Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo I/Parte III/Libro II/Capo III

Capo III – Eloquenza, Storia, Giurisprudenza

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Capo III – Eloquenza, Storia, Giurisprudenza
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Capo III.

Eloquenza, Storia, Giurisprudenza.


Nomi e caratteri de' più antichi oratori romani. I. La sorte dell’eloquenza più felice fu tra’ Romani che non quella della filosofia. A questo tempo medesimo di cui parliamo cominciò essa in Roma a levare, per così dire, alto la fronte, e a minacciare a’ Greci. Non tratterrommi io però a lungo su questo argomento, perciocchè la storia della romana eloquenza è stata da Cicerone trattata nel suo libro de' chiari Oratori per tal maniera ch’è inutile il cercar di aggiugnerle nuova luce. Mi basterà dunque l’accennar brevemente ciò ch’egli distesamente racconta, e le principali epoche e i più ragguardevoli oratori che in ciascun tempo fiorirono, indicare precisamente. Confessa egli dunque (De Cl. Orat. n. 16) che innanzi a’ tempi di Catone il Censore appena si può trovar cosa che degna sia di essere conservata; se pur, dice, non havvi a cui piaccia l’Orazione di Appio Claudio, con cui dissuase il senato dal far [p. 263 modifica]la pace con Pirro, o alcune funebri orazioni, le quali però, egli aggiugne, piene sono di errori, di trionfi falsi, di falsi consolati, e di false genealogie ancora. Catone adunque fu veramente il primo che nome avesse e fama di valente oratore. Di lui favella qui Cicerone, e già di sopra abbiam veduto con quante lodi ei ne celebri l’eloquenza. Quindi dopo aver nominati altri che valorosi oratori furono in Roma, viene a Sergio Galba che fu alquanto maggior di età di Lelio e del giovane Africano. A lui Cicerone concede il vanto di avere il primo usato di ciò che appellasi arte di ornamento dell’eloquenza, e di averne col suo esempio segnata agli altri la via. Nimirum, dice (n. 21), is princeps ex Latinis illa oratorum propria et quasi legitima opera tractavit, ut egrederetur e proposito ornandi caussa, ut delectaret animos, aut permoveret, ut augeret rem, ut miserationibus, ut communibus locis uteretur. Confessa però egli stesso che le orazioni di Galba erano allora poco pregiate, e che appena vi avea chi si degnasse di leggerle; di che arreca questa ragione (n. 24): ch’egli nell’atto di ragionare era dall’affetto compreso e trasportato per modo che vivo ancora e focoso ed eloquente erane il ragionare; ma che facendosi egli dappoi a scrivere e a ritoccar le sue orazioni ad animo più tranquillo e posato, languide riuscivano esse ancora e snervate. Anche i due famosi Lelio e Scipione, più volte già nominati, furono amendue valentissimi oratori. Amendue sono esaltati da Cicerone con somme lodi (n. 21, ec); e benchè egli pensi che Lelio fosse [p. 264 modifica]soverchiamente vago di usare parole e stile antico e disusato, aggiugne nondimeno che fama forse maggior di Scipione egli ottenne nell’eloquenza: perciocchè, dic’egli graziosamente, egli è costume degli uomini di non volere che un uomo stesso sia in più cose eccellente. Or come nelle lodi di guerra niun può sperare di aggiugnere l’Africano, benchè sappiamo che nella guerra di Viriato assai valoroso si mostrasse ancor Lelio; così in ciò ch’è lode d ingegno, di letteratura, di eloquenza, e di ogni saper finalmente, benchè amendue sian nominati tra’ primi, a Lelio nondimeno volentieri accordano la precedenza.


