Atto II

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Atto I Atto III
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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Alerico solo.

Dove, ah dove fuggiro i miei guerrieri?

Dov’è Stenone, ov’è chi sparger sappia
Una stilla di sangue in mia difesa?
Mi abbandona ciascun? Fin quando, o stelle,
Sarete al regno mio fiere nemiche,
Sarete all’alma mia stelle tiranne?
Che mi resta a temer? Lo scettro, il trono,
L’unico figlio mio, tutto, infelice,
Tutto perdei; de’ miei disastri il fine
Chiedo alla morte; e pur lo chiedo invano,
Che ancor morte mi niega il fato avverso.
Crudelissimo fato!...

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SCENA II.

Cratero con soldati e detto.

Cratero.   A voi, soldati,

Circondate il nemico.
Alerico.   Or ti fia lieve
Trionfar di me che disarmato ho il braccio.
Ah se avessi il mio brando, empi, codardi,
Paghereste col sangue il vostro ardire.
Cratero. Cingete il di lui piè d’aspre catene.
Alerico. Ancor questo di più? Lacci servili
Al re de’ Goti? Ove apprendesti, indegno,
D’un re infelice ad oltraggiare il grado?
Cratero. Non lagnarti di ciò; son di fortuna
Queste usate vicende; e scettro e trono
Son della sorte un dono, e può la sorte
Ritorli a suo piacer. Sol la virtude
È la dote del forte e questa sola
Fra catena servili non avvilisce,
Ma quanto oppressa più, più chiari ostenta
Ad onta di fortuna i raggi suoi.
Alerico. È ver; può un’alma forte ogni sventura
In pace tollerar; ma un’alma offesa
L’onte soffrir non può senza vendetta.
Questi barbari lacci ond’io son cinto,
Sol per questa cagion duri mi sono.
Il mio regno darei, darei mia vita
Per lo solo piacer di vendicarmi.
Cratero. Vano è ormai tal desio. Sei vinto e oppresso,
E di vendetta or tu favelli invano.
Vieni al tuo vincitor.

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SCENA III.

Rosmonda e detti.

Rosmonda.   Fermate il passo.

Dove, spietati, il genitor guidate?
Alerico. Figlia, de’ tuoi consigli è questi1 il frutto.
Tu mi togliesti a morte e mi serbasti
Allo scorno, all’obbrobrio, alle catene.
Rosmonda. Deh taci per pietà, deh non volermi
Co’ rimproveri tuoi squarciar le piaghe
Fatte già nel mio sen dal mio dolore.
Vivi; chi sa, forse l’iniqua ruota
Volgerà di fortuna altrove il corso.
Alerico. Questa vana lusinga è il consueto
Inganno de’ mortali. Il mal ci preme
E in lontananza ci lusinga il bene;
Altro bene non curo, altro non chiedo
Che la sola vendetta. Ah tu rammenta
Che ad Attilio, ch’a me la promettesti.
Rosmonda. Sì, sì, non dubitar. Farò io sola
La vendetta comun. Dal sen crudele
Di Germondo ch’è tuo, ch’è mio nemico,
L’empio sangue trarrò.

SCENA IV.

Germondo e detti.

Germondo.   Numi, che sento!

(da sè, non veduto
Alerico. Lascia che al sen ti stringa.
Cratero.   Omai troncate
Questo indegno colloquio, e di Germondo
Cauti apprendete a rispettare il nome.

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Alerico. Germondo è un traditor.

Rosmonda.   Germondo è indegno
E di regno e di vita. (Eppur Germondo
Di Rosmonda nel core e vive e regna). (da sè
Cratero. Signor, costoro arditi... (scoprendo Germondo
Germondo.   Intesi assai.
Rosmonda. (Stelle che mai sarà?)
Germondo.   Quelle catene
Sciolgansi ad Alerico; e tu, Cratero,
Parti, e partano teco i tuoi soldati.
Cratero. Pensa, signor...
Germondo.   Non più; tosto eseguisci.
(Cratero fa sciogliere Alerico e parte con soldati

SCENA V.

