Sessanta novelle popolari montalesi/IV

IV. La bella Giovanna

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III V

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NOVELLA IV


  • La bella Giovanna

(Raccontata dalla ragazza Silvia Vannucchi)


C'era una volta un contadino, che aveva una figliola dimolto bella, vispola e di mitidio, sicché lei era il divertimento di tutto il vicinato, e nun si metteva su una veglia insenza che c'invitassono anco la ragazza; e il su' nome, per quello che ne dicono le storie, fu Giovanna. In nella città vicina al paese di Giovanna comandava un Re, che lui pure aveva una figliola bella da nun si dire, ma, al contrario della Giovanna, questa Principessa s'addimostrava seria in viso e come addolorata, e a nissuno 'gli era mai rinuscito di farla ridere. Il Re su' padre steva sempre in pensieri per questo brutto naturale della figliola, s'arrapinava a tutto potere ugni dì a trovar qualche cosa di novo e di allegro e buffo, perché la ragazza si svagasse e ridesse: ma tutto fu invano. Un giorno il Re in nel discorrere co' su' cortigiani, uno gli fece assapere, che lì nel villaggio vicino alla città ci abitava un contadino, babbo d'una ragazza tant'allegra, ché dove lei era, la malinconia pareva isbandita. Questa nova racconsolò il Re oltre credenza, e subbito gli viense in mente di mandare a chiamare la ragazza, perché lei tienesse compagnia alla Principessa e badasse se gli rinusciva scionnarla e farla ridere; e 'nsenza indugio mandò un servitore al babbo della Giovanna col comando espresso che lui si presentassi alla Corte del Re. Il contadino rimase di stucco in nel sentire che il Re lo voleva, e gli viensero mille ubbie e sospetti per il capo: lui dubitava di aver commesso qualche mancanza, oppuramente Giovanna; abbeneché più credessi [ [p. 25 modifica]25] Giovanna, perché a quel modo scapata, di lingua lesta e 'nsenza rispetto, che nun badava a dir le sue a ugni persona e in ugni logo. Dunque lui la chiamò la su' figliola e con una faccia mezzo stravolta gli disse: - I' scommetto, vedi, che il Re mi vole gastigare per qualche tu' buaggine. Già i' me lo ficuravo, che col tu' andare a giostroni e chiacchierare alla mammalucca e' si doveva finalmente cascare in qualche disgrazia. Arrisponde Giovanna a quella nuscita di su' pa': - Vo' avete tanta paura e io punta. Oh! d'addove lo rilevate che il Re v'ha chiamo per le mi' buacciolate? Andateci pure a udienza, e se 'gli ène per me che v'addomandano al palazzo, nun vi fracchienete a farmelo assapere, ch'i' lo so da me com' ho da regolarmi in tutti i casi. Gnamo! su, sbrigatevi, e nun fate aspettare chi comanda. Il contadino e' si vestì de' su' meglio panni che 'gli aveva dientro la cassa, e, data una pulita al cappello delle feste, s'avviò in verso la città; e arrivo al palazzo del Re, le guardie lo menorono alla su' presenzia. A quel crosto gli pareva d'esser lì in berlina, e abbeneché il Re lo ricevessi con garbo, lui in t'ugni mo' steva tutto tremolante e allocchito come chi aspetta la cattiva sentenzia. Il Re lo sbirciò da capo a pie' e poi gli disse: - Galantomo, è egli vero che vo' avete a casa una bellissima figliola? A quella richiesta il contadino e' fu come se gli avessan dato un manico di vanga in sulla collottola, e gli si rimiscolò tutto il sangue dientro alle vene. Lui borbottava a tragola e le parole gli cancugnavano a vienir fora chiare e spiccicate, abbeneché po' 'n fondo quella domanda lui se la dovessi aspettare da parte del Re. In somma, pareva lì lì per isbasire quel