Prima parte del Re Enrico VI/Atto quarto

Atto quarto

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Atto terzo Atto quinto

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ATTO QUARTO


SCENA I

Una stanza del palazzo.

Entrano il re Enrico, Glocester, Exeter, York, Suffolk, Sommerset, Winchester, Warwick, Talbot, Il Governatore di Parigi ed altri.

Gloc. Lord vescovo, ponete la corona solla sua testa.

Win. Dio vi salvi, Enrico VL

Gloc. Ora, governatore di Paiigi, giurate (il Goveratore s'inginocchia) che non riconoscerete altro re che Enrico; né avrete altri amici chei1 suoi amici; altri nemici che i nemici suoi. Voi riempirete questi doveri, e così Iddio vi aiuti! (esce il Gov, col suo seguito; entra sir Giovanni Fastolfe)

Fast. Mio grazioso sovrano, mentre incedevo da Calais spronando il mio cavallo per assistere al vostro incoronamento, fu rimessa fra le mie mani questa lettera addirizzata a Vostra Maestà dal duca di Borgogna.

Tal. Obbrobrio al duca e a te! Vil cavaliere, ho giurato dì strappare la giarrettiera alla tua gamba fuggiasca appena ti trovassi, (gliela strappa) Tu eri indegno di essere innalzato a questo grado onorevole. Perdonate, mio re e voi lôrdi; quest’uomo vile e degenere, alla battaglia di Poitiers, allorché non aveva che sei mila uomini e i Francesi erano quasi dieci contr’uno prima che pur fossimo investiti, prima che un sol colpo fosse stato vibrato, è fuggito ignominiosamente. In quell’assalto perdemmo il fiore de’ nostri soldati, ed io stesso con molti altri gentiluomini fummo sorpresi, e fatti prigionieri. Giudicate ora, nobili lôrdi, se ebbi ragione di togliergli il grado, e se uomini tanto abbietti debbono portare questo fregio dei cavalieri.

Gloc. Vuol confessarsi, quell’opera fu infame; essa avrebbe disonorato un soldato comune, non che un cavaliere, un ufficiale, un capo.

Tal. Nei primi tempi in cui quest’ordine venne instituito, miei lórdi, i cavalieri della Giarrettiera erano di nascita illustre, prodi, generosi, e pieni di ardore, come uomini nati per venire a celebrità colle guerre; nè temevano la morte, né [p. 45 modifica]abbattere si lasciavano dall’infortunio; ma pieni di risolutezza e di impassibilità mostravansi anche nelle più spaventose disavventure. Chiunque non è dotato di tali qualità non è che un usurpatore del nome sacro di cavaliere; ei profana l’onore di quest’ordine; e dovrebbe, a parer mio, essere diffamato come un villano, che nato nell’oscurità osasse vantarsi di un sangue nobile.

Enr. Obbrobrio del tuo paese, tu hai uditala tua condanna, fuggi dal nostro cospetto, vile, che fosti un tempo cavaliere: noi ti bandiamo dalla nostra presenza sotto pena di morte. (Fast. esce) Ora, lord protettore, vediamo la lettera che manda il nostro zio duca di Borgogna.

Gloc. Che intende Sua Altezza mutando così di stile? (guardando la lettera) Non si vede qui che quest’indirizzo nudo e famigliare: al re. Ha egli dunque obbliato che Enrico è il suo sovrano? o questa formola di poco rispetto annunzia essa qualche cambiamento nella sua volontà? Vediamo dò che dice (legge) «Arrendendomi ad istanze particolari, e commosso dalle sventure della mia patria, e dai lamenti delle vittime sfortunate che voi opprimete, ho abbandonata la vostra iniqua fazione, e mi sono unito a Carlo re legittimo di Francia». Oh tradimento iniquo! Possibile che non si trovi per frutto d’un’alleanza, di un’amicizia cementata da tanti giuramenti, che un’empia malafede, e una perfidia atroce?

Enr. Che! il duca di Borgogna, mio zio, si ribella contro di noi?

Gloc. Sì, mio principe, egli è divenuto vostro nemico.

Enr. È questo tuttociò che la sua lettera contiene di sinistro?

Gloc. Sì, mio sovrano; questo egli scrìve.

