Parte terza - Arato da Tarso

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ARATO DA TARSO


PUGNA COLLO SPIRITO DI TEMESSA

«A che sì ratta, di’, corre la folla
     D’ogni intorno a quel tempio?
     È forse questo giorno al sommo Giove,
     4Od a Minerva sacro?» —
Ben si vede, o stranier, che mai sinora
     Tu non fosti in Temessa:
     Con gioja ognor solennizziam la festa
     8Sia di Giove o Minerva.
Ma non v’ha ciglio, che pianto non versi
     Oggi al barbaro rito;
     Ch’ora meniam delle vergini nostre
     12Al Demon la più bella! —
Quel Demon che nome ha? Vecchio, tu piangi
     Forse quella donzella
     Giunta ti è dai nodi di parentela?
     16Onde vi vien tal uso?»
Senti! Quando alfine, dopo dieci anni
     Di sanguinosa guerra,
     La superba Troja distrutta, i Greci
     20Tornaro al patrio nido:
Il glorioso figliuolo di Laerte,
     In odio al Re de’ mari,
     Altri dieci anni errò sull’onde infide,
     24Di sua patria lontano.
Cedendo ai preghi dei compagni lassi,
     Egli approdò talvolta:
     Così, da orrenda procella spossato,
     28Un dì qui terra prese.
Lor ministra l’opimo suolo e frutta
     E vino in abbondanza,
     E ozio dolce, talora più nocivo
     32Che le cruente zuffe.
E colà giuso, ove alzasi quel tempio,
     Servo ch’era pur saggio,
     Spinto dal vino, che lo spirto accieca,
     36Una donzella offese.
D’ira accesa, senza indugiar, la folla
     L’offenditor circonda,
     E prima ch’alcun potesse acquetarla
     40Nel suo furor l’uccide.
E maggior danni prevedendo Ulisse
     Spiegò le vele al vento;
     E l’insepolta salma in preda stette
     44Agli avoltoi e ai cani.
Scorse tre lune appena, dell’ucciso
     Lo Spirto vendicossi
     De’ Temessei: passò di rado un giorno
     48Senza fiera sventura.
Un dì, del vicin fiume in sulla riva,
     Lieta cuna dei grilli,
     Stuol di fanciulli di bei fiori ornati,
     52Al lor canto danzava.
Quando dal bosco accorre ingorda lupa
     E, sei di vita orbati,
     Nell’ampie fauci l’ultimo strascina
     56All’affamata prole....

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Le nostre spose ad annua festa andaro
     Al di là di quei monti.
     La via serpeggia fra scoscese rupi
     60E lo spumante mare.
E d’un antro all’entrar scorgon repente
     Dismisurato un orso:
     Rapidamente verso lor quel mostro
     64Forte urlando s’avventa.
Lo spavento le accieca e dieci belve
     Di scorgere lor sembra,
     E che l’una‘più dell’altra feroce
     68Corra a dilacerarle.
L’ali a molte fra lor dà lo spavento
     E slanciansi nel mare,
     E l’altre prive d’ogni moto e vita
     72Sono uccise dal mostro....
Chiamano già l’auree mature spiche
     Del mietitor la falce;
     Quand’il Demone, in grembo ad atre nubi
     76Ver la terra discende.
Quale ampia tromba, il negro nuvolone
     Sempre vieppiù s’abbassa;
     E tosto che pervenne all’alte spiche
     80Il Demone mostrossi.
È sua voce più forte assai del tuono,
     E con sue cento braccia
     Svelle la messe al campo, ch’ai suoi passi
     84Qual per tremoto scuotesi...
Abbandonar decisi il patrio tetto,
     Sol attendiam d’Apollo
     Il responso. «Tosto che al mare in riva
     88(Così rispose il Nume)
All’ucciso sacriate un tempio e un bosco.
     Cinti da salde mura,
     Ed ogni anno gli diate di Temessa
     92La più vaga donzella;
Ei cesserà le crude sue vendette.»
     Di Febo il dir fu sacro:
     E da quel tempo ogni anno al mostro cade
     96Il fior de le donzelle.
Ecco l’immensa folla mena al tempio
     Or la vittima scelta.
     S’altra ve n’ha che in beltade l’uguagli
     100In virtude non v’ha.
Del prode genitor orbata in cuna
     Quand’ei salvò Temessa,
     Nobili ingrati, per salvar le figlie,
     104Cospiraro di scerla. —
D’ira avvampò l’ardito Eutimo e disse:
     «Ercole, degli Atleti
     E padre e maestro, forse dall’infanzia
     108Esercitai le membra
Sol perchè un dì, di molte turbe ai gridi
     Cinto io fossi di lauro
     Ne’ tuoi giuochi, che tu fondasti allora
     112Che da mostri purgato
Avesti l’Orbe? Or lasciami l’oppressa
     Innocenza salvare!
     Dà la vittoria Giove a suo talento;
     116Qui con gloria si cade!....
O vecchio, a me dà brando, e lancia, e scudo,
     Dammi l’elmo e ’l mio serto,
     E me conduci dritto a quel recinto,
     120Sì che in tempo vi giunga....»
Tosto ch’appare il campion coronato,
     Gli fa strada la folla.
     «Dov’è la sposa?» ei dice in tuono altiero,
     124«Del Demone la sposa?
E de la sposa invece in questo giorno
     Incontrerollo io stesso:
     Forse nell’avvenire ei lasceravvi
     128Anche senz’ella in pace....
Ma tu, che al par del sol fra le compagne
     Splendi, se mai vittoria
     Giove mi dà, vorrai seguirmi sposa,
     132Tuo campione riamando?» —
A te schiava dovunque seguirotti,
     Poi che a morte mi togli. —
     «Non ti vo’ schiava, ma sposa: e tu dunque
     136Compagna or se’ d’Eutimo.» —
Eutimo! Eutimo! quell’atleta è desso,
     Che, già tre lune or scorsero,
     Nelle arene Olimpiche dell’alloro
     140Senza pugnar fu ornato?

