Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/CONCLUSIONE

CONCLUSIONE

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CAPITOLO XX. INDICE
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CONCLUSIONE.


Giunto al termine di questo studio, non posso esimermi dal riassumere brevemente, in conclusione sintetica, le impressioni artistiche e le constatazioni che ebbi modo di mettere in rilievo.

La Sardegna non ebbe nei periodi storici arte propria, mentre in epoche preistoriche le forme architettoniche e scultoriche raggiunsero uno sviluppo, che non ebbero l'eguale le altre regioni d'Italia: i bronzi sardi ei grandiosi monumenti megalitici, nuraghes, per il loro numero, per la loro imponenza e perfezione attestano della potenza raggiunta dalle genti eneolitiche, da quella schiatta mediterranea, cioè, che per prima approdò nei lidi sardi.

A queste primitive manifestazioni vennero a sovrapporsi muove correnti e nuove civiltà che allontanarono dal litorale e dai campidani le antiche genti, internandole nella regione più montuosa, in quella Barbagia che attraverso tante civiltà mantenne le rudi e fiere caratteristiche dell'antica razza.

Le più evolute forme dell'Oriente soffocarono in breve non solo gli elementi costitutivi, ma anche il sentimento e le tradizioni dell'arte sarda che solo si perpetuarono negli oggetti più umili dai nomadi pastori. [p. 428 modifica]Dopo il periodo glorioso dei nuraghi la nostra fu arte riflessa, alla quale mancò anche quell'influenza locale che dovunque diede un particolare colore alle diverse manifestazioni artistiche; le finissime incisioni della glittica egiziana ed assira, le squisitezze dell'orificeria punica, e la bellezza dei marmi e delle terrecotte elleniche a noi giunsero pel tramite di artisti e di mercanti cartaginesi. popolanti le floride città costiere, Cagliari, Nora, Sulcis, Tarros, Cornus e Olbia.

La civiltà che si riassunse nel nome di Roma e che da questa trasse le forme più vitali, porti anche nel campo dell'arte ad un intima fusione fra l'elemento latino ed indigeno. Lo spirito della città madre ci unì alle altre regioni d'Italia e d'allora noi fummo avvinti al pensiero ed all'idea italiana, che nessuna influenza estranca, anche intensa e secolare, potè estirpare dal nostro suolo.

Le conquiste vandaliche e le incursioni saracene non lasciarono nell'isola nostra traccia alcuna d'arte e di vita; il governo di Bisanzio, la di cui azione, per essersi svolta da lungi, non fu mai nè intensa nè continua, lasciò edifici e sculture in cui l'elemento latino, invece d'essere soffocato, trovò nuova vitalità. Le forme artistiche bizantine in Sardegna, per recenti indagini. si manifestano già di un interesse che prima d'oggi certo non si prevedeva; le chiese di S. Giovanni di Sulcis, di S. Saturnino di Cagliari, gli avanzi archittetonici di Assemini, di S. Antioco, i frammenti decorativi e le epigrafi di Villasor, di Donori. di Mara, e di Assemini costituiscono già un complesso di elementi che mette in inaspettata luce questo periodo, che si riteneva mancante di manifestazioni d'arte.

Un impenetrabile mistero avvolge le vicende nostre durante la decadenza dell'impero di Oriente ed all'inizio dei Giudicati, l'origine dei quali non ci è ancor nota. In questo cambiamento di reggimento lotte violenti e sanguinose dovettero sconvolgere l'isola nostra: la stessa divisione in quattro giudicati autonomi non può esser sorta pacificamente, ma tutto induce a ritener che sia l'ultimo risultato di un periodo convulsivo di agitazioni e di guerre.

Con l'ultimo sprazzo dell'influenza di Bisanzio cessò ogni attività artistica ed intellettuale. Ma sulle rovine dell'ordinamento orientale s'innesta sulla civiltà latina, sopita ma non spenta, il nuovo ceppo di un'arte che ci allaccierà alla terra madre con forme le più squisite e più classicamente vaghe. [p. 429 modifica]

Già dal 1087 il pontefice Vittore III rivolgevasi a Giacomo, arcivescovo di Cagliari, ed ai vescovi dell'isola per dolersi dello stato rovinoso delle chiese di Sardegna e per esortarli a far eseguire immediatamente le necessarie riparazioni: Quare nos fraternitatem tua caeterosque archiepiscopos, et episcopos commonemus, et dilectionem tuam unanimiter adjuvantes reparationem quanto cilius procuretis.....1.

