Sessanta novelle popolari montalesi/XXX

XXX. Collo di Pecora

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XXIX XXXI

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NOVELLA XXX


Collo di Pecora (Raccontata dalla Luisa vedova Ginanni)


C'era una volta un Re che andeva sempre a caccia; tutti i giorni quasimente 'gli era fora pe' boschi rieto alla salvaggina; ci aveva lui una gran passione a questo mestieri; e tutti i giorni riscontrava di sicuro una vecchina col su' cappellino di paglia, il su' grembiulino di bucato; una vacchina linda e garbosa, che propio a vederla soltanto faceva piacere, e questa vecchina al Re gli domandava la lemosina: - Una crazina per amor di Dio! Il Re nun gliela negava mai la crazina e già di molte glien'aveva regale, quando un giovedì, che con lo stioppo passava per il medesimo logo e la vacchina gli chiese la lemosina, lui gli disse: - Ma sapete, nonna, che vo' m'andate a genio! I' vi veggo tant'ammodo, accosì pulita, ch'i' ho voglia di sapere addove ènn'ite tante crazie ch'i' v'ho dato. Vo' dovete avere anco una casina messa per bene e aggraziata, e linda e pulitina come voi. Menatemi a vederla. Dice la vecchia: - Ma gli pare, Maestà! I' sono una poera donna che campa di lemosine. La mi' casa nun ha tanto merito che un Re come lei s'incomidi a visitarla. - Tant'è, - arrispose il Re, - e' m'è vienuta quest'idea, e i' nun son contento 'nsino a che vo' nun m'aete menato 'n casa vostra. Gnamo, nun me la cancugnate. Dice la vecchia: - Guà! sia fatto il voler suo. Vienga pure con meco. Ma badi nun resterà poi a su' mo' soddisfatto. Si messano dunque in nella via, e cammina cammina per dimolte ore framezzo a una selva, finalmente arrivorno a un cancello aperto. Dice la vecchia: - Deccola, Maestà, la mi' [268] abitazione. Non [p. 268 modifica]c'è nulla di più. Nentrano in quel mentre in un giardino piccolo e in fondo c'era una palazzina, pulita veh! ma insenza sfoggio di grandezze: saliscono su per la scala e viengono a un salotto con quattro bussole: la vacchina n'apre una e in nella stanza steva sieduta una ragazza che cuciva di bianco; ma una ragazza giovane e bella da nun si poter raccontare: - Veda, Maestà, - disse la vecchia, - questa è la mi' figliola, Il Re rimanette a bocca spalancata come ammaliato; poi scramò: - Brava! altro che le mi' crazie a voi! I' son io che ho bisogno della vostra lemosina, con questo tocco di ricchezza che vo' possedete. Insenza tanti discorsi il Re si mettiede accanto di quella ragazza a ragionare, sicché se ne 'nnamorò subbito, e nun la lassò per un bel pezzo, e quando gli conviense ir via, perché era tardi, lui gl'imprumesse di farla su' legittima sposa. A male brighe partito il Re la vecchia domandò alla sua figliola: - Che t'ha egli detto quel giovanotto? Dice la ragazza: - Guà! me n'ha dette tante! E poi ha finito col promettere di sposarmi. - E te che gli ha' tu risposto? - dice la vecchia. Dice la ragazza: - I' gli ho risposto ch'i' ero contenta di fare il su' piacere quando lui voleva. Scrama la vecchia: - E del mi' permesso tu te ne sie' scorda, nun è vero? Ma va' pure, i' 'un ti trattiengo. Chi nun c'è, nun conta. Bada però che in nel partire di casa tu nun lassi nulla: piglia tutto; nun ti smenticare di nulla, insennonò poer'a te! Ci siemo 'ntese. E scorruccita a quel mo' la vecchia si dilontana. Passano dunque otto giorni, e deccoti il Re con la carrozza per menare la sposa al palazzo. La ragazza volse prima vestirsi, pettinarsi e accomidare per bene tutta la robba del corredo, e con gran premuria badava di nun lassare nulla di suo arrieto, e quando gli parse d'aver preso ugni cosa, scendé giù alla vasca del giardino, addove c'era dell'acqua fresca e chiara, per lavare le su' mane e il viso: e