Enr. Ebbene, lord Talbot avrà un colloquio con lui, e saprà punirlo della sua astuzia. — Milord, che ne dite voi? Non è questo ancora il parer vostro?

Tal. Sì certo, mio re; e se non mi aveste prevenuto, vi avrei supplicato di concedermi tale ufficio.

Enr. Raccogliete il vostro esercito, e marciate senza dimore; ch’ei sappia quale sdegno ci ispira la sua perfidia, e qual delitto è l’insultare i proprii amici.

Tal. Parto, mio principe, formando nel mio cuore il voto che voi possiate ben tosto veder confusi i vostri oppositori.

(esce: entrano Vernon e Basset)

Ver. Concedetemi il combattimento, grazioso sovrano!

Bass. Ed a me ancora concedetelo milord! [p. 46 modifica]

York. Qaestì è della mia casa: ascoltatelo, nobile principe!

Som. £ questi della mia; dolce Enrico, vi piaccia di intenderlo.

Enr. Siate pazienti, lórdi; e concedetemi di parlare. — Spiegatevi, gentiluomini: qual’è la ragione di questa inchiesta? perchè chiedete il combattimento, e con chi?

Ver. Con lui, milord, perchè ei mi ha fatto oltraggio.

Bass. Con lui, mio sovrano; perchè mi ha oltraggiato.

Enr. Qual è l’oltraggio di cui entrambi vi dolete? prima fatemelo noto, poscia risponderò.

Boss. Traversando il mare d’Inghilterra per venire in Francia, quest’uomo dalla lingua schemitrice mi ha rimproverata la rosa ch’io porto, non dubitando di dire che il colore di sangue delle sue foglie rappresenta il rossore che tingeva le gote del mio signore, in una contesa in cui egli si opponeva audacemente alla verità, in una contesa di giurisprudenza mossa dal duca di York. È per lavarmi dal suo odioso rimprovero, che invoco il privilegio della legge delle armi.

Ver. Ed io pure lo invoco, mio sovrano. Perocchè sebbene ostenti di colorire la sua audacia e le sue offese, sappiate che fu egli che mi provocò, e che primo avventò i suoi schemi alla mia rosa, dicendo che il pallore dì essa rivelava il debole cuore del mio signore.

York. Oh Sommerset, non cesserai tu mai di essere maligno?

Som. Siete voi, milord, la cui segreta invidia si manifesta ad ogni istante, in onta delle vostre destre cautele per dissimularla.

Enr. Buon Dio! Qual delirio insensato si impossessa degli uomini onde alimentare per cause sì leggiere, per pretesti tanto frivoli, odii profondi e insanabili! Nobili cugini di York e di Sommerset, calmate i vostri crucci, ve ne prego, e vivete in pace.

York. Prima un combattimento decida questa contesa, e poscia Vostra Maestà ne imporrà la pace.

Som. Questa contesa non concerne che noi soli; fra di noi adunque si definisca.

York. Ecco il mio guanto; accettalo, Sommerset.

Ver. No, concedete che venga discussa da noi.

Boss. Permettetecelo, mio onorevole signore.

Gloc. Permettervelo? Maledetti siano i vostri litigi, e i vostri audaci propositi! Vassalli presuntuosi, non arrossite di venire a infestare il re e noi con sì insolenti clamori? E penso che voi pure, miei lórdi, siate colpevoli nel tollerare i loro mutui e maliziosi rimproveri; e molto più ancora nei valervi delle [p. 47 modifica]conteso dei vostri vassalli per svegliare la discordia fra di voi. Lasciate ch’io vi induca a seguire un partito più savio e più degno.

Ex. Questa contesa affligge Sua Maestà. Cari lórdi, siate amici.