Il monito, che proveniva dalla cattedra di S. Pietro, non fu pronunziato invano: troppo erano attaccati alla fede di Cristo i reggitori e gli abitanti dell'isola per non apprezzare si autorevole consiglio. Ed il paesaggio verde e severo si popolò d'un tratto di monasteri e di chiese, d'onde i monaci scendevano cogli strumenti di lavoro nelle campagne silenziose. Furono da prima edifici, che ancora rispecchiavano la terribile agonia in cui s'era dibattuta la nostra isola: tetre e rivestite unicamente di cantoni, per lo più, di trachite scura, le prime chiese romaniche di S. Gavino di Torres, di S. Maria del Regno d'Ardara, di S. Giusta. di S. Maria di Tratalias, di S. Maria d'Uta, di S. Maria di Bonarcado, di S. Giorgio di Trullas, di S. Simplicio rievocano le paurose leggende dell'anno mille e risentono la desolazione che avea gravato nelle nostre terre.

Ma un alito rinnovatore intanto ai primi del XII secolo veniva per opera dei pisani e dei genovesi a dar nuova vita alle vicende isolane; al contatto delle fresche e già vigorose energie delle due fiorenti città marinare si modificano le istituzioni. s'aprono i porti al commercio ed il tratto, ormai sicuro, del Tirreno, intercedente fra l'isola e la madre patria, è percorso dalle navi di Pisa e di Genova.

A questa rinascita di energie corrispose un risveglio artistico meraviglioso: maestranze d'artefici toscani, chiamati dal giudice Costantino di Logudoro e dalla sua consorte Marcusa per restaurare ed erigere nuove chiese nel giudicato di Torres, portano nelle nostre valli e nei nostri campidani la poesia e l'eleganza di quell'arte che fiori nelle rive dell'Arno.

Sotto la guida di questa schiera meravigliosa d'artisti, le chiese romaniche si trasformano, le facciate s'inghirlandano di gallerie e di colonnine, gli sfondi parietali si coprono d'intarsi minuti da rivaleggiare coi sontuosi tappeti d'Oriente. [p. 430 modifica]

Colle costruzioni di Saccargia, di Tergu, di Sorres, di Bulzi, di Bisarcio e di tante e tante altre chiese, nelle quali sulla rude ossatura romanica si stende una delicata trama di forme decorative, gli artisti toscani sciolsero veramente nelle nostre terre un canto all'arte ed alla gloria di Pisa.

Intanto al fiorire delle istituzioni comunali corrisponde, quasi da per tutto, un più vivo impulso alle autonomie locali, e ciò porta ad organizzarsi e ad armarsi per proteggersi e difendersi. Nel 1217 s'inizia la costruzione del Castello di Cagliari che in breve volgere d'anni distende sul petroso colle le linee dei suoi baluardi, dai quali spicca l'agile sagoma delle fulve torri, ingentilite dalle insegne dei podestà e dei castellani.

Ed al pari di Cagliari, Villa di Chiesa, Oristano, Bosa, Sassari, Castel Genovese vengono fortificate con cinte merlate e con svelte ed alte torri; nelle cime dei monti gli artefici toscani, avvezzi ai duri lavori dell'Appennino ed ai pericolosi scavi delle miniere sarde, costruiscono sotto le insegne delle più nobili famiglie di Pisa, d'Arborea e di Genova poderosi castelli che sono veri nidi d'aquila.

E dentro le città merlate un nuovo soffio d'arte imprime una geniale e caratteristica nota alle chiese pisane: le prime forme gotiche, estrinsecantesi timidamente con archi trilobati e con finestre ogive appaiono su facciate in cui la struttura è ancora romanica.

