Leggenda prima – 4. Incubo

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INCUBO




Il cielo è di cenere, — il suol di carbone

E par che ogni platano — annidi un dimòne.
Le stelle s’estinguono, — la luna s’asconde,
I tumuli, i culmini, — le rupi, le fronde.
Le curve fantastiche — dell’erto sentiero

Son torvi profili — che spiccano in nero.
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Chi ùlula? un’ùpupa — del lito montano.
Chi vola? una nuvola — che va all’uragano.
Chi passa? una foglia — dell’irta mandragola,
Un grillo che cigola, — il vento che miagola.
Lassù fra le nebbie — la stella dïana

Par l’occhio verdognolo — di qualche befana.


Ed un lamento

Che suona e muor,
Viene col vento,
Ad or, ad or,
Par della foca

La voce fioca:


Re Orso

Ti schermi
Dal morso

De’ vermi.






Pieno di schiavi e popolo

È il regio penetrale.
Dorme una donna pallida

Sul morbido guanciale.
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E il Re, dall’arsa gola,

Com’uom che inorridì,
Geme questa parola:
« Trol, se la foca hai spenta
Qual voce si lamenta
Prima che sorga il dì? »
Papiol sui storti piè

Fa un bell’inchino al Re;


Poi dice; «Principe!

Paura ammanta
Di nero il fulgido
Raggio del sol.
T’han le vertigini
D’un’ora pazza
Lo spirto assorto.
Questa è la gazza
Laggiù nell’orto
Che a notte canta».

D’un grido sol
Tuonò la reggia:

«Viva Papiol!»
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Allor soggiunse il Re: « Trol, quella gazza
Ciarla troppo e schiamazza,
La scanna tosto; va ».
— « Buon Duca e Donno,

Nessun ti turbi il sonno ».