Enr. Appressatevi, voi che chiedete il combattimento. — Io vi ingiungo, se bramosi siete del nostro favore, di obbliare per sempre questo litigio, e la sua cagione. — E voi, miei lórdi, rammentate, che in Francia siamo, in mezzo ad una nazione incostante e leggiera. Se la dissensione traluce nei nostri sguardi, se divisi ci mostriamo, con quale ardore questo popolo non seguirà la sua inclinazione verso la disobbedienza e la rivolta? E qual disonore per voi, se l’Europa sa che per una cosa da nulla, che non ha nè prezzo nè valore, i pari d’Inghilterra e la prima nobiltà del re Enrico si son distrutti, e perduto hanno il regno di Francia! Oh pensate alla conquista di mio padre, alla mia giovinezza; nè vogliate disperdere per sì lieve motivo tanto sangue. Lasciatemi essere l’arbitro della vostra contesa. Io non veggo alcuna ragione, se porto questa rosa, (prendendo una rosa rossa) per sospettare che inchino più per Sommerset, che per York: tutti e due mi sono uniti di sangue: entrambi mi son cari. Con egual senno mi si potrebbe rimproverare la mia corona, avvegnachè il re di Scozia sia pure coronato. Ma la vostra prudenza e i vostri lumi possono convincervi ben meglio dei miei ragionamenti. Andiamo, giungemmo qui in pace; continuiamo a vivere in pace, e ad amarci. Cugino York, noi vi facciamo reggente dì queste contrade di Francia; e voi, nobile lord di Sommerset, unite la vostra cavalleria alla fanteria, e come sudditi fedeli, degni eredi dei vostri grand’avi, vivete in buon accordo, e sfogate la vostra ira sui nemici. Noi, il lord protettore, e gli altri lórdi, dopo un po’ di riposo riprenderemo la via di Calais; di là torneremo in Inghilterra, dove spero ci vengano annunciate fra poco le vostre vittorie sopra Carlo, sopra Alençon e su tutti gli altri traditori. (squillo di trombe: esce il re con Gloc, Som., Win., Suff. e Basset)

War. Milord di York, parmi che il giovine re abbia parlato da buon oratore.

York. Sì, ma mi cruccia ch’ei porti i colorì di Sommerset.

War. Fu una celia, nol biasimate per ciò: oso farvi fede che quel buon principe non ebbe intento di offendervi.

York. Ed io, se pur m’appongo, dico che lo fece. Ma dorma per ora quest’idea; altre debbono entrare in campo.

(esce con War. e Ver.)

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Ex. Ben adoprasti, York, a tacere: perocchè se le passioni nel tuo cuore si fossero manifestate, temo che scoppiati sarebbero odii mortali, discordie più atroci che immaginare non si possa. Non v’è alcuno, per quanto fiacco d’ingegno, che veggendo i violenti dissidi! de’ nobili, gl’intrighi di ogni partito per soverchiarsi in corte, gli ammutinamenti faziosi che tuttodì si succedono, non presagisca per l’avvenire qualche cosa funesta. È una sventura che lo scettro sia fra le mani di un fanciullo: maggior sventura ancora, che l’odio e l’invidia producano divisioni sì crudeli, che non han mai fine in un regno, fuorchè tirandolo in rovina. (esce)

SCENA II.

Francia. — Dinanzi a Bordeaux.

Entra Talbot col suo esercito.

Tal. Trombetto, va alle porte di Bordeaux, e chiama il generale nemico sopra le mura. (il trombetto suona a parlamento. Entra sopra le mura il generale francese col suo esercito ed altri) Il Capitano Giovanni Talbot d’Inghilterra, uomo d’anni e vassallo del re Enrico, vi appella per dirvi che apriate le porte della vostra città; che vi arrendiate; che riconosciate il mio sovrano per sovrano vostro; che gli offriate omaggio da sudditi sottomessi, ed allora mi ritirerò con quest’esercito che vi minaccia; ma se voi sdegnate la pace che vi offro, se ripudiate la nostra amistà, sveglierete la collera di tre flagelli che seguono i miei passi: la spaventosa fame, il ferro omicida, e il fuoco divoratore. Questi tre mostri, investite che abbiano le vostre mura, le rovescieranno in un istante, e faranno scomparire dalla terra quelle superbe moli la di cui cima sfida i nembi.

