Renovatione della Chiesa/Ricordi detti e azioni

Ricordi, detti e azioni

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Meditazioni Ratti e intelligenze

[raccolti da Suor Maria Pacifica del Tovaglia. Scritti dopo l'edizione della Vita, del Puccini, di 1611 e avanti la beatificazione, nel 1626. Si riferiscono al tempo nel quale lei fu maestra delle novizie (1598-1604)]

1. Soleva dire questa devota Anima quando che avvertiva della negligenza in ricevere il SS.mo Sacramento dell’altare:

O sorelle, se voi potessi essere in minima parte capaci di che gran cosa in questa mattina vi siete prive non comunicandovi, non faresti questo giorno altro che piangere poiché, ricevendo Dio nel S.mo Sacramento, ricevete tutta la santissima Trinità nel mentre che si mantiene in noi quell’accidenti di quell’ostia sacratissima; per quel tempo, dico, si fanno in noi quelle operationi eterne e ammirabili che continuamente si fanno tra quelle divine Persone.

Onde con ammirabil sentimento diceva:

O che dignità della creatura è questa, ma non è conosciuta ne manco penetrata.

E tal era l’efficacia con che diceva queste parole, accompagnate da così cordiali sospiri per la privazione di quell’anima di un tanto bene, che per lo più si partivano quelle dolendosi d’essersi di quello prive.

2. Quando questa buona Madre invitava le figlie date alla cura sua a celebrare con spirito le divine laude dell’officio soleva dire:

Questo era un così importante esercizio che li stessi Beati, la cui purità è ammirabile, appena con timore e reverenza ardiscono esercitarlo. Quanto maggiormente noi doviamo concepire gran timore e reverenza, sendo miserabili creature, indegnissime di comparire al divino cospetto.

3. Diceva ancora che non si poteva ritrovare il più nobile esercizio, e dove Dio maggiormente concorresse con la sua divina presenza e con le sue celesti grazie, quanto nel recitare le divine lodi nel coro. Ma poco si penetra, anzi talora da religiosi si stima il divin culto esser cosa come di più, apprezzando maggiormente altri esercizi d’orazione e divozione di nium valore appresso Dio rispetto a questo.

Onde quando alcuna delle sue figliuole li avessi domandato licenza di non andare in coro, per far orazione particolare, non la concedeva dicendoli:

Mi parrebbe ingannarvi se tal licenza vi dessi, perché pensando voi d’onorar maggiormente Dio e darli gusto in questa vostra orazione particolare che in concorrere con l’altre al coro, alfine vi trovereste non aver fatto niente, perché a comparazione del celebrare le divine lodi nel coro, ogni altra meditazione e orazione privata è poco, anzi niente meritevole nel conspetto di Dio.

4. Insegnava ancora che si offerissero a Dio le divine laude in unione di quelle che li beati Spiriti li porgono in quella felice patria, dicendo che se bene è impossibile si comparino a tal purità, non è però vietato che il desiderio nostro non ascenda a così sublime altezza.

5. Era tanto desiderosa che le figliole qual venivano alla santa Religione facessin quest’ ingresso bene, secondo la volontà di Dio, che oltre alla sottile esame e molti documenti e esercizi spirituali che dava loro, e sante prove che d’esse faceva, stava anco la notte avanti che prendessi l’abito sempre in orazione avanti il santissimo Sacramento. E il simile usava di fare quando si avevano a professare, e li dava quasi sempre il Signore in quell’orazione lume particolare qual dovesse essere quella in progresso di sua vita, prevedendo cose particolari che li dovevan succedere e quel che da lei ricercava il Signore, perché parlandoli poi a solo in bella maniera li diceva:

Figliola benedetta, Dio ricerca da voi la tale e la tal cosa; le quali in progresso di tempo si scorgeva mirabilmente che Dio da quella ricercava quell’istesso che l’aveva detto.

6. E soggiungeva, insegnandoli conoscere tal volontà di Dio drentro di se stessa: Se volete certo contrassegno di questo, attendete all’interno stimolo, e se bene l’avversario procurerà ogni via e modo d’oscurarlo acciò scambiate il sentiero, non di meno supererete ogni cosa se ricorrerete all’orazione e all’aiuto de vostri superiori.

