Poesie italiane con alcune prose latine/L'editore ai lettori

L’Editore ai lettori

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Poesie italiane con alcune prose latine Elogio
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L’EDITORE AI LETTORI.



Il titolo di questo libro abbastanza esprime, che qui si contengono i soli Componimenti poetici del Sig. Giuseppe Torelli e non già le sue traduzioni in versi italiani, delle quali sarebbe voluminosa la serie intera, e non affatto prudente una scelta parziale. Qui pur si trovano poche soltanto delle sue prose latine: quelle cioè che più spettano alle amene lettere, omesse perciò due di controversia morale, e molte d’argomento scientifico. Questo è pertanto un volumetto di fiori Torelliani, che prima sparsi, taluni non ancor messi in mostra, ora come in un serto riuniti, si offrono agli amatori delle sincere bellezze nel nostro e nel latino idioma. Essi certamente gradiranno la preziosa, benchè non ampia raccolta; e sapendo altronde, con quanto studio abbia il Torelli coltivate le [p. 4 modifica]matematiche, ammireranno via più i suoi prodotti di bella letteratura, con quelle accoppiata. Esempio raro, ma non unico, dirà forse taluno. Così è davvero, nè il Torelli ebbe mai ammiratori tanto abbagliati, che stimassero, lui esser in questo genere il primo e solo tra tutti gli uomini. Si sapeva, che non mancano simili esempi; ma tali, da farne sbigottito un emolo, e glorioso un imitatore: quali esempi? Fracastoro, Manfredi e pochi altri di cotal fatta. Ma se queste produzioni Torelliane hanno tutto il bello della dicitura, si attribuirà forse alla squisitezza, ch’egli eternamente impiegava nel ripulirle, e si dirà, che son esse per altra parte senza il robusto della novità e dell’importanza? Veramente non è noto alcun mezzo per abbellire a forza di ripulimento, le cose, che fossero di brutto impronto; ma per altro è notissimo, che le orazioni di Demostene, al dire de suoi invidiosi contemporanei, avevan [p. 5 modifica]odore di olio, perch’egli le meditava e limavale assiduamente (eternamente non era per anche in uso) al lume della lucerna; e Tullio, non già per beffarlo, disse: Cui non sunt auditae Demosthenis vigiliae? qui dolere se ajebat, si quando opificum antelucana victus esset industria. Tusc. IV, 44. Tuttavia, mercè di quella lucerna e di quelle veglie, le orazioni di Demostene, dopo venti secoli, vivono ancora e vivranno altamente ammirate. Il robusto poi della novità (sovente frivola) e dell’importanza (talor più frivola) si cercherebbe a torto in componimenti soavi, nei quali l’Autore, come l’argomento chiedea, si propose non di scuotere gli uomini, ma di dilettarli; non d’inerpicarsi per balze precipitose, ma di ricalcar le belle orme sicure de’ migliori maestri; non di far trattati dogmatici, ma d’esprimere leggiadramente de’ leggiadri pensieri. E com’egli seppe altresì concepirli, così [p. 6 modifica]ognuno potrà quindi conoscere, quanto genio avesse nell’invenzione, il qual genio, sanamente inteso, è assai differente da una scorrevole facilità, che tutto accoglie, quanto nel comporre si offre all’ingegno, più sollecito di far molto e presto, che di ben fare. Non è verisimile, che questa fosse oggetto d’alcuna brama per quel sublime poeta e sottil precettore, che lasciò scritto:

.... Carmen reprehendite, quod non
Multa dies, & multa litura coercuit, atque
Perfectum decies non castigavit ad unguem.

horat. de a. p. 291, seqq.

L’asterisco dinoterà i componimenti, che di certo furono dati dall’Autore alle stampe: gli altri sono esattamente ricopiati da’ suoi originali a penna.