Germondo, Rosmonda, Alerico.

Alerico. Pietà sospetta.

Rosmonda.   (Ah! non comprendo ancora
Se temere o sperar da ciò si debba). (da sè
Germondo. Alerico, m’ascolta, e tu Rosmonda,
Soffrimi e non partire. So che il mio sangue
È l’unico desio de’ vostri cuori,
So che la vita mia spiace ad entrambi;
E Rosmonda crudel, Rosmonda istessa,
Che sa quanto l’adoro, ardisce ingrata
Offrir sua destra all’inumano colpo.
Che crudeltà! D’onde ragione avete
D’imperversar contro di me? Superbo!
Sta pur la vita tua nelle mie mani,
È pur di mia pietà tua vita un dono.
Conquistator io son di questo regno;
Pende dalle mie labbra il tuo destino,
Eppure il tuo destin render felice

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Brama il mio core e ridonarti il regno.

Ingrata! tu sai pur quanto mi offese
L’ingrato padre tuo. Sai pur se m’odia,
Se tradirmi tentò. Fosti tu stessa
De’ tradimenti suoi complice ancora.
Sai ch’alla tua beltà, sai che all’ardente
Desio di possederti i torti e l’onte
Donai, e l’ira mia posi in obblio;
Che volete di più?
Alerico.   Voglio il tuo sangue.
Germondo. E spargere il mio sangue io non ricuso
Per placar l’ira vostra; a me sol basta
Che Rosmonda mel chieda.
Rosmonda.   (A qual cimento
Prepararmi degg’io?) (da sè
Germondo.   Se cuore avesti (a Rosmonda
Di bramar la mia morte, usa lo stesso
Ardir nell’eseguirla. In faccia mia
I tuoi sdegni raccendi:2 a che t’arresti?
Non mi guardi? ammutisci? È forse questo
Per cui tingi le gote e il ciglio abbassi
Un moto di pietade? Il mio sembiante
Ti desta forse a tenerezza il core?
Rosmonda. (Oh Dei, morir mi sento!) (da sè
Alerico.   Empio, t’inganni;
Non è capace di Rosmonda il seno
Di dannevol pietà. L’illustre sangue
Ch’ella serba fastosa entro le vene
È una parte del mio, nè può la figlia
L’onte non rammentar del padre offeso.
Germondo. Perchè dunque tacer? perchè Rosmonda,
La mia morte non chiedi? A un sol tuo cenno
Mi vedrai al tuo piè. Sol che tu dica:

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Io vuo’, Germondo, il sangue tuo, vedrai

Se spargelo saprò; sol che pronunzi
La sentenza fatal della mia morte,
Morir dinanzi agli occhi tuoi son pronto.
Rosmonda. (Questo è dolor ch’ogni dolore eccede). (da sè
Alerico. (Ah Rosmonda smarrisce!) E non intendi
Donde nasca, Germondo, il suo silenzio?
Troppo sarebbe il tuo destin felice,
Saria la morte tua gloriosa troppo
Se ministro ne fosse un regio labbro.
Ella tacita aspetta il tuo supplizio,
Ed accesa nel cor di giusto sdegno
Fugge l’orror di rimirarti in volto.
Germondo. È vero, è ver. Troppo sarei felice
Nel mio morir, se di Rosmonda un cenno
Precedesse mia morte. Orsù, crudele,
Sarai contenta. Io di morir destino
E col mio sangue satollar tue brame.
Mira, ingrata, s’io t’amo; ecco il mio brando;
Già l’appresso al mio sen. Mira, Rosmonda,
Quest’è la via del cor.
Rosmonda.   (Ahimè! non posso
Il pianto trattener. L’ira del padre,
Di Germondo la fè son due crudeli
Tormenti all’alma mia). (da sè, piange
Germondo.   Piange Rosmonda?
Che mai vuol dir quel pianto?
Alerico.   Ah scellerata!
Più col nome di figlia io non ti chiamo.
Quell’indegno tuo pianto, i tuoi sospiri,
Quel tremor, quel pallor, son chiari segni
Dell’interna passion. Tu serbi ancora
L’amor tuo, la tua fede al mio nemico.
Ed io incauto sperai di tua fortezza
Prove inaudite, ed io da tue menzogne

