Rime di Argia Sbolenfi/Libro secondo/Primo Maggio MDCCCXCV

Primo Maggio MDCCCXCV

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PRIMO MAGGIO MDCCCXCV



Passano lenti. Un lampeggiar febbrile
     arde a ciascuno il ciglio.
Passan solenni e da le dense file
     4non si leva un bisbiglio.

Toccandosi le mani ognun di loro
     cerca il vicin chi sia.
Se i calli suoi non vi segnò il lavoro,
     8quella è una man di spia.

Sotto l’aspra fatica e il reo destino
     molti son già caduti,
molti il carcer ne tiene od il confino,
     12e pur sono cresciuti.

Striscia il gran serpe de la folla oscura
     dei ricchi su le porte.
Dentro, nello stupor de la paura,
     16si ragiona di morte.

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Intanto il passo de la muta schiera
     allontanar si sente
e nel silenzio de la fosca sera
20spegnersi lentamente.

Ecco allora Epulon, vinto il terrore,
     socchiude l’uscio e guata
e dice: «Lode a Crispi ed al Signore,
     24anche questa è passata!»


È passata, ma invan te ne compiaci
     ne l’allegre parole.
Son gli antichi rancor troppo tenaci
     28per tramontar col sole.

Nel ferreo pugno non hai più la plebe
     che serva un dì schernivi:
germina l’odio da le pingui glebe
     32che mieti e non coltivi.

Ne le officine fumiganti e nere
     contro te si cospira:
sotto la casa tua, ne le miniere,
     36pronta allo scoppio è l’ira;

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e mal ti gioverà crescer guardiani
     a le porte sbarrate;
l’armi custodi del tuo aver, domani
     40da chi saran portate?

Chi ti difenderà domani, quando
     le turbe mal nudrite
assedieranno le tue case, urlando:
     44«È il primo maggio: aprite!»?

Oh, ben gli sguardi noi tendiam levati
     a l’avvenir fecondo,
e tu chini la fronte! I tuoi peccati
     48hanno stancato il mondo.