perché gli rinuscisse più meglio, lei si cavò dal collo un bel vezzo rosso di carbonetto e l'attaccò lì a un ontano col pensieri di rimetterselo doppo; ma nella furia e in nel discorrire con il su' sposo che la pintava a sbrigarsi del vezzo lei se ne scordò, e monta dientro 'n carrozza insenza nemmanco cercar su' madre per fargli gli addii. Quando furno [ [p. 269 modifica]269] per istrada da un pezzo, tutt'a un tratto la sposa si tocca il collo e scrama: - Oh! Dio, Dio! il mi' vezzo di corallo! I' l'ho lasso in sull'ontano della vasca. Presto, Maestà, m'arracomando, ritorniamo a pigliarlo. Dice il Re: - Che ti sgomenti per un vezzo rosso? Ce n'è da comperarne quanti ne vòi, e anco più belli, in nella mi' città. Nun ti confondere. - No, no! - grida piagnendo la sposa. - E' bisogna ch'i' ripigli quello mio 'n tutti i modi, avessi da andarci co' mi' piedi. La mamma, che era scorruccita con meco, m'ha detto ch'i' badassi di nun lassar nulla a casa di mio, insennonò poer'a me! M'accaderà una disgrazia. 'Gnamo, per amor di Dio! 'gnamo a ripigliarlo il mi' vezzo. Al Re nun gli rinuscì di persuaderla la su' sposa di smettere quel pensieri. Si sa, le donne èn' tutte testoline, e quand'hanno un'idea 'n capo nun gli si cava nemmanco con lo scarpello! Sicché dunque tornorno con la carrozza in nel giardino e lì all'ontano c'era sempre il vezzo rosso ciondoloni. La sposa tutt'allegra salta giù, lo piglia e se lo mette, ma in un lampaneggio il collo gli diviense come un Collo di Pecora, grosso a quel mo' e peloso fitto, propio come l'hanno le pecore, scambio di bello, che lei l'aveva prima, era trasficurito e brutto. - Ohimmè! decco il frutto della mi' disubbidienza! - disse con le lagrime agli occhi quella disgraziata di sposa. Subbito lei salisce nel palazzino a ritrovare su' madre: - Mamma, mamma! guardate il mi' collo, com'è divento. Dice la vecchia facendo lo 'gnorri: - Che eri te ita via? - Sì, pur troppo, i' ero ita via, - arrispondo la Sposa; - e m'ero scordo del mi' vezzo di corallo alla vasca, e quando son ritorna a pigliarlo e me lo sono messo, il collo mio bello s'ène trasmutato accosì. Mamma, mamma! rimediateci voi. Dice la vecchia: - Eh! ora de' rimedi nun ce n'è; 'gli è tardi. Te ha' volsuto fare a tu' capriccio, nun m'ha' detto nulla dello sposalizio, nemmanco addio, e po' ti sie' scordata del vezzo. Dunque, tientela codesta bruttezza, che sarà la pena della tu' disubbidienza. E' pianti e le suppriche furno inutili, ché la vecchia stiede forma e soltanto diede alla su' figliola uno sciallaccio vecchio di lana per coprirsi quel su' collo di pecora insino a casa del Re, e la sposa dovette rimontare 'n carrozza e andarsene a quel mo' imbruttita. Per istrada dice il Re: - Codesto sciallaccio nun [270] [p. 270 modifica]mi garba. Che ne fai accosì attorcigliato al collo? Arrisponde la Sposa: - I' ho freddo. Me l'ha dato la mamma per coprirmi. Arrivi però al palazzo nun ci fu versi di tiener niscosta la disgrazia, sicché al Re la su' sposa gli viense presto a noia, e tutta la Corte lo sbeffava per aver preso per su' moglie quel brutto Collo di Pecora. Al Re la scontentezza gli si vedeva dipinta 'n sul viso; 'gli era scontroso e arrabbiato con tutto il mondo e nun si divertiva più a nulla; la Regina su' madre badava a consolarlo, ma inutile, sicché finalmente un giorno sgomenta per il su' unico figliolo che nun gli s'ammalassi, gli disse: - Se te Collo di Pecora la vo' tienere, tienila pure, e insennonò rimandala e pigliatene un'altra di mogli. Ce n'èn' tante di donne, che basta volerne! Dice il Re: - Ma lei ène la mi' legittima sposa. Come si fa a mandarla via? Magari! s'i' potessi. Arrisponde la Regina: - Comando di Re. Nun conta nulla forse il comando del Re? E po' i' t'insegno io il