Parte terza - Filota

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Parte terza - Arato da Tarso Parte terza - Callimaco
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FILOTA


ANTIGENIDE A TIMOTEO

È giunta l’ora, o amico,
     Che, percorrendo le ampie
     E sì ricche cittadi
     Di Grecia, alfin ti mostri
     5Per la comune nostra
     E per la patria fama,
     Umile qual tu sei,
     Ingiurioso ben fora
     Il rammentar del fiero
     10Icaro la sventura;
     Ma al timido sia norma
     L’avventura d’Eunomo,
     A cui, come t’è noto,
     Or la mia fama io deggio.
15Grazie ne rendo ai Numi
     Ed a Teleste (spesso
     Così Eunomo diceva)
     Se gareggiar sul liuto
     Dalla tenera etade
     20Potei coi più famosi
     Suonator dell’Ellade.
     Rimanere io bramava
     Molti e molt’anni ancora
     Presso al dotto Teleste;
     25Ma il genitor perdei
     E fui l’unica speme
     De’ giovani fratelli
     E della cieca madre,
     «Va,» mi disse Teleste,
     30«Ossequïoso ascolta
     Del dover tuo la voce,
     E de’ Numi ti affida.»
     Egli mi diede un liuto,
     Che modesto e sonoro
     35S’addiceva allo stato
     Della miseria mia.
Nel visitar le ricche
     Cittadi dell’Esperia,
     Acquistai dappertutto
     40E fama, e doni, e amici.
     Uno fra lor consiglio
     Benevolmente diemmi
     Di contender la palma
     Ne’ popolosi giuochi
     45Della famosa Locri.
Non creder no, che brama
     Di ricchezze e di fama
     Coraggio a me ispirasse,
     Ma sol desio crescente
     50D’assicurar la sorte
     De’ giovani fratelli
     E della cieca madre.
E di fiducia pieno
     Negli immortali Dei,
     55Timido a un punto e ardito
     Verso Locri m’invio.
Nell’antico querceto,
     Dove sorge venusta
     Di Zaleuco la tomba,
     60Allo spuntar del sole

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     Numerosa adunanza
     Impazïente attende
     L’apparir de’ campioni.
Fornita de’ pedoni
     65E cavalier la corsa,
     Degli araldi la voce
     Altisonante invita
     I suonator diversi
     A singolar tenzone.
70Giovanetto leggiadro,
     Vinse con sommo applauso
     Sul melodioso flauto
     I famosi rivali.
     Ei mi rese il coraggio,
     75Ch’al repentino aspetto
     Di tanti ed infiniti
     Settatori m’aveva
     Quasi già abbandonato.
Uno fra lor mi disse:
     80«Lampro tornò fra noi,
     Che nel suonar del liuto
     Non conosce rivali.
     Ovunque egli apparisce,
     Nullo, da lungo tempo,
     85Nelle pubbliche lotte
     Contrastargli pur osa
     Della vittoria il premio
     Da lontani paesi.
     Egli ritorna, carco
     90Di prezïose gemme,
     Di tripodi superbi
     E cesellate coppe
     Qual d’auro e qual d’argento.
     Ei, dopo lunga assenza,
     95A consolar sen riede
     La diletta sua patria.
     Ognun fra noi ben crede
     Ch’anche tu, o giovinetto,
     Suoni con arte rara;
     100Ma non entrare a gara,
     Col destrissimo Lampro,
     Che sfidare sul liuto
     Potria lo stesso Apollo.
     Non isprezzare il mio
     105Amorevole avviso!
     Prudente e saggio cedi
     Ad artefice, a cui
     In qualunque contesa
     Son protettori i Numi.»
110Ma mi suonò nel core
     Imperiosa una voce:
     «Tu nel cielo confida,
     I fratelli rammenta
     E l’infelice madre.»
115Me vedendo, a dispetto
     De’ lor detti, già pronto
     A disputar la palma,
     Un servo, tal parea,
     A me viene e mi dice:
     120«Antichissima usanza
     Ai campioni difende
     All’entrar nella lizza
     Di giovarsi del proprio
     Usato flauto, o liuto
     125Per timore che ascondasi
     Qualche straniero incanto.
     Se, stranier, non mi credi,
     Te lo dirà ciascuno
     Della folla presente.»
     130E col capo accennando
     Subito i circostanti
     Confermaro i suoi detti,
     «E di te l’adunanza
     Tutta si burleria,
     135Quest’antico veggendo
     Inusitato liuto.
     Eccone un altro, e certo
     Egli non cede al tuo.»
Ai lor usi straniero
     140E non trovando scusa
     Contro tale richiesta,
     Accetto il nuovo liuto
     E, toccate le corde,
     Sembrami ’l suon non meno