7. Usava dire alle piante novelle:

Figliole, siate grate a Dio principalmente, e poi a tutte queste madre e sorelle perché avete ricevuto per mezzo loro il più pregiato dono che Dio conferisca in questa vita dopo il battesimo a suoi eletti, cioè l’ingresso nella santa Religione. Siate dunque tenute per tal gratitudine a servire e amare tutte, con reputarvi indegna della lor compagnia, desiderando e investigando di poter beneficar ciascuna.

8. Li persuadeva ancora che cercassero d’osservar le virtù delle sorelle per investirsene, e chiudessero l’occhi a tutti i difetti e imperfezioni.

9. Teneva questa buona Madre in tanto gran pregio ogni minima ordinazione della Religione che, per non allargare in un punto una di esse, averebbe lasciato andare ogni bene temporale che potessi pervenire al luogo; in guisa che talora qualche figliola prima che eleggesse il monastero avverebbe mostro difficoltà in qualche cosa piccola, onde ella intrepidamente si mostrava in tale occasione impiegabilissima, capacitando quelle con ogni mansuetudine esser così conforme all’instituto e doversi seguire. E stando quelle pur ferme nel lor pensiero le diceva liberalissimamente:

Voi potete trovare altro luogo conforme al vostro desiderio, perché noi usiam così e così vogliam proseguire.

E, aliena in tutto da rispetti humani, diceva che tali procederi avrebbe tenuto se fossero state quelle tale figliuole di qualsivoglia gran principe, non guardando né a nobiltà né a roba, perché di qui bene spesso nascono li allargamenti e le rovine delle Religione.

10. Perdurava, di poi che le figliole avevan preso l’habito, per qualche tempo di procedere con quelle con sviscerato amore e dolcezza, talché ogni cuore attraeva a sé. Ma quando poi giudicava fussi stato abbastanza il latte, in guisa che quella avesse potuto sostenere cibo più sodo, ella come bramosa di farla salire a grado più sublime nella via del Signore, rimutava modi e procederi usando nel trattar con quella certa severità; la quale, accompagnata da quel solito suo aspetto di santità, non ardivano quelle che prima con tanta sicurtà procedevano, di pure andarle avanti.

E questo ella usava di fare con quelle che per divina illuminazione conosceva esser maggiormente d’animo altiero acciò con la continuanza della dolcezza del suo trattare non doventassero ardite e superbe. Onde ella che ben sapeva quanto necessario è alla religiosa camminare con sentimento basso, ne porgeva continue occasione, ma con maniere così illuminate che non potessero quelle pensare di essere per prova di lor virtù humiliate, ma sì bene perché in verità erano da lei conosciute imperfette.

11/12. E quando alcune di esse si affliggevano per poco lume che avevano in loro, ella non li diceva niente, ma dissimulava non vederle, o pure averebbe detto in generale a tutte, queste o simil parole:

Chi si pensava venire al servizio di Dio per aver sempre consolazione, o quanto si troverà ingannata!

Overo averebbe detto per punto notabile la cagione perché il cuore de servi di Dio non stanno saldi e fermi al martello della vera mortificazione, che facilmente erano quelle cause che affliggevano quelle figliuole.

E non parlando a loro particolare, le ammaestrava però di continuo in conversazione; onde illuminandosi quelle per li veraci ammaestramenti di lei, confessavano con sentimento di cuore avanti a quella li loro difetti dei quali per li suoi aiuti eran venute in vera cognizione.

13. E non venendo alcune in questa cognizione e basso sentire di se medesime, usava altra diligenza, la quale era di mandare a quelle con sue parole, ma proferite come da per sé, altra sorella che l’invitasse a conoscere che quel suo trattare non era per altro che per illuminarle a entrare in se stesse e humiliarsi.