Per qual ragione l'eloquenza avesse in Roma molti seguaci. II. Io passo sotto silenzio molti altri oratori che a questo tempo medesimo si acquistarono nome, i cui diversi caratteri si posson vedere maravigliosamente descritti da Cicerone. Uno però di essi è degno di special ricordanza, perciocchè nuove grazie e nuovi ornamenti aggiunse alla latina eloquenza, e lo stile singolarmente ne fece a imitazione de’ Greci armonioso e soave. Fu questi M. Emilio Lepido soprannomato Porcina. Ecco l’elogio che di lui fa Cicerone (n. 15). At vero M. Aemilius Lepidus, qui est Porcina dictus, iisdem temporibus fere, quibus Galba, sed paulo minor natu, et summus orator est habitus, et fuit, ut apparet ex Orationibus, scriptor sane bonus. Hoc in oratore latino primum mihi videtur et lenitas apparuisse illa Graecorum, et verborum comprehensio, etiam artifex, ut ita dicam, stilus. In questa maniera venivano i Romani sempre più perfezionando ed ornando la [p. 265 modifica]loro eloquenza. Nè è maraviglia ch’essa in breve tempo facesse pure sì grandi progressi. L’indole stessa e la costituzione della repubblica determinava i cittadini ae’essere eloquenti. Era questa una delle più sicure vie per giugnere a’ sommi onori. La pace, la guerra, i giudici criminali e civili, gli affari in somma più importanti della repubblica dipendevano, per così dire, dall’eloquenza. Un valoroso oratore era sicuro di aggirare il popolo come più gli piacesse, e di condurlo a qualunque risoluzione gli fosse in grado. Quindi non è maraviglia che a questi tempi più assai che non della filosofia, della poesia, e di altri somiglianti studi, fossero i Romani diligenti coltivatori dell’eloquenza, perciocchè essa era l’arte più vantaggiosa al privato non meno che al pubblico bene.


La storia non fu a que’ tempi molto efficacemente illustrata. III. Anche la storia non fu trascurata; ma in essa per testimonio di Cicerone non furono i Romani di questo tempo molto felici. Veggiamo per qual maniera si fa egli esortare da Attico a scriver la storia della repubblica (De Legib. l. 1, n. 2), e annovera insieme gli scrittori tutti che fin allora trattato aveano un tale argomento. Già è gran tempo che da te si desidera, o anzi si esige una storia; perciocchè vi ha opinione che se tu prendi a formarla, noi non avremo in questo genere ancora a cedere a’ Greci. E s’io debbo dirti ciò che ne penso, a me sembra che non solo a quelli che degli studi prendon piacere, ma alla patria ancora tu sii debitore di tal lavoro; sicchè questa repubblica, come fu salva per te, per te ancora si adorni ed illustri. Or puoi tu bene in ciò [p. 266 modifica]compiacerla, perciocchè ella è questa più che altra mai impresa, come tu stesso giudichi, degna di un oratore. Per la qual cosa accingiti di grazia, e prendi il tempo opportuno a scrivere in tal materia che da nostri maggiori è stata o trascurata o sconosciuta. Perciocchè dopo gli Annali de’ Pontefici Massimi, di cui non può esser cosa più disadorna e digiuna (leggesi comunemente nihil.... jucundius; ma altri più probabilmente leggono nudius, o jejunius), se tu ti volgi o a Fabio o a Catone, che tu sempre hai sulle labbra, o a Pisone o a Fannio o a Vennonio, benchè abbiano, qual più, qual meno, qualche eloquenza, non vi ha nondimeno scrittor tenue ed esile al pari di tutti questi. Celio Antipatro, che fu di tempo vicino a Fannio, gonfiò alquanto lo stile edebbe qualche eloquenza, ma rozza e agreste, senza studio e senza coltura; potè nondimeno servir di stimolo agli altri, perchè con maggior diligenza scrivessero. A lui succederono Gellio, Clodio, Asellione, i quali, non che imitare o superar Celio, tutta ritrassero ne’ loro scritti la languidezza e l’ignoranza degli antichi scrittori. Debbo io qui forse mentovare Azzio? la cui loquacità non è talvolta priva di vezzi, ma non già presi dalla colta eloquenza de' Greci, ma sì da’ nostri copisti: nelle orazioni poi egli è prolisso e importuno fino alla impudenza. Sisenna amico di Azzio ha superati a mio parere tutti i nostri scrittori di storia, seppur non ve hha di quegli i cui scritti non siano ancor pubblicati, de’ quali non posso or giudicare. Ma nè egli ebbe luogo nel numero degli oratori, e [p. 267 modifica]nella storia ha un non so che di puerile; talchè sembra che niun altro de’ Greci egli abbia letto fuorchè Clitarco; e che soltanto prefiggasi d’imitare questo autore, cui quando pure uguagliasse, non sarebbe però ancora perfetto scrittore. Ella è dunque questa impresa tua, o Tullio, ec.


