposizioni di chi muore. E diffatto la generosità de’ benefattori s’accrebbe in proporzion del bisogno.

In questo spedale il re Carlo Alberto fondò ventiquattro letti per infermi od inferme travagliate da lebbra, pellagra, cancroide, ed altre malattie cutanee contagiose.

Una bella regola di questo spedale si è d’ammettere per quindici giorni alla mensa i risanati, già usciti, affinchè ben raffermata ne sia la convalescenza primachè tornino al cibo degli indigenti, con pericolo di ricadere, come accade pur troppo assai sovente in altri spedali. Perchè allora a che serve l’averli guariti?

Nell’altra via traversa, che s’intitola delle Scuole [p. 282 modifica]non v’ha nulla da osservare dopo il collegio del Carmine, di cui abbiam parlato, fuorchè il palazzo del conte Peyretti ristaurato sui disegni dell’architetto Borra dove sono affreschi di Giovanni Perego. Apparteneva un tempo al gran cancelliere conte Carlo Ludovico Caissotti, morto in aprile del 1778.

Ma tanto più ricca di memorie è la spaziosa via della Consolata. Senza parlare de’ palazzi Paesana e e Cigala, già mentovati, accenneremo che nella casa delle Orfane, posta di fronte a quest’ultimo abitava nel 1741 il famoso ministro conte Bogino. Intorno alla mezzanotte, cominciando il giorno 29 giugno, le fiamme ne invasero l’appartamento, sicchè a gran pena potè salvar le scritture. Tutto il rimanente, insieme colla casa del primo piano sino al tetto, fu preda del fuoco. Una scopa dimenticata dalla fantesca del Bogino presso al focolare della cucina fu causa di tanto male.2

Procedendo per questa via verso settentrione, si incontra il monastero di Sta Chiara chiamato anticamente delle Serafe che già fioriva prima della metà del secolo xiu presso le mura. Nel 1313 ne fu benedetta badessa suor Bianca de’ marchesi di Ceva; non è noto in qual anno ne avvenisse la fondazione; ma che ciò seguisse vivendo ancor Sta Chiara lo dimostrava un atto originale dell’undici di luglio 1244 conservato nell’archivio del monastero, col quale la città di Torino concedeva alle monache un acquedotto [p. 283 modifica]per irrigare i loro beni situati presso il borgo di Colleasca.3

Nel 1504 Benedetto xi volendo sovvenire alla povertà di queste religiose, unì al monastero di Sta Chiara la chiesa rurale di S. Benedetto situata presso a Torino e vicina al detto monastero,4 purchè il preposi to di Montegiove che credeva d’avervi ragione vi consentisse. Intorno al 1450 essendo stati rimossi gli Umiliati dal vescovo Ludovico Romagnano, i beni che ai medesimi apparteneano furono conceduti, parte agli Agostiniani chiamati in loro vece, parte alle monache di Sta Chiara. Maria di Savoia figliuola del duca Amedeo viii e vedova di Filippo Maria Visconti, duca di Milano, pigliò l’abito religioso in questo monastero, facendo i voti di Terziaria.

Questa principessa vivea ancora nel 1469, nel qual anno a’ 29 d’agosto assisteva a Rivoli alla traslazione del corpo del beato Antonio Neirotti.5 Fu sepolta nel monastero e non rimase memoria del sito.

Nel 1601 il monastero d’Albrione appiè del monte Calvo, coll’annessa chiesa di Sta Maria della Spina fu unito a quello di Sta Chiara. Poco più d’un secolo dopo, ampliandosi la città a ponente s’accrebbero anche le fabbriche del monastero che vennero ricostrutte parte nel 1742, parte nel 1768.

La chiesa delle monache è nell’altra fronte dell’isola a levante, nella via delle Orfane e fu rifatta [p. 284 modifica]nel 1745 sui disegni dell’architetto Bernardo Vittone. La tavola del primo altare a destra con Sant’Antonio da Padova e S. Giuseppe, è di Giovanni Conca, fratello ed aiuto del celebre cavaliere Sebastiano e particolarmente rinomato perla bravura con cui copiava le tavole degli antichi maestri. Questo convento che apparteneva alle Francescane scalze fu dopo il 1814 assegnato alle suore della Visitazione.