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Lusingar mi lasciai: stolto chi crede

Di donna vil ai detti. Oh! quanto mai
È diverso dal labbro il cuor profondo!
Rimanti pure al tuo diletto appresso...
Arrossisco in mirarti... Non mi curo
Di te: t’odio, t’abborro, e la vendetta
Otterrò senza te. Sentimi, indegna;
Non osar più di rimirarmi in volto,
Padre non m’appellar; son tuo nemico. (parte

SCENA VI.

Rosmonda e Germondo.

Rosmonda. Fermati, ascolta, oh Dio!...

Germondo.   Lascia, Rosmonda,
Lascia che parta il genitor severo.
Tu mi ami e l’amor tuo copri di sdegno
Per esser grata a lui. Ben me n’avvidi,
Ti provai, ti convinsi. Or più non giova
Simular il tuo foco. Idolo mio,
Pace, pace fra noi. Torniamo, o cara,
A unir l’anime nostre, e duri eterna
Di reciproco amor l’ignea radice.
Rosmonda. (Pur troppo è ver che della fiamma antica
Vive qualche scintilla entro al mio seno). (da sè
Amor? amore in me? Non fìa, t’inganni.
Io capace d’amor per te non sono.
Quel pianto, (ahi mio rossor!) quel pianto ch’io
Dalle luci versai, non fu pietade
Che a tuo favor nel seno mio parlasse.
Germondo. Dunque che fu?
Rosmonda.   Nel riveder quel ferro
Che dal petto di Attilio il sangue trasse,
Tutta l’alma si scosse, e le pupille

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Pianser, non so se per dolore o sdegno.

Or ritorno in me stessa, or l’ira mia
Contro di te riprendo, e la tua morte
Seguo a bramar. Ma un traditore, un empio
Non dee con l’innocente aver comune
Lo strumento di morte. Ascondi il brando,
Serbalo per trofeo di tua fierezza.
Altro ferro, altra morte, altro ministro
Devesi al tuo delitto, e spero in breve
Lieta mirar la debita vendetta.
La mia virtude ancor tu non conosci.
(Voi comprendete il mio dolore, o Numi).
(da sè, parte

SCENA VII.

Germondo, poi Alvida.

Germondo. E chi intender potria gli strani effetti

Del suo cor, del suo labbro e del suo volto?
Or pietosa or crudele or mesta or fiera,
Ora amante si scopre, ora nemica.
Qual arcano è mai questo? Ah sì, lo veggo;
È confuso il suo cor fra due pensieri
E or l’amante or la figlia in lei favella.
Spera, mio cor, che della figlia alfine
L’amante trionferà.
Alvida.   Pur ti riveggo,
Mio diletto Germondo.
Germondo.   (Ah! l’importuna
Stanca non è di mie ripulse). (da sè
Alvida.   Oh quanto,
Caro, per te soffersi! Oh quanti stenti
Per seguirti incontrai!
Germondo.   Vane fatiche
Per chi sai che non t’ama.

