LXVI. [Sua vita in villa e sua vita in corte]

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Francesco Berni - Rime (XVI secolo)
LXVI. [Sua vita in villa e sua vita in corte]
LXV. LXVII. Sonetto della massara


Se mi vedesse la segretarìa
o la prebenda del canonicato,
com’io m’adatto a bollire un bucato
4in villa che mill’anni è stata mia,
  
o far dell’uve grosse notomia,
cavandone il granel da ogni lato,
per farne l’ognissanti il pan ficato
8un arrosto o altra leccornìa,
  
l’una m’accuserebbe al cardinale,
dicendo: "Guarda questo moccicone,
11di cortigiano è fatto un animale";
  
l’altra diria mal di me al Guascone,
ch’io non porto di drieto lo straccale,
14per tener come lui riputazione.

                "Voi avete ragione",
rispondere’ io lor, "ch’è ’l vostro resto?
17Recate i libri e facciam conto presto.

                La corte avuto ha in presto
sedici anni da me d’affanno e stento
20et io da lei ducati quattrocento;

                che ve ne son trecento,
o più, a me per cortesia donati
23da duoi che soli son per me prelati,

                ambeduoi registrati
nel libro del mio cuor ch’è in carta buona:
26l’uno è Ridolfi e quell’altro è Verona.

                Or se fussi persona
che pretendessi ch’io gli avessi a dare,
29arrechi il conto, ch’io lo vo’ pagare.

                Voi, madonne, mi pare
che siate molto ben sopra pagate;
32però di grazia non m’infracidate".