babbaleo. Il Re in nel vedere quel tramescolìo e confusione del contadino si pensò che lui avessi sospetto della su' reale presenzia, e però badava a rassicurarlo col fargli core; e poi daccapo gli disse: - Dunque, mi' omo, l'avete voi o no questa figliola? E il contadino a mezza voce: - I' l'ho, Maestà, per mi' disgrazia. Ma i' nun ci ho colpa se l'è un po' scapatella e allegrona. Se ma' mai lei avessi commesso qualche scangeo, che vol elle, 'gli è effetto di gioventù. - Oh! che m'importa a me degli scangei della vostra figliola, - disse il Re. - I' vo' soltanto sapere, se 'gli è vero che la sia svelta e buffona, [26] [p. 26 modifica]siccome e' m'hanno raccontato, e che lei tienga allegro tutto il su' vicinato. Arrisponde il contadino: - Maestà, pur troppo gli han ditto il vero. La mi' figliola e' nascette accosì con quel naturale, e la 'un s'è mai volsuta correggere. Anzi... Il Re però lo 'nterrompette: - Tutte queste chiacchiere a me nun fanno nulla, galantomo. Ritornate a casa, e menatemi, oppuramente mandatemi subbito a corte la vostra figliola, ch'i' la voglio per compagnia della Principessa. E se a lei gli rinusce farla ridere, Giovanna, parola di Re, nun sarà più povera. Corrite dunque, e fate l'ubbidienza. Al contadino gli parse di esser ritorno da morie a vita in nel sentire la voglia del Re: la strada per rivienire a casa gli apparì più corta; e siccome lui vedde in sull'uscio Giovanna che l'aspettava bramosa, principiò a bociare da lontano: - Allegri, allegri! Il Re ti vole a tiener compagnia alla su' figliola, ché a nissuno gli è rinusco di farla ridere mai. Lesta, che lui vole te, perché 'gli ha saputo che te ridi ugni sempre, e tieni sderto il vicinato a sono di chiacchiere e di buffonate. Su, vestiti, che non c'è tempo da perdere, nemmanco un mumento. E se, mattacchiona come tu siei, e' vieni a capo di far ridere la Principessa, e' tu diverrà' ricca sfondolata. Me l'ha 'mprumesso il Re, sai. - Vo subito, - disse Giovanna; e a quel modo scalza com'era, e colla rocca infilzata nel pensieri e il fuso intra la mane, e con tutti i su' capelli ciondoloni per le spalle, e' s'avviò. - Ferma! - sbergola il contadino; - ma che ti par egli, andare a corte in codest'arnese? Oh! che nun ti vergogni? Ravviati almanco un po' il capo o mettiti la sottana con un po' più di garbo. Anco le scarpe le ci vogliono; e posa codesta roccaccia. Dice Giovanna: - No davvero! Delle scarpe nun n'ho ma' porte e nun vo' 'mpicci a' piedi, per istroppiarmi. I' vo' andare accosì. S'i' nun vo a genio, per me, i' me ne torno a casa. Che son io che gli ho ricerchi per mettermi in nella corte? E senza aspettar risposte, Giovanna se n'andiede diviato alla corte del Re. Quando Giovanna la fu al portone del palazzo reale riscontrò le sentinelle e i servitori; insenza tante cerimonie lei n'agguanto uno per un braccio, le scotette e po' gli disse: - Alla sderta! Cercate del Re e fategli assapere che son qua io. [ [p. 27 modifica]27] Il servitore stiede lì come isbalordito in sulle prime; ma poi s'arricordò che il Re 'gli aspettava una ragazza a conversazione, e corse a dargli la notizia che la c'era; però, abbeneché dimolto bella, scalza, scarruffata e colla rocca a' fianchi, di poche parole e meno complimenti. A farla corta, Giovanna viense alla presenzia del Re, e nun si sconfuse nemmanco a riverirlo, o subbito domanda. - Addov'è questa Principessa? Il Re allora alzò un braccio per accennargli la cammera, e Giovanna, svoltate le spalle a Sua Maestà, franca entra dientro; e a male brighe vista la