Onde per tanti mezzi sortiva che quelle si approfittassero, sendo che il suo proprio esercizio era questo di porgere continuamente occasione di far venire in cognizione vile di se stesse le creature, né già mai stancandosi in questo soleva dire spesse volte:

Li superiori ànno a essere coadiutori di Dio nella salute dell’anime in questo: che del continuo ànno a porgere occasione d’humiliazione a quelle, sendo che Dio non può fare la sua operazione di riempire quelle di se stesso, se prima li superiori non ànno fatto la loro operazione, dando impedimento ogni minima superbia all’opere che vuol fare Dio nell’anime.

14. Usava anco dire in questi timori e pusillanimità che facessero gran cuore nel servizio di Dio, perché, diceva ella:

Non è degna di esser chiamata serva di Dio quella che in tal servitù non vi mette suo patimento e fatica. Però figliole, spesso soggiungeva, non ponete il vostro fine né vi curate molto delle dolcezze e suavità spirituale straordinarie, ma solo stimate quelle che vi fanno inanimire alla fatica e al patire volentieri, le quali sono quel desiderio di Dio e brama d’adempiere la divina volontà; questi sono i sentimenti che io gusterei che voi gustassi. Perché credetemi pur certo, che in suavità e gusti non si trova Dio in verità, perché elli sta e si ritrova in mezzo alla vera virtù, la quale virtù non si acquista in dolcezze e sentimenti e in avere ogni consolazione dalle creature, non ricevendo mai, per così dire, parola torta; ma sì bene il proprio luogo di quella è nelli stenti, affanni e affligimenti più intensi e corabili, che non si pensa chi però quella vuole in verità radicar nel suo cuore.

15. Onde in occasione, quando che in tal materia si fosse discorso, usava dire spesse volte che non sapeva dar fede a quelle anime che per tutto il tempo di lor vita avevano solcato un mare di dolcezza e tranquillità, e in quello, avevano acquistato la perfezione, perché:

Io so pure, diceva, che non è vera pazienza, non è vera humiltà, non è vera purità, non è vera mansuetudine e carità quella che non arà il suo contrario d’una vera prova. E quale è questa prova? La tentazione e tribolazione o da Dio o dalle creature o dalli spiriti infernali. Non seguendo questo nell’anima non saranno vere virtù, ma finte, talché con il tempo non ci sarà efficie di niente.

16. Con dolore spesso ancora diceva:

Ci son oggi nel mondo molti buoni spirituali e santi, perché non ci è chi tocchi questi in verità, prevalendo gli humani rispetti. Ma se si facessero prove, o quante anime dispogliate e nude resterebbero, che mai si sarebbe pensato! Chi vuol sapere quant’ anime buone son nel mondo, pernota ciascuna di quelle con vero lume, con parole di verità, e subito le potrà numerare; perché lo spirito che non è verace, benché non ritenghi in sé malizia, non sostien verità.

E lacrimando diceva:

O nuda verità, quanto sei poco conosciuta e amata, e pur sei quella che di gran peccatori fai anime sante, poiché conoscendo quelli li lor peccati e confessandoli, diventan giustificati e cari a Dio. Ma non si intende questa verità della verità!

17. Scorgendo questa benedetta Anima tal ora con l’occhio suo ben purgato esser le creature imperfette, amaramente piangeva dicendo:

O se io avessi avuto raccoglimento in me stessa, fossi stata nell’orazione fervente, et altre simil cose, al certo che mi arebbe Dio illuminata altrimenti, che non ha potuto fare per li miei peccati! Onde io arei tenuti quelli mezzi che questa anima si sarebbe humiliata, e Dio arebbe di poi potuto empirla di sé, e non sarebbe ora tal quale è.

18. Esortava spesso a star lontane dalla colpa:

Perché, diceva, è impossibile che s’unisca mai con Dio l’anima che ritiene in sé colpa.

E, sendo interrogata che cosa è colpa, rispondeva che eron quell’opere che non gustavano a Dio. Onde diceva: Provate a stare lontane dalla colpa, e vedrete che Dio si concentrerà nell’anima vostra senza altro esercizio.