Gen. Infausto e tremendo foriero di morte, terrore della nostra nazione, e flagello di essa il più sanguinario, il termine della tua tirannide è vicino. Tu non puoi entrare nella nostra città che per le porte della morte. Io ti annunzio che siamo ben afforzati e abbastanza numerosi per escire di qui e combatterti. Se ti allontani, il Delfino col suo esercito ti aspetta per avvilupparti nei lacci inevitabili della guerra. Da ogni banda stanno schiere intorno a te che ti tolgono la libertà di fuggire e ogni speranza di salvezza; tu non puoi volgere i tuoi passi verso alcuna parte, che non incontri pertutto la morte, sicura della sua [p. 49 modifica]conquista: dappertutto la pallida distruzione ti circonda. Diecimila Francesi han giurato di non appuntare i loro terribili cannoni contro altre teste che quella dell’inglese Talbot. Perciò eccoti ora pieno di vita, eroe invitto d’indomito coraggio, sebbene tocchi agli ultimi momenti della tua gloria. Queste lodi ch’io ti do sono l’elogio funebre che dalla bocca di un nemico ascolti: e prima che un’ora sia trascorsa, i miei occhi che ti veggono, ora raggiante dei colori della salute, ti mireranno sanguinoso, pallido e spento. (si odono tamburi in distanza) Odi, odi tu? Sono i tamburi del Delfino. I loro suoni sinistri echeggiano nella tua anima compresa di terrore: i miei ad essi risponderanno, e annunzieranno la tua rovina imminente.

(esce cogli altri dalle mura)

Tal. Ei non m’intimidisce: odo il nemico. — Vada qualche cavaliere a riconoscerne le forze. — Oh disciplina ignava e senza prudenza: come avvien egli che siamo qui cinti da tutte le parti? Un gregge d’Inglesi spaventati, investiti da mute francesi avide di preda! Non soccombete di paura come i timidi daini; ma piuttosto simili a cinghiali ostinati e furiosi respingete queste mute cruente, e forzatele a tenersi al largo mandando vani latrati. Andiamo, miei amici, ognuno di voi venda la sua vita così caro com’io venderò la mia: ardua assai riesca loro tal caccia. Dio e San Giorgio, Talbot e i dritti d’Inghilterra facciano trionfare le nostre bandiere in questa pericolosa battaglia. (escono)

SCENA III.

Pianure in Guascogna.

Entra York coll’esercito; verso lui si avanza un Messaggiero.

York. Le spie inviate a riconoscere le forze del Delfino non son ritornate?

Mess. Sì, milord, ed annunziano che il Delfino marcia col suo esercito per combattere Talbot. Esse han veduto ancora un esercito doppio di quello del Delfino raggiungerlo sul suo passaggio, e marciare con lui verso Bordeaux.

York. Maledizione su quell’odioso Sommerset che indugia tanto a spedirmi il rinforzo promesso per questo assedio! Talbot lo aspetta: ed io schernito mi veggo da un traditore, nè posso soccorrere il prode cavaliere: Dio voglia assisterlo nelle sue strettezze. S’ei cade, non ci saran più guerre in Francia.

(entra sir Guglielmo Lucy)

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Lucy. Primo dace delle forze d’Inghilterra, non mai tu fosti più necessario sul suolo di Francia: vola in soccorso del nobile Talbot, che ora ha intorno una cintura di ferro, e minacciato è di sicura morte. A Bordeaux, prode duca; a Bordeaux, nobile York! Se ciò non fai, sarà perduto Talbot, la Francia e l’onore d’Inghilterra.

York. Oh Dio! Quel Sommerset, a cui l’orgoglio geloso divieta di mandarmi la mia cavalleria, perchè non è al luogo di Talbot! Noi salveremmo un prode guerriero colla perdita di un vile e di un traditore. Io insanisco, e verso pianti di rabbia vedendo che periamo, intantochè uomini indegni dormono in un’infame inoperosità.

Lucy. Oh, inviate qualche soccorso a quel magnanimo lord.

York. Talbot perisce! Noi perdiamo un eroe, io manco all’onore della mia parola. Noi restiamo immersi nel lutto; la Francia sorride: ed ogni giorno si faranno nuove conquiste da lei, e nuove perdite dall’Inghilterra: di tutto ha colpa il traditore Sommerset.

Lucy. Iddio abbia dunque pietà dell’anima di Talbot, e di quella del suo giovine figlio, che incontrai son due ore in cammino per raggiungere il suo illustre padre. Sette anni interi son trascorsi da che Talbot non l’ha abbracciato, ed essi si riveggono oggi per morire insieme.