L’ultimo palazzo a destra, che ora appartiene al marchese d’Ormea, è sede del tribunale di Prefettura, e fu per molto tempo occupato dal Senato. A’ tempi d’Emmanuele Filiberto vi si volea trasferir lo spedale del duomo per levarlo dal sito in cui era presso al palazzo ducale.

Sulla piazzetta che è a ponente della chiesa della Consolata allo sbocco della larga strada che chiamasi pure della Consolata, sorge un’alta colonna di granito di Baveno, cimata dalla statua della Madonna di marmo bianco, opera dello scultore Bogliani. Fu alzata dalla città di Torino in seguito al voto fatto in occasion del cholera il 50 d’agosto del 1835. Si pose la pietra fondamentale il 28 di maggio del 1836 colla seguente iscrizione:


EX D. D. (decnrionum decreto)
ALOISIVS MOLA COMES I. PANSOJA EQVES MAVRIT.
DVVMVIRI STATVERVNT ANNO MDCCCXXXVI.


[p. 285 modifica]

La statua fu collocata solennemente sulla colonna addì 10 di giugno del 1837, dopo d’essere stata benedetta secondo il rito dal reverendissimo rettor maggiore degli Oblati il teologo Giuseppe Antonio Avvaro.

Sullo stilobate della colonna si legge la seguente iscrizione dettata dal Boucheron:


MATRI A CONSOLATANE
OB AERVMNAM MORBI ASIATICI MIRE LENITAM MOX
SVBLATAM TANTAE SOSPITATRICIS OPE ORDO DECVRIONVM
PRO POPVLO VOTVM SOLVENS QVOD VOVIT
A. MDCCCXXXV.


Questo sito era anticamente occupato dal muro della citta, dal fosso e dal bastione che chiamavasi della Consolata. Vittorio Amedeo ii avendo ingrandito la cerchia delta città verso ponente, fe’ demolire nel 1715 il bastione, e l’anno seguente donò il muro ai monaci della Consolata affinchè lo demolissero e vi facessero una piazzetta. Addì 29 d’agosto del 1716 il muro era demolito, il fosso riempito e vi cominciarono a girar le carrozze. Nota un cronachista troppo minuto che la prima carrozza che v’entrò fu quella della contessa di Castellengo. Ai 2 di settembre s’aprì la porta della chiesa a ponente e [p. 286 modifica]s’otturò una di quelle che erano al meriggio: e precisamente quella che trovavasi accanto all’altare degli Angioli.6

Trattasi adesso d’allargare l’angusto spazio che rende incomodo l’accesso alla chiesa dalla parte del meriggio e d’adornar la chiesa da quel lato d’una fronte marmorea che sia degna della maestà di quel tempio, della celebrità di quei luogo. E giova sperare che non fallirà questo pio disegno, sorridendoci la speranza che la generosa, e già per tante prove ilustre pietà de’ Torinesi concorrerà di buon grado per condurre il santuario della Vergine Consolatrice al dovuto splendore; sicchè risponda in qualche modo all’altissima venerazione, in cui fu sempre tenuto.


Note

  1. [p. 291 modifica]Bonacossa, Sullo stato de’ mentecatti e degli ospedali per i medesimi in varii paesi dell’Europa. 152.
    Saggio di statistica del R. Manicomio di Torino.
  2. [p. 291 modifica]Diario del convento del Carmine.
  3. [p. 291 modifica]Stupenengo, Relazione ms. 1769. Arch. di corte. Il prete Giambattista Stupenengo era cappellano delle monache, e scrivea per ordine dell’arcivescovo.
  4. [p. 291 modifica]Sitam prope Taurinum monasterio praedicto vicinam. Wadding, ann.min. vi, 17, 442.
  5. [p. 291 modifica]Bolland, Acta SS. vi, 538.
  6. [p. 291 modifica]Soleri, Diario dei fatti successi in Torino dal 1682 al 1720, ms. della Biblioteca del Re.