19. Sendo una volta questa devota Anima in eccesso di mente, le disse il Signore, oltre molt’ altre cose, che stesse di buon animo, poscia che li prometteva voler darli tant’ occhi quant’ anime averebbe alla sua cura commesse, denotando in ciò che averebbe avuto tanti lumi quanti differenti spiriti e sentimenti di creature avesse avuto ad indirizzare nella via del Signore. Onde tutto il seguito di sua vita si scorse manifestamente per ciascuna esserli dato e stato infusa una tal grazia.

20. Per la qual cosa conduceva le creature a Dio non con quello ritraeva con occhi materiali dalla parte esterna, ma sì bene si scorgeva che per lume divino penetrava fin nell’intimo dell’anima di quell’istessa, e secondo quello l’incamminava al cielo. Onde fu così singolare in tale esercizio che a quelle che avevano scarsità di questo lume divino porgeva maraviglia non piccola poiché parea a questa tale tutto in opposito di che dovesse fare, ma ella talora sorridendo diceva:

Chi vuol comprendere il mio procedere, chiugga l’occhio materiale e con quello dello spirito rimiri.

E anco in tal proposito diceva che non averebbe già mai indirizzate creature a Dio per quel che ne giudicava la parte esterna, sendo sottoposta a molti inganni.

21. Segno di ciò ne sia che sendo alcune di quelle date alla cura sua, figliole dotate di virtù e grazia naturali, apparendo a ciascuna dell’altre quasi inrepreensibile, ella però illuminata da lume divino scorgeva in queste tali molti maggiori impedimenti spesse volte per poter condursi a Dio che in altre che apparevano in contrario, onde non mai restava, or con parole di severità or con umiliazioni, porgerli occasione di sottoporsi all’altre.

E, essendo interrogata perché in tal guisa procedessi, diceva tali parole:

Chi sta vicino a Dio, dà giudizio secondo quello; ma chi sta vicino al mondo e cose create, conforme a quello dà giudizio, volendo in ciò inferire che son contrari i pareri delle creature da quelli di Dio, ma tal verità non poteva comprendere se non quelli che stanno uniti con Dio benedetto.

22. E in tal proposito usava dire che per tutto il tempo di sua vita nel quale aveva trattato con creature, quasi sempre si era imbattuta a ritrovare il vero sentimento di Dio in persone che a l’occhi de mortali sono state in poca stima. Però, diceva avere grandemente a sospetto quelle creature stimate e amate assai dà ciascuna, e in contrario godeva di conversare con quelle poco apprezzate e stimate. Soleva anco dire spesse volte:

Se io mi volessi chiamare offesa da nessuna, mi chiamerei da questi spiriti compìti e sapienti appresso a loro stessi.

23. Il veder questa Madre subblimare queste tale sorelle, era causa tra le novizie d’una gran pace e unione tra loro, perché niuna arebbe avuto ardire di preferirsi all’altra.

24. Quelle ancora che esteriormente non si vedevano commettere difetti, ma molto qualificate apparivano in ogni luogo, eron maggiormente dell’altre da lei mortificate perché li dicea talora:

Il vedervi, figliola, così quieta per ogni tempo e non aver mai difficoltà, a me non dà troppa soddisfazione, perché mi vò persuadendo aviate posto tutto il vostro fine in accomodare la parte esterna e non attendiate niente al proprio cuore, perché se a quello da vero attendessi, non sareste meglio dell’altre.

25. E quando queste incorrevano in qualche errore, con incredibile esagerazione le riprendeva; il che in contrario avveniva all’altre che per fragilità incorrevano in molte imperfezioni. E tutto faceva questa buona Madre per tor via certe sottil superbie che negli animi dell’incipienti bene spesso si nutriscono e, benché allora, come lei stessa diceva, non apparischino, rovinon l’anime di poi vicino al porto. Però non maggior cura usò ella al tempo che fu maestra di novizie che di tor dagli animi queste proprie estimazioni, dicendoli alcune volte:

Voglio compatire a vostri difetti. Ma in quelle intrinseche superbie di cuore, le quali siete pur certe che il Signore mi fa benissimo conoscere che li ritiene in sé, non mi sento da poter tollerarvi; e se non procurerete di levar da voi quest’ alto sentimento, pregherò il Signore vi faccia incorrere in così gran miserie che siate costrette a confondervi in voi stesse, perché più volentieri vi soffrirei in tal modo miserabili, che offuscate da sottile superbia.