Principessa a siedere sur una poltrona, lei si messe a cantare una canzona tanto redicola, e l'accompagnava con de' gestri tanto buffi e sversati, che la Principessa nun si potiede più fracchienere o la principiò a ridere di core; e siccome dal riso steva lì lì per isvienirsi, diede il comando che Giovanna gli nuscisse subbito di cammera. In 'ugni mo', fu rotto il diaccio, sicché bastava che Giovanna si trovassi in presenzia della Principessa, ché a forza di canti, di balli, di giuccate o di racconti redicoli, Giovanna era capace di scommoverla alle risa dalla mattina alla sera, e 'gli accadette che in pochi giorni il naturale della figliola del Re viense mutato a bono, e di malinconica e triste addivenì allegra per sempre. Il Re nun capiva più nella su' pelle dal gran contento, e per ricompensa e' nominò Giovanna damigella della Principessa, e poi gli disse, che lei chiedessi pure quel che voleva, perché lui senza 'ndugio gli avrebbe conceduto ugni cosa. Passò del tempo che Giovanna steva nella corte del Re, quando gli nascette la bramosia di vestirsi anco lei alla reale, e diceva alla Principessa: - Oh! che nun istarebbe bene a me pure la robba vostra? Rincricchiata a modo i' potre' fare la mi' ficura, come una vera e propria damigella di corte. Gnamo! che ve ne pare, padrona? I' v'accompagnerei anco alla spasseggiata, s'i' avessi de' vestiti a garbo. Detto fatto, vestirno la Giovanna da signora, ed apparse più bella in que' panni. Di lì a un po' Giovanna si messe a pensare che tutti la credevano una signora per il su' vestuario, ma che in fondo lei era un'ignorante, che nun sapeva nemmanco la Santa Croce; e però volse imparare a leggere e a scrivere, e gli assegnorno de' maestri a istruirla, e con la 'struzione la su' mente si schiarì tanto, [28] [p. 28 modifica]che nella corte ognuno cercava la su' compagnia: il Re poi la tieneva come figliola e la Principessa quasimente come sorella. A dispetto delle premurie che avevan per Giovanna e della vita scelta che menava nel palazzo, lei però ragazza avvezza alla su' libertà di campagna spesso la s'annoiava per le cirimonie della corte e la si sentiva oppressa di rimaner serrata tra le mura d'un palazzo e d'una città; e però disse un giorno alla Principessa: - E che si fa egli noi qui serrate dalla mattina alla sera e sempre in sul medesimo tenore di vita? È vero che nun ci manca nulla. Pure se no' s'andesse via un po' a gironi per il mondo a divertirsi, a vedere de' loghi e delle persone nove, oh! la serebbe la gran bella cosa! Dice la Principessa: - Tu sie' matta, Giovanna! Il Re, i' ne son quasi sicura, il permesso d'andar sola con teco a girar per il mondo e' nun me lo darà mai. Ti par egli? E la gente nun istarebbe mica zitta. Arrisponde Giovanna: - Che! vo' vi sgomentate proprio di nulla. Ecco la mi' proposta. Si sceglie altre dieci ragazze, tutte belle; si vestano in nel medesimo modo di noi due; e accosì si viaggia. A dodici ragazze in un branco chi volete gli dia noia? Alla Principessa gli garbeggiò il consiglio di Giovanna, e corse subbito dal Re a chiedergli il permesso; ma il Re nun volse darglielo: disse, che lui era vecchio e bramava la su' figliola vicina; che 'n que' tempi e sempre le donne sole nun potevano insenza pericolo e vergogna andar giostroni per paesi lontani e sconosciuti; sicché la Principessa ritornò da Giovanna, come dice il proverbio, con la trombe in nel sacco. Giovanna però nun si smarrì a quel rifiuto. Scrama: - Ci vo io dal Re, e credete pure che a me mi rinusce farlo rimutare di pensieri. E gli