York. Oimè! Qual gioia proverà gli rivedendo e riabbracciando il figliuol suo sull’orlo della tomba! Lungi da me, idea crudele che mi dilanii, e mi togli quasi la parola: due amici da sì lungo tempo divisi, e che si riuniscono all’ora della morte! Addio Lucy! Il mio destino non mi consente altro che di maledire l’autore dei nostri mali, ma non posso soccorrere quell’eroe. Il Maine, Blois e la Turenna, son ripresi e sfuggono dalle nostre mani; e tutti questi danni sono colpe di Sommerset.

(esce)

Lucy. Così, mentre l’avoltoio della discordia si pasce sul cuore di questi grandi del regno, l’inerzia e la negligenza tradiscono e lasciano togliersi le conquiste del nostro massimo guerriero, le di cui ceneri son tiepide ancora, di quell’eroe, la memoria del quale vivrà in tutti i secoli, di Enrico V. Intantochè essi si avversano e intendono a soverchiarsi l’un l’altro, la vita dei nostri soldati, i nostri possessi e il nostro onore si sperdono irrevocabilmente. (esce) [p. 51 modifica]

SCENA IV.

Altre pianure di Guascogna.

Entra Sommerset col suo esercito; un ufficiale di Talbot è con lui.

Somm. È troppo tardi: non posso ora spedire la cavalleria: questa impresa è stata troppo temerariamente eseguita da York e da Talbot. Tutte le nostre schiere ragunate, potrebbero essere avvolte e tagliate fuori da una sortita del solo presidio della città. Il generale presuntuoso ha con troppa audacia offuscato lo splendore della sua gloria; un’opera imprudente e disperata fu questa, in cui egli mise tutto alla ventura; York è stato quello che l’ha mandato a combattere e a morire con vergogna, a fine che, Talbot morto, egli possa farsi bello dell’onore della guerra.

Uff. Ecco sir Lucy: deputati fummo entrambi dai nostri soldati ammutinati; ei viene ad implorare il vostro soccorso.

(entra sir Guglielmo Lucy)

Somm. Ebbene, sir Guglielmo, dove eravate rivolto?

Lucy. Verso di voi, milord, per incarico di Talbot, la di cui vita è venduta e comprata. Cinto da tutte le parti dalla inevitabile avversità, egli invoca con alte grida York e Sommerset per respingere la morte che sta per avventarsi sulle sue deboli schiere. E intanto che quel prode si cuopre di sudore e di sangue, e finisce di usare le sue forze già logore dalla guerra per prolungare la resistenza fino all’arrivo di qualche soccorso; voi deludete la sua speranza, voi depositarli dell’onore d’Inghilterra ve ne state oziosi lungi da lui in preda alle vostre vergognose querele! Le vostre contese personali non ritardino di più il sussidio a lui promesso; perocchè la sua vita versa in grave pericolo. Il Bastardo d’Orléans, Carlo e il duca di Borgogna, Alençon e Renato lo tengon chiuso, e Talbot muore perchè voi l’abbandonate.

Somm. È York che l’ha posto in quella estremità; York dovrebbe ritrarnelo.

Lucy. York impreca contro di voi, e giura che voi gli ritenete i cavalli che erano stati raccolti per questa spedizione.

Somm. Egli mente: poteva chiedere il sussidio, e l’avrebbe avuto. Alcuna deferenza non gli debbo, meno poi amistà: sdegno quindi di accarezzarlo prevenendolo.

Lucy. Furono le frodi dei duci d’Inghilterra, e non la forza della Francia, che colsero al laccio il generoso Talbot. Non più [p. 52 modifica]ei rivedrà la sua patria; ei perisce vittima delle vostre fatali discordie.

Somm. Ebbene, gli invierò i soldati che dimanda; fra sei ore sarà soccorso.

Lucy. Sarà troppo tardi: egli è già preso o ucciso: perocchè Talbot non potrebbe fuggire quand’anche volesse, nè fuggirà ove pure lo possa.

Somm. Se è spento, abbia il nostro addio.

Lucy. La sua gloria vive nel mondo, e l’onta della sua disfatta ricade in voi soli. (escono)

SCENA V.

Il campo inglese vicino a Bordeaux.

Entrano Talbot e Giovanni suo figlio.