Notizie di alcuni de' più antichi storici. IV. Fin qui Attico presso Cicerone, il quale gli stessi sentimenti intorno agli antichi storici romani altrove ancora ci esprime (l. 2 de Orat n. 13). Nè è a maravigliare, soggiugne egli, se la storia non è stata ancora dagli scrittori latini illustrata, perciocchè tra’ Romani niuno si volge allo studio dell’eloquenza, se non per usarne nelle cause e nel foro: tra’ Greci per lo contrario gli uomini più eloquenti, tenendosi per lo più lontani dal foro, poterono agevolmente occuparsi nello scriver la storia. Ciò non ostante, benchè nel passo di sopra allegato sembri Cicerone non far gran conto degli scrittori di storia che stati erano fino allor tra’ Romani, altrove però della storia di Catone parla con gran lode, come si è veduto poc’anzi. Vi ebbero ancora a questo tempo medesimo altri storici in Roma, i quali, benchè non potessero esser proposti a modello di stil perfetto ee’elegante, aveansi nondimeno in pregio. Così Livio arreca più volte l’autorità di un cotal L. Cincio Alimenzio o Alimento, cui chiama autor sommo (l. 21, c. 38), e di antichi monumenti diligente raccoglitore (l. 7, c. 3). Egli è vero che, come col testimonio di Dionigi Alicarnasseo prova il Vossio (De Hist Lat. l. 1, c. 4); questi in lingua greca compose [p. 268 modifica]la sua storia; il che pur fece, per testimonio di Cicerone (Acad. Quaest. l. 4, n. 45); A. Albino: ma altre cose ancora scrissero amendue in latino, come lo stesso Vossio dimostra (ib. e c. 6); Cincio singolarmente scritta avea la Vita di Gorgia leontino, il quale è ben da dolere che non sia a noi pervenuta. Altri che a questi tempi medesimi furono scrittori di storia in Roma, si posson vedere presso il citato Vossio; ch’io non credo di dovermi trattenere più oltre in favellare di storici de’ quali nè più ci rimangon le opere, nè veggiamo comunemente parlarsi in modo dagli antichi autori che grave esser ci debba la perdita che fatta ne abbiamo.


Stato della giurisprudenza roomana in quest'epoca. V. Rimane per ultimo a dir qualche cosa della giurisprudenza. Questo studio che fin da’ tempi più antichi della repubblica era stato coltivato, molto più dovette esser in fiore quando le altre scienze ancora s’introdussero in Roma. Molti de’ magistrati conveniva per certo che ne fossero istruiti per decidere le controversie, per punire i rei, per rendere la giustizia a chi la chiedesse. Si posson vedere nell’erudita Storia della romana Giurisprudenza dell’avvocato Terrasson gli uomini in questa scienza illustri che vissero a’ tempi di cui parliamo. Tre soli io ne accennerò, de’ quali più cose, chi ne abbia desiderio, potrà vedere presso il citato autore. Il gran Catone in primo luogo vuol qui ancora esser nominato; uomo veramente universale che alle altre scienze anche questa congiunse e ne fu peritissimo. Festo allega (ad voc. “Mundus„) alcuni comentarii [p. 269 modifica]da lui scritti sopra il Dritto civile. Furono ancora circa il medesimo tempo e M. Giunio Bruto e P. Muzio Scevola, i quali, come dimostra il più volte citato avv. Terrasson, scrissero amendue su tale argomento, uno sette, l’altro dieci libri. La maggior gloria però di Muzio fu quella di avere avuto un figlio che tra’ più illustri Romani a ragione si annovera, cioè Q. Muzio Scevola. Ma di lui avremo a parlare nel libro seguente.


Le arti liberali poco allor conosciute in Roma. VI. Sarebbe qui luogo opportuno a dire ancora alcuna cosa sulle arti liberali della pittura, della scultura, dell’architettura, le quali a questo tempo medesimo cominciarono ad aver pregio in Roma. Ma come assai scarso argomento ci offrirebbero esse ora a parlarne, ciò che ad esse appartiene sarà da noi raccolto ed esposto seguitamente nell’epoca alla quale ora ci convien fare passaggio.