Rivista di Scienza - Vol. I/Rassegna di Fisica II

Orso Mario Corbino

I raggi di elettricità positiva e le particelle α ../Rassegna di Fisica I ../Rassegna di Fisiologia IncludiIntestazione 1 dicembre 2013 100% Scienze

I raggi di elettricità positiva e le particelle α
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RASSEGNA DI FISICA.


I raggi di elettricità positiva e le particelle α.


A misura che le nostre conoscenze sui raggi β e sui raggi catodici si andavano precisando ed estendendo, cosicchè divenne possibile edificare la meccanica dell’elettrone e sottometterla nei punti più essenziali al controllo di delicate misure, si intravedeva da ognuno che lo studio dei raggi α delle sostanze radioattive e dei raggi canali nei tubi a vuoto avrebbe presentato non minore interesse e avrebbe schiuso nuovi orizzonti alla teoria elettronica dei fenomeni fisici.

Tanto i raggi α che i raggi canali trasportano elettricità positiva associata a particelle aventi una massa molto più grande di quella dell’elettrone, e velocità alquanto minori dei raggi β, ma sempre molto grandi. Il valore elevato della massa di quelle particelle, animate da velocità grandissime, fa sì che ai raggi a compete un’importanza grandissima nei fenomeni di radioattività; ben a ragione, adunque, il prof. Rutherford ritiene che essi costituiscano la parte essenziale del fenomeno della radioattività, così come sono il fondamento della sua teoria delle trasformazioni radioattive che permette di abbracciare in un insieme largo o comprensivo tutti i fatti finora osservati.

Nel propormi di riferire, in questo numero, su un recente importante lavoro del Rutherford1 debbo supporre note nel lettore, per ragione di brevità, le proprietà fondamentali dei raggi α, riferendomi all’uopo alla chiarissima esposizione fattane dal prof. Righi nella sua Teoria moderna dei fenomeni fisici, e richiamando solo il risultato capitale delle ricerche di Bragg e di Rutherford, secondo il quale appena la velocità dei raggi α scende al di sotto di un certo valore, sempre molto elevato, (80000 km. circa al minuto secondo), si annulla bruscamente la loro attività ionizzatrice e fotografica, viene cioè a mancare il duplice mezzo con cui noi riusciamo a svelarne l’esistenza. Se ne deduce che qualora tutta la materia che ci circonda fosse dotata, come le sostanze radioattive, della proprietà di emettere continuamente particelle α ma con velocità alquanto minori di quel valore critico, noi non avremmo alcun mezzo per accorgercene. E poichè in quella emissione consiste, essenzialmente, il fenomeno della radioattività [p. 355 modifica]e della trasformazione interatomica, questo fenomeno potrebbe esser comune a tutta la materia, ed esserci rivelato dalle sostanze come il radio non perchè l’emissione abbia luogo in esse in misura incomparabilmente più grande, ma perchè la velocità iniziale delle particelle α che emettono è alquanto maggiore. La portata filosofica di queste conclusioni è di una importanza senz’altro evidente.

Come per i raggi β, anche per i raggi α una gran luce doveva essere apportata dalle ricerche destinate a determinare, per mezzo della deviazione che essi subiscono attraversando un campo elettrostatico e un campo magnetico, il valore del rapporto della carica elettrica e di ciascuna particella alla sua massa materiale m. Si sapeva già che la carica elettrica è per i raggi α positiva, cosicchè il senso della deviazione è opposto a quello ottenuto per i raggi β. Si sapeva inoltre che la deviabilità dei raggi α è incomparabilmente più piccola, cosicchè per renderla evidente occorrono campi elettrostatici e magnetici di grande intensità; se ne dedusse che il rapporto per la particella α è molto più piccolo che per l’elettrone, e che m anzichè essere all’incirca della massa atomica dell’idrogeno, ha un valore prossimo a quello dell’atomo d’idrogeno medesimo. Le precedenti misure di Rutherford, Des Coudres e Mackenzie avevano fornito valori sempre più approssimati del rapporto , ma una grande esattezza non si era mai potuta raggiungere, poichè le sostanze radioattive impiegate emettevano particelle α con diverse velocità iniziali, e quindi diversamente deviate dal campo elettrico e dal campo magnetico; ne seguiva una dispersione del pennello di raggi sulla lastra fotografica e quindi una grande incertezza nell’interpretazione dei risultati.