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Alvida.   Eppur vederti

Mi lusingo pietoso.
Germondo.   Invan lo speri.
Alvida. Crudel, perchè? Forse il mio grado è indegno
Dell’amor tuo? Sai pur che nel mio seno
Scorse sangue real; dispiace forse
Il mio volto a’ tuoi lumi? Ah, la mia fede
Dovria piacerti almeno.
Germondo.   Altri pensieri
Occupan la mia mente; e d’altro affetto
Prevenuto è il mio cor.
Alvida.   Ma qual mercede
Può sperar l’amor tuo? Rosmonda ingrata
Sol desia la tua morte, e del germano
Unita al genitor cerca vendetta.
Germondo. Oh quanto, Alvida, è di Rosmonda il labbro
Vario dal cor! Sdegno feroce ostenta,
E il più tenero affetto in seno asconde.
Alvida. Ma che prò, se nemica a te si mostra?
Germondo. Compatisco il suo stato, e sol mi basta
Che non sia dallo sdegno amor estinto.
Alvida. E per esser fedele a chi non t’ama,
O d’amarti ha rossor, ti rendi ingrato
A me che t’amo e l’amor mio non celo?
Misera, per seguirti abbandonai
La patria, il genitor; per te mi esposi
Ai disagi di guerra ed ai perigli,
E co’ disprezzi compensar pretendi
Tanto amor, tanta fè?
Germondo.   Non tormentarmi,
Alvida, per pietà. Sai che l’arbitrio
Ho perduto del cor.
Alvida.   Puoi racquistarlo.
Germondo. L’impossibil t’infingi.
Alvida.   E pur lo spero.

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Soffrirò, penerò; sospiri e pianti

Spargerò innanzi a te. Cedon le pietre
Al frequente cader d’umide stille;
Non cederà il tuo cor?
Germondo.   No, poichè invano
Di giungere al mio cor spera il tuo pianto.
Son fedele a Rosmonda e pria ch’io lasci
D’amarla, lascierò questa mia vita.
Soffri, Alvida, il rigor del tuo destino;
Lascia d’amar chi l’amor tuo non cura. (parte

SCENA VIII.

Alvida, poi Stenone.

Alvida. Oh consiglio inumano! Oh rio disprezzo

Che mi penetra il cor! Empio, crudele!
Ch’io ti lasci d’amar? Sarai contento:
Chi non cura il mio amor, provi il mio sdegno.
T’abborrirò quanto t’amai. Spietato,
Morrò per tua cagion, ma la mia morte
Cara ti costerà. Vuo’ vendicarmi
Di Rosmonda e di te. D’entrambi il seno
Vuo’ trafitto mirar. Ma vien Stenone:
Giovi il credulo amante al mio disegno.
Stenone. Qual turbine, mia cara, offusca il vago
Tuo sereno sembiante?
Alvida.   Ardo di sdegno,
Nè mi speri veder cangiata in viso
Chi non osa tentar le mie vendette.
Stenone. Imponi pur: se di Stenone il braccio,
Se il sangue mio, se il mio valor ti giova,
Tutto impegno per te.
Alvida.   Brami l’acquisto
Del mio cuor, di mia destra?

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Stenone.   Ah che mi chiedi!

Dicanti ciò ch’io bramo i miei sospiri.
Alvida. Sol che tu voglia, io sarò tua; la mano
T’offro e il mio cor, se meritarlo ardisci.
Stenone. Per acquisto sì bello ogni cimento
Andrò lieto a incontrar.
Alvida.   Offesa io sono;
Voglio vendetta, e la mia destra è il premio
Del mio vendicator.
Stenone.   Svela il nemico;
Spento sarà pria che tramonti il sole.
Fosse ancora Germondo, io non lo temo.
Alvida. No no, più lieve impresa io ti propongo.
Chi mi offese è una donna.
Stenone.   E un sì gran prezzo
Proponi, o cara, a sì leggier cimento?
Obbedita sarai.
Alvida.   Vedi se a meno
Obbligarti poss’io. Vanne, e se brami
La mia fè, l’amor mio, Rosmonda uccidi.
Stenone. Rosmonda?
Alvida.   Sì: tu impallidisci?
Stenone.   Oh stelle!
Alvida. È leggiero il cimento.
Stenone.   E in che t’offese?
Alvida. Di più non ricercar. Cieco ubbidisci
Se ti cale di me.
Stenone.   Che mai m’imponi?
Tua rivale è Rosmonda, e a me commetti
Del geloso amor tuo la ria vendetta?
Alvida. Val sì poco il mio cor che a sì vil prezzo
Meritarlo ricusi?
Stenone.   Ah! dovrei dunque
Toglier Rosmonda di Germondo al core
Perch’egli aprisse alle tue fiamme il varco?