Tal. Oh adolescente Talbot, ti chiamai per esserti maestro nell’arte della guerra, onde il nome di Talbot potesse rivivere in te, allorchè tuo padre, stanco per gli anni, sarà costretto a riposare nell’inerzia della vecchiaia. Ma, oh fatal stella che presiedi ai nostri destini! Tu vieni oggi per assistere al trionfo della morte, e veder tuo padre nel più tremendo de’ pericoli. Mio amato figlio, sali sul dorso del più agile de’ miei cavalli, ed io t’insegnerò il mezzo di salvarti con una fuga precipitosa. Vieni, non indugiare, parti.

Gio. Non è il mio nome Talbot? Non sono io vostro figlio? E dovrei fuggire? Oh, se amate mia madre, non disonorate il suo puro nome, facendo di me un figlio illegittimo e indegno di voi. Il mondo direbbe: «non era prole di Talbot l’uomo che vilmente scampò, mentre il suo generoso padre versava in gran pericolo».

Tal. Fuggi per vendicare la mia morte, se rimango ucciso.

Gio. Quegli che fuggisse così, non mai tornerebbe alle battaglie.

Tal. Se entrambi restiamo, entrambi moriremo.

Gio. Dunque lasciate ch’io resti, e fuggite voi, padre mio. La vostra perdita è grande, e dovete perciò le maggiori cure alla vostra conservazione; il mio merito è ignoto; nulla si perde perdendomi. I Francesi avran poca gloria della mia morte; superbi invece andranno della vostra, perchè con voi svaniscono tutte le speranze dell’Inghilterra. Una fuga necessaria non può offuscare la gloria che avete acquistata. Ma la fuga disonorerebbe [p. 53 modifica]me, di cui non si conosce alcuna nobile opera. Tutti giureranno che voi siete fuggito per vincere un qualche dì; ma io, se mi dileguo, ne avrò nota di timore. Non mai si potrà sperare ch’io resti sol campo di battaglia, se la prima volta che in esso mi trovo, me ne allontano turpemente. Qui inginocchiato, padre, imploro la morte, prima che una vita mantenuta coll’infamia.

Tal. Dovranno tutte le speranze di tua madre giacere in un sepolcro?

Gio. Sì, piuttosto che coprire d’obbrobrio il seno che mi ha portato.

Tal. In nome della mia benedizione, io ti comando di andartene.

Gio. A combattere sì, ma non a fuggire dal nemico.

Tal. Parte del padre tuo può essere salvata in te.

Gio. Disonore ei ne avrebbe, se fossi salvato a tal prezzo.

Tal. Non mai tu avesti fama, e quindi non puoi perderla.

Gio. La vostra discende in me; dovrei io contaminarla colla foga?

Tal. Il comando di tuo padre varrebbe a detergere tal macchia.

Gio. Potreste voi far testimonianza per me, quando sarete estinto? se la morte è così sicura, fuggiamo entrambi.

Tal. E lascierei i miei soldati a combattere e morire senza di me? Non mai così gran viltà offuscherà la mia vita.

Gio. E dovrei io oscurare la giovinezza mia? Non di più posso io essere separato da voi, che voi da voi stesso noi possiate. State, partite, fate ciò che v’è a grado, il simile io farò; perocchè io non voglio vivere, se mio padre muore.

Tal. Dunque ricevi qui il mio addio, amato figlio, nato per vedere spegnersi la tua vita in questo dì. Vieni, andiamo insieme a vivere od a morire, e le nostre anime unite ascendano dalla Francia in Cielo. (escono)

SCENA VI.

Un campo di battaglia.

Allarme, Escursioni, in cui il figlio di Talbot è preso e ricuperato da mio padre.

Tal. San Giorgio, e vittoria! Combattete, soldati, combattete; il reggente ha mancato di parola a Talbot, e ci ha lasciati soggetti alla furia della spada francese. Dov’è Giovanni Talbot? Riposati e ripiglia lena; io ti diedi la vita, e ti ho redento da morte.

Gio. Oh, due volte mio padre! Due volte io sono tuo figlio: [p. 54 modifica]la vita che prima mi desti era perduta, e la tua spada bellicosa in onta della morte protrasse i miei giorni al di là del termine in cui dovevano finire.