modo. Tu ha' de mettere con Collo di Pecora dua delle meglio camberiere e le più belle del Regno, e dargli un canino cucciolo per uno. Termine se 'mesi, e quella che lo fa più bello il su' canino pigliatela per isposa. Nun ti dubitare, Collo di Pecora nun è capace di questo mestieri. Il Re dunque fece a mo' di su' madre. Collo di Pecora con du' camberiere giovani quanto lei e aggraziate furno messe in un palazzo co' tre canini e con obbligo di rallevargli, e a chi riusciva più bello, quella 'gli aveva da essere la sposa del Re. Le du' camberiere nun facevan altro che dargli da mangiare di boni bocconi a' su' cani, e pettinargli e lavargli tutte i giorni, perché ventassero lisci e puliti con il pelo lustrente, i al termine de' se' mesi quelle du' bestie parevano quasimente du' vitellini. Ma Collo di Pecora nun c'era avvezza a rallevare i cani, e nun sapeva come adoperarsi e nun gli fece nulla al suo canino: gli mettiede un sonaglielo al collo e po' piagneva dalla pena e dalla disperazione, sicché quella bestiuccia rimanette piccina piccina, che a mala pena poteva vedersi. Vienuti dunque al tempo della prova, la Corte 'gli era raunata in sala, e il Re comandò che portassino i cani che lui voleva sincerarsi del come gli avevano custoditi: ma quando viensano i cani delle camberiere, a quel modo grossi spropositati, nun gli garborno [271] [p. 271 modifica]punto. Dice: - Che canacci! Uno al macellaio e uno al contadino; nun son cani per me. Quello in scambio di Collo di Pecora gli parse una maraviglia; minuzzino, pulito e vispolo, scodinzolava e faceva le feste a tutti e saltava addosso alle persone con garbo: propio un gran piacere a carezzarlo! Guà! Collo di Pecora 'gli aveva vinto; in ugni mo' il Re disse a su' madre: - La mi' sposa sarebbe sempre Collo di Pecora. Ma che i' ho io a scerre la sposa per via d'un cane? - Eh! no, - dice la Regina, - è meglio far prima un'altra prova. Dagli a tutte e tre una camicia di tela da cucire. Termine otto giorni, e chi rinusce a cucirla al tu' piacimento, quella sarà la tu' sposa. Deccotele daccapo quelle tre donne serrate ognuna in nella su' stanza per il lavoro. Le du' camberiere ci si mettiedano con l'arco della stiena, giorno e notte, un punto ugni minuto, filo per filo, che ci persano quasimente il lume degli occhi; ma il cucito pareva un ricamo, nun era possibile di meglio. Collo di Pecora in scambio stiede sempre con le mane in mano a piagnere e a disperarsi, perché lei nun si credeva capace di cucire una camicia a garbo, e badava ugni tanto a chiamar su' madre che vieniss'a aitarla, e chiama chiama, quella finalmente gli apparse dinanzi alla mezzanotte dell'ultimo giorno fissato dal Re. Dice - Che vo' tu? - Ch'i' voglio? E aete core di domandarlo? - arrispose la su' figliola. - M'avete dunque dibandonato per l'affatto, e del vostro sangue nun ve ne' 'mporta più nulla? Aitatemi a stricarmi da questo 'mbroglio addove vo' mi avete messa. Io questa camicia nun la posso cucire, e domani i' l'ho da portare al Re. Dice la vecchia: - Se te non eri disubbidiente e te nun eri tanto smemoriata da scordarti per insino di dire addio a tu' ma', questi fatti nun ti succedevano. 'Gli è un gastigo troppo giusto. In ugni mo' nun ti dibandono come tu di'. Decco, piglia questa noce e domani porgila al Re, e lui sarà contento e goderà dimolto in nell'aprirla. Addio. E la vecchia sparisce. La mattina doppo il Re comanda che gli viengano alla sua presenzia le tre donne con le camicie bell'e cucite. Tutta la Corte steva raunata al solito dientro la sala, e quando veddano che lavoro avean fatto le camberiere, si pensorno che di meglio nun era possibile; un ricamo, che i punti ci volevan gli occhiali per [ [p. 272 modifica]272] iscoprirgli. Dice il Re a Collo di Pecora: - E voi? Addov'è la camicia? Arrisponde lei: - Pigli questa noce, la spacchi e forse lei sarà contento di quel che ci trova ne' gusci. Al Re gli parse una canzonatura; ma per curiosità la noce la prendette e la stiacciò, e dientro c'era la camicia cucita, sicché soltanto delle mane fatate dovevano aver lavorato a quel modo. Come si fa a dirlo propio come 'gli era quella camicia? Figuratevi le maraviglie d'ognuno! Collo di Pecora, nun c'era da dubitarne, 'gli aveva vinto. Dice il Re: - Per la prova, guà! Collo di Pecora è la mi' sposa. Ma che ne dite, mamma, ho io a scerre la sposa per via d'una camicia? Dice la Regina: - Eh! no, sarà più meglio farne un'altra prova, e questa 'gli ha da essere l'ultima, veh! Tempo tre giorni, comanda che badino di farsi belle, e chi delle tre gli rinusce comparire la più bella, quella pigliala per tu' moglie addirittura. Collo di Pecora il su' collo nun se lo pole mutare. Dunque fissorno accosì, e Collo di Pecora con le su' du' camberiere le rimenorno al su' palazzo. Le du' camberiere a male brighe in nelle stanze cominciano l'arrabattìo per diventar le più belle; e lì a ribrucarsi con le acque odorose, rossetto in sulle gote, pettinature di tutte le sorta, e po' vestiti provati e riprovati, che nun dormirno mai, e se lo specchio si poteva consummare, dicerto a quest'ora nun ne rimanerebbe nemmanco un briciolino. Ma Collo di Pecora, poera sciaurata! che volete voi che la facessi? Tutto inutile, perché quel collo peloso e grosso lei nun se lo poteva cavare; sicché piagni piagni, si disperava a bono, quando deccoti che a mezzanotte gli apparisce su' madre e dice: - Mattarella, o che ugnoli tu? Risponde lei: - Ah! nun vi pare ch'i' abbia delle ragioni abbastanza per ugnolare? I' m'ammazzere' con le mi' mane, badate. 'Gnamo, via! Finitela mamma, e perdonatemi; che se vo' volete, la più bella di tutte i' sarò io dicerto doman mattina. Dice la vecchia: - Sì, ti perdono e ti vo' contentare. Lesta, vien con meco con il tu' vezzo rosso al collo. Nun istiede a cancugnarla Collo di Pecora, ma con il vezzo 'gli andette rieto a su' madre, che a quel mo' di notte e a piedi la menò per insino alla vasca del giardino di casa sua: lì gli comandò dì cavarsi il vezzo e rimetterlo ciondoloni all'ontano e [ [p. 273 modifica]273] poi di lavarsi ben bene con l'acqua fresca, e mano mano che lei si lavava, il collo peloso e grosso gli spariva alla sposa e gli tornava il su' bel collo di prima. Doppo riprendé il vezzo o con quello attorno alla gola riviense assieme a su' madre nel palazzo. La mattina la Corte tutta steva con gran sfarzo preparata in sala per il ricevimento, e il Re siedeva più alto degli altri in sul su' trono, e deccoti i servitori fanno nentrare le tre donne alla presenzia del Re: ma lo tre donne nun si vedevan bene, perché s'erano messo un velo grande da coprirle dal capo per insino a' piedi. S'avanza, che gli eran le undici sonate all'orologio, la prima camberiera, e il Re con il su scettrio gli alza su il velo: - Bella! nun si pole dire di no. Ma vienga quell'altra. Viene la seconda camberiera, il Re la guarda come la prima e po' dice: - Bella anco questa! A innegarlo sarebbe una bugia. In ugni mo', giacché 'gli è qui, vienga pure l'ultima. Che splendore! che bellezza da rimanere di sasso! Una maraviglia! Tutti restorno incantati, e il Re per il primo, quando alzato il velo di Collo di Pecora, la veddano trasmutata e ridiventa al naturale. Quel collaccio peloso e grosso lei nun l'avea più, e la su' mamma gli ci aggiunse tutte le bellezze del mondo alla su' perfezione. Subbito il Re volse rifar le paci e un novo sposalizio con sciali e feste da nun si dire, e la sposa nun la chiamò più Collo di Pecora, bensì Regina in sul trono e sempre accanto a lui.