Rime (Veronica Franco)/Terze rime/XX

Della signora Veronica Franca

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Della signora Veronica Franca
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XX

Della signora Veronica Franca

Lamenta la durezza d’un uomo, che non la riama e che, mentr’ella di notte va a casa sua per trovarlo, è assente, forse presso un’amica piú fortunata di lei. Spera tuttavia corrispondenza dall’animo gentile di lui; altrimenti ne morrá.

     Questa quella Veronica vi scrive,
che per voi, non qual giá libera e franca,
or d’infelice amor soggetta vive;
     4per voi rivolta da via dritta a manca,
uom ingrato, crudel, misera corre
dove ’l duol cresce e la speranza manca.
     7Con tutto questo non si sa disciòrre
dal vostro amor, né puote, né desia,
e del suo mal la medicina aborre;
     10disposta o di trovar mente in voi pia,
o, del servirvi nell’acerba impresa,
giunger a morte intempestiva e ria.
     13Senza temer pericolo od offesa,
a la pioggia, al sereno, a l’aria oscura
vengo, da l’alma Citerea difesa,
     16per veder e toccar almen le mura
del traviato Jontan vostro albergo,
per disperazion fatta sicura.
     19Per strada errando, gli occhi ai balconi ergo
de la camera vostra; e fuor del petto
sospiri e pianto d’ambo i lumi aspergo.
     22Di buio ciel sotto povero tetto,
de la sorte mi lagno empia e rubella,
e del mio mal, ch’a voi porge diletto.
     25Senza veder con cui dolermi stella,
ne le tenebre fisi i lumi tengo,
che fur duci d’Amor ne la via fella;

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     28e, poi ch’ai terren vostro uscio pervengo,
porgo i miei preghi a l’ostinate porte,
né di basciar il limitar m’astengo.
     31—Dch siatemi iti amor benigne scorte:
apritemi ’l sentier del mio ben chiuso,
del notturno mio error per uso accorte.
     34Di letal sonno e tu, custode, infuso,
desto al latrar de’ tuoi vigili cani,
non far il prego mio vano e deluso:
     37dch, pietoso ad aprirmi usa le mani,
cosi i ceppi servili aspri dal piede
del continuo ti stian sciolti e lontani! —
     40Ma ch’è quel, che da me, lassa, si chiede?
— Vattene in pace — il portinaio dice, —
ché le notti il signor qui non risiede;
     43ma, del suo amor a far lieta e felice
un’altra donna, con lei dorme e giace,
e tu invan qui ti consumi, infelice.
     46Vattene, sconsolata; e, s’aver pace
non puoi, pur con saldo animo sopporta
quel ch’ai destino irrevocabil piace. —
     49Talor, per gran pietá di me, la porta
geme in suon roco, come quando è mossa,
nei cardini, a serrarsi o aprir, distorta;
     52ed io, quindi col piè debil rimossa,
ne le braccia di tal, che m’accompagna,
del viver cado poco men che scossa.
     55II suo pianto dal mio non discompagna
quel mio fedel, ch’è meco, e d’un tenore
meco del mio martir grida e si lagna.
     58Dure disagguaglianze in aspro amore,
poi ch’a chi m’odia corro dietro, e fuggo
da chi de l’amor mio languisce e more!
     61E cosí ad un me stessa ed altrui struggo,
e ’l sangue de le mie e l’altrui vene
col mio grave dolor consumo e suggo:

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     64benché da l’altro canto le mie pene
forse consolan altra donna, e ’l pianto
con piacer del mio amante al cor perviene.
     67Ma chi puote esser mai spietato tanto,
che s’allegri, se pur non può dolersi,
lacero il sen vedermi in ogni canto?
     70Lassa, la notte e ’l di far prose e versi
non cesso in varia forma, in vario stile,
sempre a un oggetto coi pensier conversi;
     73e, s’ha quest’opre il mio signor a vile,
inen mal è assai, che se ’n mia onta e in strazio
leggerle con colei ha preso stile.
     76Per me lieto non è di tempo spazio,
e di quel, dond’a me si niega il gusto,
altra si stanca, e fa ’l suo desir sazio.
     79Quant’è per me difficultoso, angusto
quel ch’ad altri è camin facile e piano 1
Colpa d’Amor iniquitoso, ingiusto.
     82Ma da la crudeltá se ’l gir lontano
ad uom nobil s’aspetta veramente,
e l’aver facil alma in petto umano;
     85se, quanto altri è piú chiaro e piú splendente
per natura, per sangue e per fortuna,
chi l’ama ridamar deve egualmente;
     88voi ’n cui ’l ciel tutte le sue grazie aduna,
dovete aver pietá di me, che v’amo
sí che ’n questo non trovo eguale alcuna.
     91E, quanto piú ne’ miei sospir vi chiamo,
d’esser udita (a dir il vero) io merto,
e quanto piú con voi conversar bramo.
     94Non è d’ingegno indizio oscuro e incerto,
c’ha gusto de le cose piú eccellenti,
conoscer e stimar il vostro merto.
     97Dch sentite pietá de’ miei tormenti,
se de le tigri non sète del sangue,
e se non vi nudrir l’idre e i serpenti.