rinuscì davvero, tanto lei seppe raggirarlo a forza di daddoli e di belle parole; e tante gliene snocciolò, che il Re si dovette dare per vinto, anco perché s'era impegno in sin da principio di concedere a Giovanna tutto quel che lei gli addomandava. Dunque Giovanna si diede sull'apparecchiare ugni cosa per il viaggio; e prima trovò dieci ragazze, e poi fece cucire dodici vestimenti compagni; e quando le robbe furno pronte, la Principessa, Giovanna e le altre dieci ragazze montorno in du' carrozze comide, dissano addio al Re, e partirno in branco dal palazzo; e per dimolti giorni girandolorno [ [p. 29 modifica]29] qua e là nelle castella e ne' paesi, a mala pena fermandosi per dargli un'occhiata alla lesta e riposarsi. Ma quando poi arrivorno a una città grande e popolata, stabilirno di restarci di più, e però si allogorno io un albergo, e ognuna di loro pensava alle su' robbe, e a tienere la cammera assettata, fora della Principessa che era servita sempre da Giovanna. Tutta quella brigata di ragazze allegre nun faceva altro che spassarsi, ora a visitar la città con tutti i palazzi e i giardini che c'erano, ora a zonzo per i dintorni in campagna; e la gente rimaneva a bocca spalancata in nel vedere tante belle fanciulle sole e riunite assieme, e crepavan per l'assinto di sapere chi le fossero: però loro badavano a sé, e degli omini curiosi e entranti d'attorno nun ce ne volevano. In quel mentre 'gli accadette, che un giorno nell'assettare la cammera Giovanna montò per aria a cavar la polvere da un quadro: l'alza e ci scopre sotto una finestrella da passarci appunto una persona. Che sarà? Ficca gli occhi dientro e vede una cucina, e lì c'era il coco tutto acciaccinato a preparare un desinare, ma tanto ricco, che dicerto nun poteva essere che di qualche Principe. La cucina dell'albergo nun era dicerto: e poi di que' desinari l'oste nun glien'aveva dati mai. Giovanna mezza sbalordita steva lì almanaccando per indovinare di chi fosse tutto quell'apparecchio signorile e quella cucina; poi si messe a esaminare per bene le vicinanze dell'albergo, e finalmente lei s'accorse che la cucina era la cucina del palazzo reale. In nel mumento gli viense in capo di fare una burla al coco. Lo lassa dilontanarsi e sderta schizza nella cucina, assaggia tutte le pietanze, ne piglia delle meglio quante più pole in grembio, e poi a manate butta del sale in quel che resta, e in fretta risale zitta in cammera sua e riserra la finestrella col quadro. E vienuta l'ora del mangiare e discorrere assieme, Giovanna diede di que' cibi trascelti alle su' compagne: ma nun gli disse mica d'addove gli aveva portati via; e siccome la chiacchierò di tant'altre cose, nissuna 'gli ebbe tempo di domandargli di nulla. Ora, bisogna sapere che in quel medesimo giorno il Re della città tieneva corte bandita, con grande invito al su' parentato e a' cortigiani e a' signori del Regno. Ma quando si furno messi a tavola, nun ci fu versi che potessan mangiar le pietanze [30] [p. 30 modifica]apparecchiate, perché gli eran troppo amare di sale. Al Re, figuratevi se gli montò la mosca al naso! Chiama il coco e con un viso da Orco gli domandò, in che modo lui aveva cucinato? Il coco, pover'omo, mezzo allocchito, gli arrispose, che lui pure si sconfondeva, e protestò che lui nun ci aveva colpa in quel malestro; lui il sale nelle pietanze ce l'aveva messo da sé e come al solito, e nun poteva capire in che maniera 'gli era successa quella disgrazia. Ma il Re gli diede poca retta, abbeneché il coco si mostrassi di molto umile e