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Dà, regnator de’ Numi, al generoso
     Campion vittoria intera!
     T’immoleremo ogni anno in questo giorno
     144Una sacra ecatombe.
E posaro del tempio in sulla soglia
     In copia e cibo e vino,
     Ed invocati ad alta voce i Numi,
     148Pien di speme tornaro.
Alla sposa tremante disse Eutimo:
     «Sul limitar m’aspetta,
     E la pugna compita io vo’ che prima
     152Te l’occhio mio rincontri.»
Con lieto sguardo entrato nel ricinto
     E chiusane la porta,
     Impavido del bosco all’ombra negra
     156Aspettò l’inimico.
Già nel sereno e lieto cielo il sole
     Ver ponente volgea,
     Quando con passi, onde la terra trema,
     160Il Demonio avanzava.
Salda corazza il petto ampio gli cuopre
     E le robuste braccia;
     Ferocemente sott’all’elmo splendono
     164Gli occhi qual bragia ardenti.
«Come, o vile mortale, entrare osasti
     Nel dominio d’un Nume?
     Tu, temerario, vieni, nel mio regno,
     168A disputar mia preda?» —
Noi, discendenti della Terra, Numi
     Sol stimiamo la stirpe
     Di Urano e quei, che con virtù la via
     172Si apron del ciel, gli Eroi.
Ma tu, spavento dei vicini tuoi,
     Sei esecrabil mostro:
     La fiera zuffa incominci, e tosto;
     176De’ tuoi detti mi rido. —
Alzò la clava ed occorse mugghiando
     L’atro mostro all’atleta,
     Che intrepido l’attende, e ognor la lancia
     180Inver gli occhi gli drizza.
Ricomincia la zuffa e sempre nuova
     Spiega or forza ed or arte;
     Fin che ad Eutimo balenò in pensiero
     184Di terminar la pugna.
Lungi da sè egli getta e scudo e lancia,
     Verso il mare correndo,
     E luogo adatto egli cogli occhi indaga,
     188Ove atterrare il mostro.
Rapidamente il Demone lo insegue
     Gridando: «E tu, codardo,
     Sperar potevi di sottrarre al giogo
     192Questa città, mia schiava?»
Trovato il luogo ed imbrandito il ferro,
     Eutimo attende il mostro.
     E di Temessa intera agli occhi, quivi
     196Si rinnuova la zuffa.
Tutt’ad un tratto sè più forte vede
     L’abile atleta, e piomba
     Sul mostro immenso, e con mano sicura
     200Nella gola il ferisce.
Poi, giugnendo la beffa all’onta, disse:
     «Eccoti mia risposta,
     Onnipossente Dio, regna felice
     204Nella schiava Temessa!»
E poi che spenta nell’informe corpo
     Fu la fiamma vitale,
     Eutimo il strascinò ver l’alta sponda
     208E gettollo nel mare.
Inverso il ciel salir l’onde commosse,
     Qual subitanea nebbia,
     E sul tramonto il sol da lor rifranto
     212Iride vaga pinge.
Udito il tuffo di quel mostro orrendo
     E vagheggiando l’arco,
     Che sul mare si stende, i cittadini
     216Alzan le mani al cielo.
Apre la porta del recinto e corre
     Al vincitor la sposa:
     Grata festeggia la cittade intera
     220Le nozze a chi salvolla.