Queste chiese, che costituiscono il terzo gruppo nello svolgimento nell'isola di quell'arte che dalla Toscana trasse le squisite forme e nelle quali gli elementi romanici e gotici si fondono mirabilmente, sono l'ultima espressione dell'influenza pisana. il canto del cigno dei discendenti di Buschetto.

Intorno a questi nuclei architettonici si svolsero altre forme ed altre costruzioni dovute ad artefici che non derivarono la loro arte e la loro tecnica dai cantieri di Toscana. Così il maestro comacino Anselmo, in S. Pietro di Zuri, scolpisce nella rossa trachite le mostruose decorazioni, inspirate non più al classico acanto. ma alla flora araldica ed alla fauna simbolica dell'ornamentazione lombarda.

Le stesse forme stilistiche svolgonsi nella Chiesa di S. Pantaleo in Dolianova, che venne elevata, tenendo per modello la Cattedrale di Cagliari. In questa ultima ogni scuola artistica lasciò la sua impronta e ad essa l'Opera del Duomo di Pisa diede in dono il pulpito che Gu[p. 431 modifica]glielmo scolpi per la Primaziale e che in questa rimase per 150 anni, finchè Giovanni Pisano non scolpì il nuovo pergamo.

La conquista del Castello di Cagliari per opera dei Re d'Aragona diede il segnale di un nuovo reggimento politico e di nuove finalità artistiche.

Iniziaronsi nell'isola, coi monasteri di S. Domenico e di S. Francesco, quelle costruzioni che hanno del gotico e del romanico in pari tempo e che, estese nei secoli susseguenti, costituiscono uno stridente contrasto collo svolgimento architettonico delle altre regioni italiane. Esse rappresentano un regresso nell'evoluzione artistica, giacchè per lo più sorsero quando nelle altre regioni italiane colla rinascita delle forme classiche s'iniziava quel glorioso periodo che diede origine alle più sublimi manifestazioni d'arte e di pensiero. Pur tuttavia per noi furono l'ultimo canto sciolto nella nostra terra alla sublime potenza del bello; dopo di esse l'arte della sesta tu alla mercè di quelle corporazioni monastiche che, moltiplicatesi con incredibile rapidità, soffocarono ogni aspirazione intellettuale, ogni tentativo di rinnovamento artistico.

La rassegna, alla quale mi accinsi con trepidanza e che portai a termine attraverso mille difficoltà derivanti da condizioni locali e da mancanza di precedenti, permette definire il vero carattere dei nostri monumenti. Essi non s'impongono nè per mole, nè per ricchezza, e certo non sono paragonabili ai superbi capolavori di Roma e di Siena gentile, nè ai bruni e severi palazzi di Firenze, nè alle loggie così poetiche di Venezia o di Vicenza; ciò malgrado hanno eleganze squisite e leggiadre, per cui molte delle costruzioni del XII e XIII assurgono a vere e pregevoli opere di grande valore artistico. Di più, per quel fascino derivante dalle cose poco conosciute, hanno quanto manca ai più celebrati monumenti, le attrattive, cioè, di virginea freschezza ed i suggestivi turbamenti dell'ignoto.

Per le delicate tempre d'artisti, sognanti nuove visioni e forme d'arte non contaminate da troppe lodi e da troppi sguardi, la Sardegna è terra ideale, giacchè la disamina da noi fatta non è che un pallido riflesso del suo svolgimento artistico che nella pittura, nell'oreficeria, e nelle arti tessili attende ancora i geniali illustratori.

In poche regioni, come in Sardegna. la ricerca di nuove sensazioni è in così largha misura ricompensata dei disagi, cui si va incontro. Le ricerche artistiche nell'isola nostra, attraverso un paesaggio rude e pri[p. 432 modifica]mitivo, sono dilettose peregrinazioni, in cui arridono visioni rivestite dal tenue velo dell'ignoto e dell'inaspettato, che non emanano dalla suggestione delle cose già lette e riprodotte; esse suscitano quasi sempre nuove e delicate sensazioni che lasciano un ricordo di cose squisite e di soavi imagini intravedute come in dolcissimo sogno.

  1. Tola, Cod. Dip. Sard., Sec. XI. pag. 160.