sincero, e lo condannò a stare in prigione per de' giorni, e poi gli diede ordine che apparecchiasse un altro desinare grande per la settimana doppo, e intanto lì per lì cercorno di rimediare alla meglio, perchè gl'invitati nun se n'andessan scontenti. Il coco, sortito di prigione, si messe a preparare un altro pranzo reale, e badava con gran premuria che del sale ci fusse il giusto nelle pietanze: ma quella malandrina di Giovanna steva a fargli la guardia, e quando lui per qualche necessità dibbandonò per un mumento la cucina, lei e' gli giocò il medesimo tiro; sicché anco questa volta gl'invitati nun potiedano ingollare nemmanco un boccone. Il Re s'imbestionì a bono, e chiamato il coco, doppo averlo strapazzato con delle brutte parole, voleva in t'ugni mo' che lo menassero in piazza le guardie e che il boia gli tagliasse insenza misericordia la testa. Il coco a quella sentenzia si buttò in ginocchioni e con le lagrime agli occhi giurava che era innocente; sicché a quella vista il Re si sentiede intenerire, e il coco preso un po' d'animo disse: - Senta, Maestà. Qui c'è dicerto qualcuno che mi vole male, e questi dispetti me li fa a posta per mettermi in disgrazia: perché bisogna che lei sappia che delle pietanze me ne sono anco sparite; ma come, nun lo so. Ma lei ordini un altro desinare, e se nun iscopro il birbone malestroso, allora sono contento che mi si tagli la testa in piazza. Gli garbò la proposta al Re, e anzi lui pure volse rimpiattarsi in nella cucina per vedere chi c'entrava di niscosto a sciupinare i piatti della mensa reale. Ed eccoti il coco acciaccinato attorno al focolare; il Re s'era gufo infrattanto dientro a un armadio. Il coco, dopo un mumento, fece le viste di dilontanarsi dalla cucina, e Giovanna che steva in sull'intese, subbito sguisciò giù dalla solita finestrella a [ [p. 31 modifica]31] commettere i su' malestri: ma in nel mentre che lei risaliva per rinentrare in cammera, il Re sbuca fori d'un tratto dal niscondiglio e l'acchiappa per una gamba. - Ti ci ho agguanto! - scrama. - Dunque, la ladra e la salatora eri te? Ma ora ti pago a conto pari. Giovanna insenza punto isgomentarsi gli arrispose: - Maestà, lei sbaglia. I' nun sono una ladra, ché, grazia a Dio, a me nun mi manca nulla. Quello che i' ho fatto, i' l'ho fatto per una burla al coco, per metterlo in dispero, e perché Sua Maestà s'arrabbiasse del disappunto a mensa. E però la mi perdoni e nun se ne parli più. Dice il Re, che già cominciava a sentirsi rinfocolato nel core a motivo della bellezza di Giovanna: - Brava! i patti tu gli fa' da te, a quel che pare. Bene! i' ti perdono, ma a un patto. Che te mi dica chi tu siei, d'addove vieni, e che mestieri è il tuo. Allora Giovanna l'accontentò facendogli la storia sua insino a quel mumento; sicché il Re gli disse: - Siccome i' ho fatta la tu' conoscenzia in questo modo, tanto te che le tu' compagne dovete vienire a desinare nel mi' palazzo: ci sarà una bona compagnia di signori ben aducati. Arrispose Giovanna: - Io per me nun rifiuto: ma prima bisogna che senta se la mi' padrona me lo dà il permesso. E poi, chi sa se lei vole vienire. Arritornate domani a questa finestra, Maestà, e vo' arete la risposta. - Sta bene e addio a domani, - disse il Re, e se n'andiede pe' fatti sua; e Giovanna riascesa in nella cammera, lassò il Re tutto allegro della su' scoperta. Nun ci fu versi di tiener più niscosto alla Principessa e alle su' compagne quel che 'gli era intravvenuto; al racconto di Giovanna, quale delle ragazze rideva, e quale la sgridava per le