Tal. Allorchè ho veduto il tuo ferro far scaturire il fuoco dall’elmo del Delfino, un nobile desiderio di forzare la vittoria ha infiammato il mio cuore. Allora i ghiacci dell’età sono stati sciolti dai fuochi del valore; trovate ho le forze della gioventù; ho respinto Alençon, Orléans, il duca di Borgogna, e ti ho salvato dalla furia dei Francesi. Il bollente Bastardo che ha sparso il tuo sangue, mio figlio, e ha colte le primizie del tuo combattere, ed investito da me; e nel rapido ricambiarci dei nostri mortali colpi, molte volte l’ho ferito, addirizzandogli sdegnoso queste parole: «spargo il tuo sangue impuro e vile, onde sconti, con debole ed indegna ammenda, quel puro che estraesti dai fianchi di mio figlio»: e pieno di desiderio di uccidere quel protervo, ti ho potentemente soccorso. — Parla, mio figlio, oggetto della tenerezza di tuo padre, non sei tu debole e sfinito? Qual è il tuo stato? Tuoi tu abbandonare alfine questo campo di battaglia e porti in salvo? Ora, eccoti innalzato al grado dei cavalieri. Fuggi per vendicare la mia morte, allorchè più non vivrò: un guerriero di più a nulla mi giova. Troppa è la follia di avventurare tutti la nostra vita in una sola e fragile barca. Se io non soccombo oggi sotto i colpi dei Francesi, morrò dimani di vecchiezza; i nemici nulla guadagnano colla mia morte, e qui restando, non abbrevio la mia vita che di un giorno. Ma invece la tua morte uccide tua madre, l’onore e il nome della nostra famiglia; con te periscono la mia vendetta, la tua gioventù, e la gloria dell’Inghilterra. Se persisti a rimanere, noi esponiamo tutti questi beni, ed altri ancora che la tua fuga potrebbe risparmiare.

Gio. La spada d’Orléans non mi ha fatto alcun male, ma le parole di mio padre insanguinano il mio cuore. Oh, qual frutto trarrei io da tanta viltà? Quello di serbare una miserabile vita, immolando una lucida fama. Prima che si vegga il giovine Talbot fuggire ed abbandonare il suo venerabile padre, il cavallo che mi porta soccomba e muoia, e mi lasci fra le mani di sordidi coloni di Francia, oggetto del loro disprezzo e dello sdegno di tutti. Sì, lo giuro per gli allori che voi avete colti, s’io fuggissi, non sarei figlio di Talbot: non mi dite di fuggire; voi sperdete le vostre parole. Se figlio sono di Talbot, io deggio morire ai vostri piedi.

Tal. Segui dunque il tuo disperato padre, come altra volta [p. 55 modifica]Icaro segni il suo in Creta: la tua vita mi è dolce: se vuol combattere, combatti al mio fianco, e dopo esserti illustrato, moriamo entrambi con gloria. (escono)

SCENA VII.

Altra parte del campo.

Allarme. Escursioni. Entra Talbot ferito, sorretto da un domestico.

Tal. Dov’è l’altra mia vita...? la mia già ho perduta!... Oh, dov’è il giovine Talbot? Dov’è il prode Giovanni? Morte gloriosa, redenta da prigionia, il valore del giovine mio figlio mi ti fa accogliere sorridendo. Allorchè mi vide soccombente sulle mie deboli ginocchia, ei protesse il mio corpo colla sua spada sanguinosa: e come lione famelico operò in un istante cento prodigi di furore. Ma dissipati che ebbe intorno a me i nemici, cogli occhi scintillanti e il cuore pieno di rabbia, s’avventò nel più fitto dell’esercito Franco, e in un mar di sangue annegò la sua bella vita. Così perì il mio figlio, il mio Icaro: tale fu il suo valore!

(entrano alcuni soldati, portanti il corpo di Giovanni Talbot)

Dom. Oh, mio diletto signore, guardate, è vostro figlio che portano.

