Poesie (Fantoni)/Scherzi/XXIII. Il lamento di Nigella

XXIII. Il lamento di Nigella

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XXIII

Il lamento di Nigella

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     Per pietá del mio tormento,
or ch’è sera e son smarrita,
chi m’addita — il mio pastor?

     Io lo sento — ah no! ché è il vento,
5che s’aggira — tra le fronde,
che sospira — in mezzo ai fior.

     No, è il lontano mormorio
di quel rio — che, rotto in spume,
reca al fiume — il chiaro umor.

     10Ah! che il suon non è dell’onde:
questo è l’eco — dello speco,
che risponde — al mio dolor.

     Tirsi ingrato in altre arene,
obliato — il caro bene,
15forse errando, oh Dio! sen va.

     Se ricerca un’altra amante,
s’è piú bella — di Nigella,
piú costante — non sará.

     Così dunque, aimè! rammenti,
20Tirsi ingrato, i giuramenti
di un’eterna fedeltá.

     Non lasciarmi in abbandono,
torna, o Tirsi, e ti perdono
le commesse infedeltá.