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Son amante, egli è ver, ma non son cieco.

Ti conosco, t’intendo; una mercede
Offri tu al mio servir ch’io perderei
Per averti obbedita.
Alvida.   Eh di’, codardo,
Che Rosmonda paventi, e in lei rispetti
Del tuo re l’empia figlia. Anima vile,
Questo dunque è l’amor che a me tu serbi?
Che vai tu mendicando in tua discolpa?
Che di me puoi sognar, che di Germondo?
Sol del mio cor per discoprir gli arcani
Tu fingesti d’amarmi: alfin scoperti
Mi deludi così? Va pur, spietato,
Svela altrui la mia mente, e fia tuo vanto
Una credula donna aver tradita. (vuol partire
Stenone. Ferma. (Oh Dei, che far deggio?) Ah non chiamarmi
Spietato, traditor. Ti amo pur troppo.
Se vedessi il mio cor, pietà n’avresti.
Ma il tuo cenno crudel...
Alvida.   S’è ver che m’ami,
Il mio cenno ubbidisci, e di Rosmonda.
Porta nell’empio sen la mia vendetta.
Stenone. Sì, lo farò. Cadrà Rosmonda estinta;
Ma rammenta, idol mio...
Alvida.   Gente s’avanza:
Torna asperso di sangue, e allor t’ascolto.
Stenone. (Ecco il misero re di sdegno acceso:
Fuggo il rossor di rimirarlo in volto). (da sè, parte

SCENA IX.

Alerico e detta.

Alerico. Il perfido s’invola. Anima vile,

Sempre non fuggirai dal mio furore.
Donna, chi sei?

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Alvida. Alvida è il nome mio,

Di Cratero germana, e di Germondo
Tenera amante un tempo ed or nemica.
Alerico. Come l’affetto tuo cangiasti in sdegno?
Alvida. Costante crudeltà consuma amore.
Alerico. L’amasti dunque?
Alvida.   L’adorai, ma invano.
Alerico. Or non l’ami?
Alvida.   L’abborro.
Alerico.   E i tuoi disprezzi
Vendicar non procuri?
Alvida.   Il tempo aspetto
Opportuno al disegno.
Alerico.   Invan l’aspetti,
Se perdendo lo vai. Prendi, ecco un ferro;
Passa il barbaro sen; versa quel sangue
Ch’hanno a sdegno gli Dei. Le mie vendette,
Prode, unisci alle tue. Femmina inerme,
Non sospetta al superbo, al fianco suo
Accostarti potrai; non avvilirti
All’aspetto real, ch’un traditore
Usurpa e sfregia il sacro nome e il grado.
Non temer de’ custodi; odia ciascuno
Il barbaro sovrano, e il fatal colpo
Lieto ognun mirerà. Vanne, ferisci,
Svena, atterra il fellone, e se costare
Ti dovesse la vita un tal cimento,
Non ti arrestar perciò, che la vendetta
Rende bello di morte il ceffo orrendo.
Alvida. O saggio re, di miglior sorte degno,
Passi alle mie dalle tue mani il ferro.
(prende lo stile di Alerico
L’onte comuni a vendicare io sola
Non tarderò. Faccia di me il destino
Tutto il peggio ch’ei può. Morrò contenta,

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Se morrò vendicata.

Alerico.   Oh donna invitta,
Oh magnanimo cor!

SCENA X.

ROSMONDA sopraggiunge in distanza, e detti.