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     100Ne la mia faccia pallida ed essangue
fede acquistate de la pena cruda,
onde ’l mio cor innamorato langue.
     103Né anch’io d’orsa, che ’n cieco antro si chiuda,
nacqui; né l’erbe stesa mi nudriro,
come vii bestia, in su la terra ignuda;
     106ma tai del mio buon seme effetti uscirò,
ch’alcun non ha da recarsi ad oltraggio,
se del suo amor io lagritno e sospiro.
     109Ciò dir basti parlando con uom saggio,
ché far con voi per questa strada acquisto
nel mio pensiero intenzion non aggio;
     112ma del mio stato ingiurioso e tristo
cerco indurvi a pietá con le preghiere,
e di sospir col largo pianto misto.
     115Ch’ai segno de le doti vostre altiere
alcun raro in me pregio non arrive,
questo ogni ragion porta, ogni dovere;
     118ma quel, che dentro ’l petto Amor mi scrive
con lettre d’oro di sua man, leggete,
se ’l mio merto ha con voi radici vive.
     121L’obligo de l’amante vederete,
d’esser grato a l’amor simile al mio,
se con occhio sottil v’attenderete.
     124Ma né con questo voglio acquistarvi io:
solo a l’alta pietá del mio martire
farvi per cortesia benigno e pio.
     12711 mio continuo e misero languire,
l’amorose querele, ond’io vi prego,
vi faccian del mio duol pietá sentire:
     130gran forza suol aver di donna prego
negli animi gentil, ch’ancor non ame;
ed io, d’amor accesa, a voi mi piego.
     133Prima che ’l duol di me si sazi e sbrame,
e mi riduca in cenere quest’ossa,
date ristoro a le mie ardenti brame;

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     136porgete alcun rimedio a la percossa,
che d’aspra angoscia versa un largo fonte,
e mi spolpa, e mi snerva, e mi disossa;
     139scemate il grave innaccessibil monte
di quei, ch’amando voi, sostengo affanni,
con voglie in tutti i casi a soffrir pronte;
     142movetevi a pietá de’ miei verdi anni,
onde, da la virtú vostra sospinta,
cado d’Amor nei volontari inganni.
     145Ed a morir per voi sono anco accinta,
se d’utile e d’onor esser vi puote
che per voi resti la mia vita estinta.
     148Grato suono a l’orecchie mie percuote,
che non sosterrá un uom si valoroso,
d’effetto far le mie speranze vuote.
     151Da l’aspetto si dolce ed amoroso
non debbo sospettar di morte o pena,
né d’altro incontro a me grave e noioso.
     154Ma chi, fuor d’uso, a ben sperar mi mena?
Lassa, e pur so che sorge ’l nembo e nasce
sovente in mezzo a l’aria piú serena;
     157e cosí sotto un bel volto si pasce
spesso un cor empio degli altrui martiri,
qual che tra fior vedersi angue non lasce.
     160Ma, se ’n voi non han forza i miei sospiri,
a la nobiltá vostra, a la virtute
volgete con giudicio i lenti giri.
     163Non debbo disperar di mia salute,
s’ai costumi gentil vostri ho rispetto,
ed a le mie profonde aspre ferute;
     166ma poi di quel, che m’incontra, l’effetto
di tormento maggior, di maggior doglia
mi dá certezza ognor, non pur sospetto:
     169benché d’umil trionfo indegna spoglia
fia la mia vita, se, per troppo amarvi,
dal vostro orgoglio avien che mi si toglia.