su' mattie; la Principessa poi pareva dimolto iscorruccita e steva in sospetto d'essersi compromessa nell'onore. Ma Giovanna con que' su' garbi e con delle bone parole gli rinuscì persuaderla, ché finalmente restò fissato di andare all'invito reale, con che però, che a mensa nun ci fussano più di dodici giovani, compreso il Re, e che ognuno siedesse accanto a una ragazza. E siccome Giovanna era con la paura che il Re almanaccasse qualche vendetta per rifarsi delle burle, lei prese con seco dodici bottiglie di vino scelto di quello del Regno della Principessa, e, doppo averle per bene alloppiate, pensò di darle a bere a' convitati e addormirgli [32] [p. 32 modifica]tutti quanti. Infrattanto mandorno un messo con una lettera al babbo della Principessa, e in capo a pochi giorni lui tornò con le su' brave bottiglie del vino. Quando viense il giorno del convito, la Principessa, Giovanna e l'altre dieci ragazze si vestirno tutte a un modo e con gran lusso, e poi si fecian menare alla corte, addove il Re le aspettava assieme a undici giovanotti, trascelti tra i meglio signori della città. Complimenti e inchini nun mancorno, e da ultimo si siedettero a mensa coppia per coppia. Giovanna era col Re; ma abbeneché lei parlasse più con lui, occupava ugni sempre tutta la brigata co' su' scherzi e colle su' novelle divertenti. Arrivi alle frutte, il Re e que' giovanotti gli avevano un po' alzato il gomito, e cominciorno a discorrere alla libbera e a nazzicare con le mane; sicché Giovanna, nella temenza di qualche brutto tiro, ordinò subbito che i servitori portasseno in tavola le dodici bottiglie alloppiate; e poi ritta in piedi disse: - Signori, questo vino e' viene di paesi lontani; nusce dalle cantine del Re mio bon padrone e babbo della Principessa. Se vo' siete cavaglieri gagliardi e garbati, e' vi disfido a votarne una per uno alla nostra salute. Nun ci stiedano a riplicar sopra, e le bottiglie si trovorno vote in un fiato: ma di lì a un po', tanto il Re che i su' giovani cominciorno a richinare, e finirne con appiopparsi come ghiri in sulle su' poltrone. Giovanna però nun fu contenta: lei tirò fori di tasca un paio di forbici e a tutti e dodici i convitati gli tagliò un baffo solo da una parte; e poi colle su' compagne via diviata e 'n fretta e furia giù per le scale del palazzo, e a casa; addove arrivate a male brighe, messe le robbe in ne' bauli, se ne fuggirno con le vetture e si fermorno a una villa for di mano, qualche miglio distante dalla città. Il Re e i su' giovani non si destorno che all'alba, ma rotti e sfracasciati per il disagio e per il vino bevuto; 'gli era come se avessin del piombo dientro al cervello. Si cominciano a stiracchiare e a scionnarsi, e guardavan di qua e di là a mo' di smemoriati. A un tratto dice uno a quello dirimpetto: - Oh! tu hai un baffo solo. - Anco te il simile! - gli arrisponde. - Poffareddina! - scrama il Re. - Che laoro è egli questo? Siamo tutti conci a un mo! Ce l'han fatta! Su su, alla rivalsa, perché 'gli è troppo grossa. Sbeffare un Re! I' nun son [ [p. 33 modifica]33] più Re, se a quella malestrosa di Giovanna nun gliela fo pagar cara. Ma fu tutto inutile che loro cercassino le ragazze per la città, e soltanto al Re gli rinuscì cognoscere per le su' spie addove s'erano niscoste, e però volse andare a scovarle con un travestimento finto. Il Re si mettiede ne' panni d'un pellegrino, e in un panieri infilzato nel braccio ci aveva accomide dodici mela cotte, e poi s'avviò fori della porta, e accosì alla lontana gli vienivan dietro i su' undici