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     145E chiaro e dolce e pieno
     Di quel del liuto mio.
     Del sorriso nascosto
     E maligno m’avvedo
     D’uno de’ circostanti;
     150Ma nel momento istesso
     Chiamami l’alta voce
     Dell’araldo; che segno
     Fammi coll’alta mano
     Di entrare nell’aringo.
155Non eravam che due
     Esce dall’urna d’oro
     Del rivale la sorte,
     Senz’indugiare Lampro
     Incomincia l’insigne
     160Opera di Terpandro,
     Che Creazione ha nome.
La numerosa folla
     Serba sacro silenzio
     Sì che udiriasi infino
     165Lo stormir delle foglie,
     O il susurrar d’un’ape,
     Che di fior vola a fiore:
     E con mirabile arte
     Finito, ch’ebbe Lampro,
     170Battimenti di mano,
     Grida d’ammirazione
     Ricominciando ognora
     E prolungate sempre,
     La contentezza esprimono
     175Dell’adunanza intera.
Mi s’agghiaccia di tema
     Il sangue nelle vene,
     Ma si presenta al core
     Stupefatto l’immagine
     180Dell’infelice madre,
     E d’un ardor finora
     Non conosciuto l’empie.
     Alzo supplici gli occhi
     Alla sede de’ Numi,
     185E, rincorato, avanzo
     Verso il levato palco
     De’ giudici del campo.
Quasi ispirato intuono
     L’opera impareggiabile,
     190Ed i miei primi accordi
     Fanno augurare un suono,
     Quale non s’aspettava
     Da mia tenera etade.
     Ciò negli sguardi io leggo
     195D’ognun de’ circostanti.
Passo a passo percorro
     L’immisurato Caos
     Con volo or ratto or lento,
     Or con rauco stridore
     200E minaccioso ed aspro,
Or con sottil bisbiglio
     Che decresce e si perde.
     Incatenando i suoni
     E i dissonanti accordi
     205Rotti, contrarj, opposti,
     Dipingo il movimento
     Degli elementi sparsi,
     Mescolati senz’ordine,
     L’un coll’altro lottando.
     210Subito un’improvvisa,
     Solennemente lieta
     Transizione grandiosa
     La Creazione annunzia!
Tutto va al mio desire
     215Sol una corda suona
     Meno piena delle altre.
     Ma eccetto me, nessuno
     Quel difetto distingue.
Eccomi giunto alfine
     220All’istante: ov’è duopo
     Tocca l’indebolita
     Corda tre volte, in pieno
     Splendidissimo accordo,
     Con fragore la corda
     225Al terzo accordo rompe,
     E nel momento istesso
     Io questi detti ascolto:

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     «Eccoti ’l guiderdone
     del temerario ardire!»
     230Indovinando il vile
     Lor intrico odïoso,
     Non che di sconcertarmi,
     Dallo sdegno e dall’ira
     Nuova forza prendendo,
     235Il suonar mio non cesso.
     Negli sguardi di quasi
     Tutti dipinta veggo
     Compassione sincera
     O lusinghier timore.
240Ma gl’immortali Dei
     Non abbandonan l’uomo
     Che con intima fede
     Al lor poter si affida.
Sta la splendida tomba
     245di Zaleuco nell’ombra
     Di bellissimi pioppi.
     Viene dall’un di loro
     Grande e vaga cicala,
     Tutta zaffiro ed oro,
     250Sul mio liuto a posarsi.
Or la musica vuole
     Inevitabilmente
     L’unico, lungo, forte,
     Ripetuto tre volte
     255Suon della corda infranta.
     Oh meraviglia! il suono
     Vien surrogato, chiaro
     E pieno, dalla voce
     Della dal ciel mandata
     260Cicala ajutatrice,
     In quello e in altri luoghi
     Dell’ammirabile opra.
Solo ritiene il sacro
     Orrore, che le ispira
     265Lo strano avvenimento,
     La numerosa folla
     Dal terminare or ora
     Senz’indugiare, in mio
     Favore la contesa.
270Quando finito io m’ebbi,
     I giudici dall’alte
     Sedi loro s’alzarono
     E, postami sul capo
     Una corona d’oro
     275Vollero, ch’in memoria
     Della vittoria mia,
     Il magnifico liuto
     Io conservassi, e inoltre
     Aggiugner fero a quello
     280Una cicala, tutta
     Di fin auro e di gemme
     Prezïose composta,
     E alla partenza mia
     Diermi innumeri doni.
285Alla patria tornato,
     Di mia vittoria il liuto
     Colla ricca cicala
     E colla corda infranta
     A Giove sacro appesi;
     290Coi numerosi e ricchi
     Altri doni fui lieto
     Di migliorar la sorte
     De’ giovani fratelli
     E della cieca madre.