Tal. Morte, che ti piaci in insultarne, sappi che in breve, tolti alla tua tirannia, i due Talbot, uniti dai vincoli dell’immortalità, voleranno insieme traverso ai cieli, e in onta tua sfuggiranno al nulla ed all’oblio. — Oh tu, le di cui ferite accumulate ben esprimono la tua morte spaventosa, parla a tuo padre, prima di mandare il tuo ultimo sospiro: disprezza la morte favellando: imagina ch’ella è un Francese, e tuo nemico. — Povero fanciullo! ei mi sembra sorridere, come se dir volesse: «se la morte fosse stata un Francese, la morte sarebbe stata spenta oggi». Avvicinatelo, avvicinatelo, ponetelo fra le braccia di suo padre: il mio spirito non può più a lungo sopportare tanti mali. Soldati, addio! ho quello che aver volevo: ora le mie vecchie braccia son fatte tomba al giovine Talbot. (muore. Allarme. Escono i soldati e il domestico, lasciando i due cadaveri. Entrano Carlo, Alençon, Borgogna, il Bastardo, la Pulcella e l’esercito)

Car. Se York e Sommerset avessero mandati i rinforzi, la giornata sarebbe stata ben calda. [p. 56 modifica]

Bast. Con qnal furia il giovine Talbot, degno emulo di tuo padre, tuffava nel sangue francese la sua vergine spada!

Pul. Lo assalii una volta, dicendogli: «tu giovine sei vinto «da una giovine»: ma con occhio superbo e aspetto pieno di orgoglio, ei mi rispose: il giovine Talbot non è nato per disonorarsi, vincendo una donna; e con queste parole slanciossi nel più folto delle schiere francesi, e mi abbandonò con disprezzo, quasi avversario indegno di lui.

Bor.'. Certo ei sarebbe stato un nobile cavaliere: vedete, lo riconoscete voi? Eccolo sepolto nelle braccia di suo padre, sanguinoso autore de’ suoi fatti micidiali.

Bast. Facciamo in brani i cadaveri di questi due nemici, gloria d’Inghilterra e terrore di Francia.

Car. Oh, no, non gli oltraggiamo, onoriamo due eroi morti, che vivi ne fecero fuggire. (entra sir Guglielmo Lucy, con seguito; un araldo francese lo precede)

Lucy. Araldo, conducimi alla tenda del Delfino per sapere a chi appartiene l’onore di questa giornata.

Car. Qual è l’umile tuo messaggio?

Lucy. Umile, Delfino? Questa parola è schiettamente francese; noi guerrieri d’Inghilterra non la intendiamo. Vengo per sapere quali sono i tuoi prigionieri, e quali i morti.

Car. I prigionieri richiedi? L’inferno è la nostra prigione. Ma dimmi, chi cerchi?

Lucy. Dov’è il grande Alcide del campo, il prode lord Talbot di Shrewsbury? creato pel suo meraviglioso valore conte di Washford, Waterford e Valenza; lord Talbot di Godrig e di Urchingfield? Dove sono i lórdi Hrauge di Blachmere, lord Verdun di Alton, lord Cromwell di Winchfield, lord Furnival di Sheffield, il sempre vittorioso lord di Falconbridge, cavaliere del nobile ordine di San Giorgio, di San Michele, e del Toson d’oro, gran maresciallo del nostro re Enrico VI in tutte le sue guerre contro la Francia?

Pul. Codesto stile è ben gonfio. Il gran Sultano che domina sopra cinquantadue regni, non adopera linguaggio più pomposo. — Vedi: uno di quelli che tu fregi di tanti titoli, giace qui ai nostri piedi cadavere impuro, e preda dei più vili insetti.

Lucy. È dunque ucciso Talbot, flagello dei Francesi, angelo esterminatore della vostra nazione? Oh potessero le mie pupille mutarsi in palle roventi, ond’io nell’ira mia ve le avventassi sul volto! Oh potessi richiamare cotesti morti in vita! Bastanti essi sarebbero ad atterrire il regno di Francia: i loro ritratti solo [p. 57 modifica]lasciati fra di voi, spaventerebbero il più superbo francese. Datemi i loro corpi, ch’io possa lungi di qui trasportarli, e dare ad essi tomba adeguata al loro merito.

Pul. Credo che in costui sia lo spirito del vecchio Talbot, tanta è la boria con cui favella. Per amore di Dio s’abbia i cadaveri; e il tenerli qui non potrebbe che infettar l’aere.

Car. Va, prendili.

Lucy. Lungi di qui li recherò; ma dalle loro ceneri nascerà un eroe che farà tremare la Francia.

Car. Togline la loro vista e accada quello che vuole. — Marciamo ora verso Parigi, e seguiamo il corso delle nostre conquiste; tutto ne sarà facile ora ch’è spento Talbot. (escono)