compagni di tavola. In sull'abbuiare 'gli arriva alla villa delle dodici ragazze e picchia ammodino all'uscio. A quel rumore scese giù col lume Giovanna per vedere chi fosse, e sentuto che quel pellegrino bramava un po' di ricovero la notte, siccome lei era di bon core, fece nentrare il finto pellegrino e lo menò in cucina, addove lui si siedé al focolare per riscaldarsi. Doppo un po', dice il Re: - Signora, lei sappia ch'i' mi sono smarrito per questi paesi in nel mentre che andevo alla città e ci portavo a vendere le mela cotte a un mi' amico antico. Ormai da qui a domani sarann'ite a male. Se lei le vole, io gliele do volentieri, anco per ricompensa del su' bene. Guà! i' nun ho altro da offerirgli. Son mela francesche e come bone, sa elle. Giovanna 'gli accettò lì per lì la profferta, e volendo che le mela l'assaggiasseno anco le su' compagne, lassato il pellegrino in sul focolare, se n'andiede nel salotto: ma quand'ebbe scoperto il panieri, in nel vedere che le mela erano per l'appunto dodici, gli viense del sospetto, e rifatti i su' passi addietro, lei s'accorse che il pellegrino steva alla finestra di cucina affacciato, e sentiede che discorreva con qualcuno di fori: - Su, lesti; i' scendo a aprire a mala pena le sono a letto addormentate. Giovanna a quelle parole nun fiatò nemmanco: "Che c'è?" ma in un tratto agguanta il pellegrino per le gambe e lo scaraventa di sotto. Fortuna che la finestra 'gli era bassa! Il Re battiede il capo in sull'erba, ma nun morì; soltanto si sviense, e i su' compagni lo portorno via a braccio insino al palazzo e lo messan subito dientro il letto. Innunistante al Re gli prese una grossa malattia, e tutti credevano che tra poco lui avrebbe tiro il calzino; più che altro era male di amore dispregiato, e i medici nun sapevano che mesticciarsi per rinsanichirlo, perché, al solito, loro nun capivano [34] [p. 34 modifica]quel che il Re 'gli aveva. Infrattanto Giovanna steva con una gran paura addosso; e quando poi gli dissano del Re ammalato, lei fece il proponimento di rimediare al malfatto e pensò di visitarlo travestita da dottore. Di sicuro, a lei gli rincresceva che il Re fussi ridotto a quel modo per cagion sua; nun ci fu versi che la Principessa la potessi fracchienere, ché lei volse far di su' testa. Giovanna, dunque, con un vestuario da dottore viense al palazzo reale e disse che l'annunziassino per un medico bravo e capace di guarire in un mumento Sua Maestà: - Io però la fo a quattrocchi co' mi' ammalati la cura; e se loro gli urlano nun permetto che nissuno sia ardito di correre e nentrare in nella cammera. Ma di guarirlo il Re ne sono più che sicuro. Siccome tutti quel del Re lo credevano un caso perso, nun cancugnorno a impromettergli al finto dottor di ubbidire a' su' comandamenti; e Giovanna, vienuta al letto del Re ammalato, tirò fori un bon nerbo e con quello gliene diede tante, insintantoché lei nun lo vedde svienuto: allora lo rinvoltolò in nelle lenzola e poi se ne fuggì diviato. Il fatto è che Sua Maestà pochi giorni doppo sortì dal letto bell'e guarito. Ma Giovanna e le su' compagne tutt'assieme gli avevan fatto fagotto e se n'erano a gambe ritornate dal padre della Principessa, perché loro temevano dimolto la vendetta di quel Re sbeffato in tante maniere, e di più, nerbato a bono. Lui però s'incaponì di possedere Giovanna, perché lui s'era addato che fussi stata la su' guaritora; e però, messo assieme un bel corteo d'accompagnamento, se ne viense nel Regno addove steva di casa la ragazza, e per nun andar tanto per le