Il successo delle ultime esperienze di Rutherford si deve appunto all’impiego di un pennello di raggi α omogenei, quale può essere ottenuto, in base a un’osservazione dello stesso Rutherford, usando come sorgente un filo sottile reso molto attivo per il deposito della emanazione del radio. Dopo pochi minuti sul filo è solo esistente, come sorgente di raggi α, il radio C e vengono perciò emesse particelle α aventi tutte la stessa velocità, e che subiscono eguali perdite di velocità dopo aver traversato spessori eguali di sostanze assorbenti.

I raggi così ottenuti, propagandosi in un tubo nel quale era fatto il vuoto per evitare l’energico assorbimento da parte dell’aria, passavano per una fenditura e per lo spazio interposto [p. 356 modifica]tra due lamine destinate alla creazione del campo elettrico. Sulla lastra fotografica si disegnava allora una sottile lineetta, a contorni ben definiti, che si spostava lateralmente nei due sensi per l’azione del campo e per l’inversione di questo. Dalla distanza tra le due posizioni estreme della lineetta si può dedurre il valore di , ove u indica la velocità delle particelle α cui corrisponde la misura. Per mezzo della deviazione magnetica, in un campo di determinata intensità, si poteva invece dedurre il valore di , e quindi combinando i risultati delle due esperienze si poteva dedurre facilmente u, e il rapporto .

Un primo risultato è questo: il rapporto , eguale a unità elettromagnetiche per il radio C, si conserva invariato dopo il passaggio attraverso a strati diversi di sostanze assorbenti; mentre la velocità iniziale, circa un quindicesimo di quella della luce (20 mila km. per secondo), si va progressivamente riducendo.

Un secondo risultato di importanza grandissima è il seguente: il rapporto ha lo stesso valore per le particelle α emesse dal radio C, dal radio A, dal radio F (il polonio di M.me Curie), dall’attinio, da tutti i derivati radioattivi del torio2, in una parola da tutti i corpi radioattivi conosciuti che si poterono esperimentare — cosicchè si può concludere che le particelle α emesse dalle diverse sostanze radioattive son tutte identiche, e per esse il rapporto ha un valore metà di quello che è proprio dell’atomo dell’idrogeno nella elettrolisi.

«Questa è una importante conclusione — dice il Rutherford — poichè essa mostra che l’uranio, il torio il radio e l’attinio, che si comportano chimicamente come elementi diversi, hanno un prodotto comune di trasformazione. La particella α costituisce una delle fondamentali unità della materia di cui gli atomi di questi clementi sono formati. Quando si tenga presente che nel processo della loro trasformazione il radio e il torio emettono cinque particelle α ciascuno, l’attinio quattro e l’uranio una, e che il radio è, secondo ogni probabilità, un prodotto di trasformazione dell’uranio, si riconosce che la particella α è un importante costituente fondamentale degli atomi degli atomi dei radio-elementi. Io ho spesso richiamato l’attenzione sulla funzione [p. 357 modifica]importante delle particelle α nelle trasformazioni radioattive. In confronto i raggi β e γ hanno una funzione affatto secondaria».

Il valore trovato di per la particella α è adunque la metà del valore corrispondente per l’atomo d’idrogeno, cosicchè essendo la massa atomica dell’elio quadrupla di quella dell’idrogeno, sulla particella α possono farsi tre ipotesi: 1° che essa risulti da una molecola di idrogeno, associata alla carica ionica di un atomo di idrogeno; 2° che essa sia costituita da un atomo di elio associato a una carica elettrica doppia di quella dell’atomo di idrogeno; 3° che infine essa sia costituita da mezzo atomo di elio trasportante la carica di un singolo atomo d’idrogeno.