26. Esortava oltre modo a non si curare di fare opere grande e apparenti, perché diceva in quelle esservi molte volte ascosa qualche superbia pericolosissima per l’anima, ma persuadeva a far l’opere minime grande e subblimi, con indirizzarle ad alto fine con pura intenzione, che di queste Dio ne gusta sommamente e sono ascose all’avversario nostro.

27. Persuadeva di più a far gli esercizii et opere manuali con diligenza, ma non totalmente che impedissero l’esercizio delle virtù interne. Anzi che diceva:

Quando avete fatto alcuna cosa bene e in gran parte a soddisfazione delle creature, non vi curate poi di farla in altra occasione ottimamente, perché vi conserverete maggiormente in umiltà.

28. Soleva anco dire:

Figliole, non vi lasciate superare da i prudenti del mondo che tengono molti tesori ascosi. Fate di avere nell’intimo del cuore molte opere buone, note solo a Dio.

29. Esortandole al patire per amor di Gesù e all’osservanza della santa povertà, diceva:

State liete e esultate delle difficoltà, mancamenti e necessità che ne apporta la povertà religiosa, poiché in tempo momentaneo vi acquistate gloria eterna, e per ogni minima cosa che patite vi acquistate premio eterno e eterno splendore alla faccia dell’anima vostra. Cristo crocifisso sia il vostro specchio e la croce il vostro riposo. Mettete tutte le forze vostre in divenirle simili, perché esso tanto più vi amerà quanto più, essendo prive d’ogni consolazione, patirete alcuna cosa per amor suo et in esso patire vi goderete, perché facendo in questo modo averete il paradiso in questa vita e tutte le cose contrarie vi saranno materia di maggior contento e allegrezza.

30. Aveva questa benedetta Madre uno spirito semplice e verace, onde per quello ne dava salutiferi avvisi per illuminar l’anime a fondarsi in essa veracità e semplicità in praticar le virtù. Per la qual cosa spesso dir soleva a quelle sopra le quali aveva superiorità:

Figliole, chi vuol perseverare nel servizio di Dio si ricerca che facci verace e retto fondamento, altrimenti non durerà lungo tempo, perché son di tanto poco valore appresso Dio l’opere virtuose e sante che non ànno questo fondamento nella verità, la quale è Dio stesso, che io sto per dire che meglio sarebbe che mai fossero esercitate l’opere virtuose che praticate senza veracità.

31. Onde una volta, sendo rapita in eccesso di mente, vedde un’ anima che molt’ anni si era esercitata in opere buone, la quale atrocissimamente penava in purgatorio, in guisa che la vedeva investita di un ammanto di fuoco star molto afflitta e dolente. Per il che ella senza interrogar la cagione per cui tanto patisse, conobbe per divina illuminazione esser così tormentata perché il suo operare non era stato rettitudine e semplicità. Onde con mirabil sentimento, essendo in conversazione di molte sorelle, cominciò a dire con efficacia queste parole:

Sorelle, una morte retta ricerca Dio dalle sue creature.

Replicando per molte riprese, diceva:

Io dico che bisogna che si facci una morte retta, perché altrimenti non si fa niente. Dicalo quest’ anima quanto è di bisogno far retta morte, poiché ora gli tocca a patire così atroce pene, perché non morì di morte retta.

E interrogandola quelle che con lei si trovavano che cosa volesse dire fare una morte retta, rispose:

Sapete che cosa vuol dire questo? Che sì come deve saper ciascuno, che il proprio di chi si dà tutto al servizio di Dio altro non è che in mille vie e modi ogni ora e ogni momento da morte a se stesso. Hor ditemi, non è dar morte alla carne (la cui vita è il diletto e il piacere e la sazietà), torli ogni diletto e ogni piacere, e domarla con digiuni, vigilie e asprezze? Non è dar morte al proprio giudizio e intendere (la vita del quale è disporre a modo suo) il sottometterlo ogn’ ora all’altrui parere? Non è uccidere l’appetito e inclinazione di superbia far continuamente atti di umiltà, disprezzando se stessa e occultandosi per non esser conosciuta? E queste son tutte morte che si dà ogn’ ora chi serve a Dio.