Alvida.   Germondo ingrato,

Mi volesti crudel? Sarò crudele.
Rosmonda. (Di Germondo si parla? Ah qualche trama
Ordisce il genitor). (da sè
Alerico.   Deh ti rammenta,
Nel ferir l’empio sen, del mio furore;
Rammenta al traditor, pria che dal seno
Tutta l’alma smarrisca, il nome mio.
Mostragli il ferro e di’ che dalla destra
D’Alerico l’avesti. Ah! vanne e torna
Tinta poscia di sangue. Ah quella mano
Che in più parti squarciato avrà quel core,
Porta sugli occhi miei; vogl’io baciarla,
Stringerla al seno, e venerare in essa
La giustizia de’ Numi. Ombra infelice
Del tradito mio figlio, osserva, osserva
In pugno di colei la mia vendetta.
Tu la destra le reggi, e tu seconda
Del magnanimo cor l’eccelsa impresa. (parte

SCENA XI.

Rosmonda ed Alvida.

Rosmonda. (Che intesi, eterni Dei!) (da sè

Alvida.   Tremi Germondo
Di colei che disprezza. Ecco dell’empio
La dovuta mercè nel crudo ferro. (ripone lo stile

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Rosmonda. (Misera me, che mi consigli, amore?)

Alvida. Vadasi a rinvenir...
Rosmonda.   Fermati, Alvida.
Alvida. Che pretendi da me?
Rosmonda.   Dove ti spinge,
Barbara, il tuo furor?
Alvida.   Qual hai ragione
D’obbligarmi a svelarti i miei pensieri?
Rosmonda. Tutto già m’è palese; il rio disegno
Di Germondo svenar pur troppo intesi:
50 che serbi nascosto il rio stromento
Di sua morte ministro.
Alvida.   E saprai dunque
Chi lo porse ad Alvida.
Rosmonda.   Ah sì, m’è noto.
Alvida. Ed al tuo genitor, figlia sleale,
D’opporti ardisci, e invendicato il sangue
Soffri del tuo germano?
Rosmonda.   Un tradimento
Non dee far la vendetta. È giusta l’ira
Del padre mio; se di Germondo il sangue
Brama versar, egli a ragion lo brama.
Ma tu, donna crudel, perchè la destra
Armi contro il tuo re? Son io l’offesa,
Io svenarlo dovrei. Virtù sarebbe
Dell’ardita mia destra il giusto colpo;
Ma sarebbe il tuo colpo un rio delitto.
Alvida. Se attende il tuo german, se il padre tuo
Dalla tua destra un sì gran colpo attende,
Lor vendette mirar sperano invano.
Troppo, Rosmonda, è l’amor tuo palese;
5i sa ch’ami Germondo, e che per fasto
Ilo tuo debole amor nascondi in seno.
Rosmonda. Ma sì saprà, che dell’affetto ad onta
Procurai la sua morte.

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Alvida.   Il brami estinto,

Ed il colpo impedir pretendi audace?
Rosmonda. Impedir io pretendo un tradimento.
Alvida. Ciancia a tuo senno. Io vuo’ svenar l’indegno.
Tu il difendi, se puoi.
Rosmonda.   Tutto il mio sangue
Spargerò in sua difesa.
Alvida.   E riserbato
Ad altr’uso il tuo sangue. Oggi tu stessa
Accrescerai le vittime al mio sdegno. (parte

SCENA XII.

Rosmonda sola.

Da qual barbaro seno il crudel latte

L’empia donna succhiò? Che mai le feci?
Perchè meco è sdegnata? Ama ella forse
L’infelice Germondo, e i suoi furori
Di tristo amor, di gelosia son figli?
Ma sfoghi almen contro di me lo sdegno,
Non offenda Germondo. Ah sì, difeso
Sarà dall’amor mio, da quell’amore
Che nutro in seno e che svelar non deggio.
Conosco il mio dover. Soffrirò in pace
L’eccesso del dolor; ma niuno ardisca
D’offendere il mio bene. Io stessa, io stessa
Salva la gloria mia, salvo il decoro,
A Germondo sarò difesa e scudo.



Fine dell’Atto Secondo.

  1. Così il testo.
  2. Nel testo c’è la sola virgola.