Il Rutherford esclude, in base a valide argomentazioni, la prima ipotesi; e pur dichiarando che la terza non sia a priori improbabile, preferisce tra tutte la seconda, secondo la quale la particella α risulterebbe da un atomo di elio associato a una carica eguale e contraria a quella di due elettroni negativi. D’altra parte se teniamo presenti i risultati delle ricerche del Soddy, dovremo ammettere che la particella α è espulsa dall’atomo allo stato neutro, e acquista la carica elettrica in virtù delle collisioni con il gas circostante — a questo modo di vedere il Rutherford non si oppone.

Altre conseguenze importanti deduce il Rutherford dalle misure del valore di e della velocità iniziale u; alcune riguardano correzioni di certe costanti numeriche assegnate in antecedenza, quali il periodo di trasformazione del radio, e il volume di elio sviluppato da un grammo di radio ogni anno — che diviene eguale a 0,11 cm.3 — notevole il fatto che quest’ultimo numero resta invariato adottando la 2ª o la 3ª delle ipotesi sopra riferite. Si modificano inoltre i calcoli dell’età dei minerali radioattivi in base al loro contenuto in elio; e così la fergusonite e la torianite avrebbero un’età superiore a 400 milioni di anni. Ma l’applicazione più importante riguarda il calcolo numerico del calore che deve svilupparsi continuamente nel radio, supposto che esso sia dovuto all’arresto, nella massa del radio, delle particelle α che emettono tutti gli strati della sostanza, e delle quali solo quelle provenienti dallo strato superficiale sarebbero espulse all’esterno. Il confronto col risultato dell’esperienza è del tutto soddisfacente, cosicchè l’ipotesi del Rutherford, per spiegare la meravigliosa proprietà del radio di emettere in continuazione calore (proprietà che diede tanto da fare ai cultori dell’Energetica), viene spiegata anche quantitativamente nel modo più semplice, o meglio viene ricondotta, precisandone il meccanismo, al fenomeno fondamentale [p. 358 modifica]della radioattività: l’emissione di particelle α con velocità enormi.

A parte tutte le conseguenze dedotte dal Rutherford sulla base delle sue misure, un fatto d’importanza capitale viene assodato in virtù di queste ricerche, le quali segneranno indubbiamente un’epoca nella storia della radioattività: le particelle α emesse dalle più diverte sostanze radioattive sono identiche, e per esse il rapporto ha un valore metà di quello proprio dell’atomo di idrogeno.

Questo risultato apparisce ancora di più profondo significato se lo si mette a riscontro con la scoperta fatta in questi ultimi giorni dal prof. J. J. Thomson di Cambridge, e della quale io mi occuperò nel prossimo numero della Rivista, che cioè sotto l’azione di campi elettrici molto intensi, differenti gas contenuti nei tubi a scarica e a pressioni bassissime emettono particelle caricate positivamente, e che sono le stesse qualunque sia la natura del gas da cui esse hanno origine. Queste particelle sono di due specie: per una di esse ha il valore 104, cioè quello proprio di un atomo d’idrogeno; per l’altra ha un valore metà, cioè lo stesso valore ottenuto dal Rutherford per le particelle α delle sostanze radioattive.

Di fronte a risultati così impreveduti, e ai quali resteranno associati i nomi dei due colossi della Scienza contemporanea, vien fatto di chiedersi: Siamo già alla scoperta dell’elettrone positivo? La domanda è audace, ma non inutile e certo degna di esame come risulterà dalle considerazioni che seguono.

L’impossibilità di rivelare in alcun modo l’esistenza dell’elettrone positivo aveva determinato i fisici negli ultimi anni a spiegare i fenomeni noti con la semplice nozione dell’elettrone negativo. Questa infatti è sufficiente, o fu creduta tale, per la spiegazione della emissione della luce da parte dei gas incandescenti, poiché il fenomeno Zeeman e gli altri fenomeni magneto-ottici che ne derivano, assegnano ai centri dell’emissione luminosa qualitativamente e quantitativamente le caratteristiche dell’elettrone. Ma già alcuni recenti fenomeni magneto-ottici scoperti da J. Becquerel rivelano una specie di fenomeno di Zeeman invertito, e reclamano quindi l’intervento di elettroni carichi positivamente. Quanto alla teoria elettronica dei metalli, il Drude ammise sin da principio l’esistenza di entrambe le specie di elettroni: essa sembrò indispensabile, sopratutto, per la spiegazione di tutte le particolarità rivelate dalle esperienze sull’effetto Hall e su altri [p. 359 modifica]fenomeni che vi si connettono — e gli sforzi poderosi di Lorentz per semplificare la teoria di Drude e dedurre la spiegazione di quei fenomeni dall’ipotesi che esistano solo elettroni carichi negativamente, non furono coronati dall’atteso successo.