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     172Ma, s’al mio mal non puote altro piegarvi,
Tesser io tutta vostra mi conceda
ch’io possa almeno in tanto duol pregarvi:
     175forse fia che Torecchie e ’l cor vi fieda
il mio cordoglio, assai minore espresso
di quel ch’ai ver perfetto si richieda.
     178Tanto a me di vigor non è concesso,
ch’esprimer di quel colpo il dolor vaglia,
ch’io porto ne le mie viscere impresso:
     181in dir si com’Amor empio m’assaglia,
sí come oscura la mia vita ei renda,
     10stil debile a l’opra non s’agguaglia.
     184Da voi ’l mio mal nel mio amor si comprenda,
ch’è tanto quanto amabile voi sète;
e pia la vostra man ver’ me si stenda:
     187quella, in aiuto, man non mi si viete,
che ’l nodo seppe ordire al duro laccio
de la gravosa mia tenace rete;
     190e ’l volto, onde qual neve al sol mi sfaccio,
che m’invaghio di sua bella figura,
soccorra a quel dolor, ch’amando taccio.
     193D’alta virtú la divina fattura,
che ’n voi s’annida come in dolce stanza,
     11cui splendor m’accende oltra misura,
     196l’animo di piegarvi abbia possanza.
sí che in tanto penar mi concediate
alcun sostegno di gentil speranza.
     199Non dico che di me v’innamoriate,
né che, com’io per voi son tutta fiamma,
d’un amor cambievole m’amiate:
     202del vostro foco ben picciola dramma
ristorar può quell’incendio crudele,
che, s’io cerco ammorzarlo, e piú nT infiamma.
     205Amor, s’ho con voi merto, vi rivele;
e le parti, c’ho in me di voi non degne,
agli occhi vostri dolce offuschi e cele,

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     208sí che, prima ch’a morte amando io vegne,
quella mercé da voi mi si conceda,
che sgombri ’l pianto ond’ho le luci pregne.
     211Lassa, che s’un nemico a l’altro chieda
al suo bisogno aiuto, ei gli vien dato,
ché la virtú convien che gli odii ecceda;
     214ed io creder devrò ch’aspro ed ingrato
esser mi debba il mio signor diletto,
perch’ei sia forse d’altra innamorato?
     217Oimè! che, d’altra standosi nel letto,
me lascia raffreddar sola e scontenta,
colma d’affanni e piena di dispetto:
     220altra ei fa del suo amor lieta e contenta,
e del mio mal con lei fors’ancor ride,
che vanagloriosa ne diventa.
     223Quanto per me si lagrima e si stride,
dolce concento è de le loro orecchie,
da cui ’l mio amor negletto si deride.
     226Cosi convien che sempre m’apparecchie
a soffrir nuovi di fortuna colpi,
e che ’n novello strazio alfin m’invecchie.
     229Né però avien che del mio affanno incolpi
chi piú devrei; ned in mercé mi valse,
quanto in ciò piú credei, che piú ’l discolpi.
     232Oimè, che troppo duro Amor m’assalse.
poi che, per farmi di miseria essempio,
m’insidia ancor con sue speranze false.
     235Da un canto il certo mio danno contempio;
e, perché ’l duol piú nuoccia meno atteso,
di speme al van desio conforme m’empio.
     238Non fosse almen da voi medesmo offeso
l’affetto upian del gentil vostro seno,
ne Tessermi il soccorso, oimè, conteso.
     241D’ogni mia avversitá mi duol via meno,
che di veder ch’a voi s’ascriva il fallo
di quanto in amar voi languisco e peno.

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     244Ben sapete, crudel, che ’I mondo udrallo,
e con mia dolce ed amara vendetta
d’ogn’intorno la fama porterallo.
     247Né cosí vola fuor d’arco saetta,
com’al mio essempio mosse fuggiranno
d’amarvi a gara l’altre donne in fretta;
     250e, quanto del mio mal pietate avranno,
tanto, dal vostro orgoglio empio a schivarsi,
caute a l’esperienzia mia saranno.
     253Oh che pregiata e nobil virtú, farsi
anco amar in paese sconosciuto,
col benigno e pietoso altrui mostrarsi!
     256e quante volte è in tal caso avenuto
che de’ meriti altrui senz’altro il grido
d’uom ignoto ave ’l cor arder potuto!
     259Ond’io, che di mie doti non mi fido,
pensando che voi sète uom degno e chiaro,
da me la speme in tutto non divido;
     262anzi, nel colmo del mio stato amaro
lusingando me stessa, attender voglio
al mio dolor da voi schermo e riparo,
     265poi che di grand’onor il mio cordoglio
esser vi può, se pronto a sovenirmi
sarete, mentre a voi di voi mi doglio:
     268se non, vedrete misera morirmi.