lunghe, lui la richiese a dirittura per su' moglie legittima. Il padre della Principessa cancugnò a dargli il consenso, in nel sospetto di un tradimento per far del male a Giovanna: ma siccome Giovanna 'gli era ardita e dimolto vogliolosa di diventar Regina, cavò la paura dal capo del su' padrone, sicché questo fu obbligato a contentarla, gli regalò una bella dote, la sposò da sé e poi gli disse addio, e Giovanna se n'andiede col marito: la Principessa però, nun la lassò partire insenza lagrime, e anco Giovanna la piagneva. Abbeneché il Re a Giovanna gli volessi dimolto bene, 'gli [ [p. 35 modifica]35] avea in ugni mo' sempre dell'aschero con lei per le sbeffeggiature e gl'insulti che lei gli aveva fatti: ma Giovanna, furba, gli leggeva in negli occhi, e steva in guardia; anzi, di niscosto lei ordinò che gli fabbricassino una donna di pasta, e l'accomidò dientro alle casse del corredo e se la portò con seco. Quando poi la prima notte gli sposi sì trovorno in camera per nentrare tutti e due in nel medesimo letto, Giovanna, con la scusa di vergognarsi, il lume acceso nun lo volse; sicché restati al buio, lei zitta zitta infilzò la donna di pasta tra le lenzola e ci si mettiede accanto, ma in ginocchioni sul tappeto in terra dicontro alla sponda del letto. Il Re, che nun s'era di nulla accorto, si sdraiò, e poi disse: - Tu sie' stata con meco di molto ardita e traditora, Giovanna! Ora sarebbe il vero mumento di gastigarti: ma siccome te ne voglio del bene, mi contento che tu mi domandi perdono e che tu mi prometta di nun far più di simili cose. Arrisponde Giovanna con una vocina da burla: - Che! Maestà, i' nun mi pento, e addove mi capita, i' farò come prima. Al Re gli viense una gran rabbia a quel discorso, e inferocito a bono, piglia la spada che tieneva a capo del letto e dà un picchio in sulla donna di pasta, concredendola Giovanna, e gli taglia netta la testa. Ma sbollorata quella prima furia, lui comincia a tastare e sente un corpo freddo. Subbito il Re si mette a disperarsi pensando d'aver morta la su' cara moglie; salta dal letto, chiama gente e eccoti corrono tutti spauriti i cortigiani e i servitori con de' lumi. In quel frattempo Giovanna levò la donna di pasta dal letto e ci si mettiede lei, e per fingersi ferita e quasimente moribonda si tinse attorno al collo con del sangue asserbato in una vescica. Quando il Re vedde quello spettacolo si buttò a traverso il letto a piagnere e a disperarsi, e si strappava i capelli, maladicendo alla su' rabbia, e nun poteva darsi pace; e Giovanna, doppo che l'ebbe lassato un po' di tempo sconfondersi a quel mo', con istupore d'ognuno s'arrizza a siedere e dice: - Signori! Veramente, s'i' dovessi badare al bel trattamento del mi' sposo la prima notte che ci si trova assieme, mi toccherebbe a pigliare le mi' robbe e tornarmene diviata addove i' son vienuta. Ma siccome i' nun tiengo rancori, e penso che Sua Maestà ha commesso questo malestro per la su' mattia all'improvviso, ormai quel che è stato è stato, [36] [p. 36 modifica]e nun ne fo caso. Soltanto, il Re 'gli ha da nuscire di cammera e mi lassi in pace per rimettermi dalla paura. Al comandamento il Re ci si sottopose, chiese perdono a Giovanna e gli diede arbitrio di richiamarlo a su' volontà nel letto, quando lei era rinsanichita: sicché Giovanna fece le viste d'esser malata per qualche giorno e doppo si rappattumò col su' sposo, e camporno tutti e due allegri e contenti, e si sente dire da chi lo sa, cha ancora e' sono. Dunque

In santa pace pia Dite la vostra, ch'i' ho detto