Quanto, infine, alla teoria elettronica della costituzione interna dell’atomo, specialmente legata al nome di J. J. Thomson (e secondo la quale l’atomo risulterebbe da un grandissimo numero di elettroni negativi, tanti quanti ne occorrono per formare la massa atomica, disseminati in una sfera carica in tutti i punti di elettricità positiva, priva di massa materiale, di massa elettromagnetica inapprezzabile, e permeabile a tutti gli elettroni che si innoverebbero nel suo interno in balia delle loro azioni mutue e della forza attrattiva della sfera ambiente), essa è stata accettata solo come un tentativo ingegnoso e promettente, ma non sembra che tutti vi scorgano i caratteri suggestivi e coercitivi delle vere teorie fisiche.

D’altra parte le ricerche di Rutherford sopra analizzate rompono il parallelismo che si era creduto di stabilire tra i raggi β e i raggi catodici da una parte, e tra i raggi α e i raggi canali dall’altra. Invero mentre i raggi α hanno una costituzione indipendente dalla sostanza che vi lui dato origine, i raggi canali quali furono scoperti dal Goldstein, risultano in fondo da atomioni positivi, cioè da atomi del gas esistente nel tubo privi di un elettrone. E ciò vien sopratutto provato dalle ormai celebri esperienze di Stark sull’effetto Döppler dei raggi medesimi, e in genere dalle ricerche spettroscopiche.

Il parallelismo viene ristabilito dalla nuova scoperta del Thomson, il quale mentre a pressioni non bassissime ottenne i raggi canali ordinari, aventi in certa guisa le qualità atomiche del gas contenuto nel recipiente, alle estreme rarefazioni vide comparire questi nuovi raggi, che si potrebbero chiamare raggi di Thomson, e che sono veramente gli analoghi dei raggi α, e ben diversi dai raggi canali di Goldstein. Si potrebbe quindi dire che mentre questi ultimi rivelano le proprietà degli atomioni positivi, cioè dell’atomo privo di un elettrone, i raggi di Thomson e i raggi α dimostrano l’esistenza di nuclei carichi positivamente e comuni a tutte le varietà di materia, i quali sarebbero emessi spontaneamente dai corpi radioattivi nelle loro trasformazioni interatomiche, e sotto l’azione di potenti campi elettrici dalle altre sostanze. Questi nuclei potrebbero quindi essere appunto gli elettroni positivi.

Se si confronta il momento scientifico attuale con quello in cui venne annunciata l’esistenza degli elettroni negativi, si incontrano delle analogie sintomatiche. Sussiste però una differenza fondamentale che io mi affretto a mettere in evidenza.

[p. 360 modifica]Per l’elettrone negativo la teoria di Abraham e le esperienze di Kaufmann permisero di stabilire che esso è costituito da una pura carica elettrica e non è associato a massa materiale.

Evidentemente nulla di simile può affermarsi, almeno finora, per la particella α; e anzi tutte le nostre conoscenze sui fenomeni radioattivi inducono a ritenere che la particella α, astraendo dalla sua carica elettrica, sia identica all’atomo di elio e abbia perciò una natura essenzialmente materiale; e per di più, secondo i risultati del Soddy sopra riferiti, le particelle α sarebbero inizialmente emesse dai corpi radioattivi allo stato elettrico neutrale.

Si può quindi concludere che l’esistenza dell’elettrone positivo è ancora ben lungi dall’essere dimostrata, mentre per quella dell’elettrone negativo si è ormai raggiunto il più alto grado di certezza scientifica.

Messina, maggio 1907.

Note

  1. La massa e la velocità delle particelle α espulse dal radio e dall’attinio. Philosophical Magazine, ottobre 1906.
  2. Le misure relative ai prodotti radioattivi del torio furono eseguite dal Rutherford con la collaborazione del dott. Hahn.