32. Ma si può dare a se stessa questa morte non retta? O così non si potessi! perché meglio saria non si uccidessero mai l’anime, ma vivessero sempre al naturale senza mai uccidersi, che uccidersi stortamente, poiché la semplicità loro in dimostrarsi quel che sono in verità non ingannando il mondo con finzione, più li manderebbe in paradiso che la virtù finta.

Onde diceva:

Si uccide quello o quella non con morte retta, che mai ebbe lume e cognizione in verità di Dio, quando castiga il corpo suo con digiuni e astinenze e questo fa non per piacere allo stesso Dio puramente, ma per dar nutrimento al concetto che ha di se stesso, stimandosi di gran virtù e santità; onde per tali esercizii di virtù si conferma che è tale.

Si dà anco morte non retta chi sottopone il proprio giudizio e sta all’obbedienza del superiore per esser da quello in singolar modo amato, con pensiero che sarà, con le lode che dalla sua obbedienza aspetta, preferito agli altri in dignità e ufizii. Ma questi poco dureranno, perché avendo un superiore illuminato, resterà subito la loro obbedienza.

Et similmente dà morte a se stessa non retta quella che agli atti evidenti d’umiliazione quando non vi è l’occasione d’esser convinta di qualche colpa, sempre è la prima, ne gusta e se ne compiace per ritrar da quella evidenza nome di santo, nome di giusto e perfetto. Ma sarà conosciuto questo se da illuminato superiore sarà penitenziato, umiliato e avvilito, non perché eserciti atto di virtù e di perfezione, ma sì bene perché à commesso il tale e il tal difetto, massime se quello è in qualche parte occulto.

33. Onde in tal proposito diceva che desiderava molto che Dio desse un intendimento alli superiori e a quelli che guidan anime, (come ella aveva), di non dar mortificazione a certe sorte di creature spirituali, senza aver essi superiori prima fondate dette mortificazione nelle colpe più particolari che generali di quell’istesse, sendo che per ridurre quelli tutte le cose in superbia e vanità di mente, gli son talora causa di precipizio e rovina.

Per questo, nel tempo che fu superiora e che tenne cura di creature, usò sempre gran vigilanza in ciò; talché alcune figliole che vedeva propense a rivoltare in proprio onore le mortificationi, non usava dargnene, o rare volte, dicendoli:

Per voi non trovo altra mortificazione che far conto, che far conto che non ci siate.

E ciò non diceva a fin di farlo, ma sì bene per illuminare ogni cuore a camminare nella via della virtù con rettitudine di cuore.

34. E volendo che ciascuna intendesse qual fosse questa morte retta, diceva:

Quelle che per Dio, puramente, si privono d’ogni soddisfazione e contento, amando più di patire che di godere, anzi che il godere li è patire e il patire godere. E questo godimento non ha altra origine che da una illuminata cognizione di Dio e da un desiderio acceso di quello, derivante dal più profondo intimo del cuore e non da una superficie eccitata per immitar quello o quell’altro, ma puro, senza commistione nessuna. E questo, per soddisfare a questi accesi desideri, si uccide ogn’ ora più in privato e in segreto che alla presenza della gente, con mortificazioni più interne che esterne; questa fa una morte retta.

35. Ma non sia nessuna che pensi poter darsi questa morte retta con il mele e latte in bocca d’una dolcezza interna, perché molto si ingannerà, sendo che non può essere che gran dolore non senta chi veramente muore. Ma potrà ben avere una letizia quella che mostrando con l’opera virtuosa esterna alle creature uccidersi, resta però viva a se stessa nella parte interna perché ha per oggetto nel suo operare dar vita a se medesima e agli appetitifi e non di dare a quelli morte in verità acciò possi Dio vivere in lei.