Poesie (Fantoni)/Odi/Libro II/XXXIV. Ad Andrea Massena

XXXIV. Ad Andrea Massena

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XXXIV

Ad Andrea Massena

(1789-1800)

     Beato quei che in venerata pace
vive a se stesso con Minerva, e l’utili
figlie della memoria, e cura edace
non pasce, madre di speranze inutili.

     5Dai cheti sonni micidial nol desta
tromba alla pugna o popolar discordia,
non per l’indico mar pave tempesta,
o dei potenti la fatal concordia.

     Evita il fòro, ove d’Astrea si annida
10frode celata nell’antica spoglia,
e la devota, alla fortuna infida,
del palagio dei re lubrica soglia.

     Se il giorno nasce o se alla notte cede
metá dell’orbe, i dì passati esamina,
15libra il presente, l’avvenir prevede,
né d’un vano saper l’alma contamina.

     Del rapido pensier scorre su l’ali
per gli ampi spazi del creato, dedita
scorge natura a rinnovar le frali
20forme viventi, la contempla e medita.

     Le leggi ammira, che nel cuore intatto
dell’uom destò il bisogno ancora ignobile,
i primi patti, il social contratto
e delle genti la ragione immobile.

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     25Ma sì bell’onda inorridito mira
scorrer con fango di terreno esotico,
e, autocratici, cupidigia ed ira
regnar ministre del poter dispotico.

     Invano i saggi, aimè! sì rari in terra,
30gridan che siam fratelli; invan sospirano:
è vittima la plebe, in pace e in guerra,
di pochi avari che fra lor s’adirano.

     Dai lunghi studi dell’amica sposa
lieto riposa fra le caste braccia,
35e, fra i giuochi e i precetti, l’amorosa
garrula prole, sorridendo, abbraccia.

     L’arti coltiva e del bisogno ai figli
util si rende, di potente insidia
salva gl’imbelli dai rapaci artigli,
40copre gli oppressi e non conosce invidia.

     Figlio dell’Alpe, che la gelid’onda
lambe del Roia, cui d’eterna gloria
l’ardito nome e il nero crin circonda
il lauro dell’elvetica vittoria;

     45se in riva al Po, se in riva al Tebro torni
e l’empia domi feritá vandalica,
se riconduci i desiati giorni
della tradita libertade italica,

     qual ti prepara il ciel di lode immensa
50giusto tributo! Di trionfi sazio,
cercando i buoni, odiando i rei, compensa
degli affanni sofferti Italia e Lazio.

     Ciò non desio, perché piú aratri io veggia
con vasto solco i nostri campi fendere,
55o il lunense pastor piú ricca greggia
guati dall’Alpe alla Maremma scendere.

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     Benigno, il ciel tanto mi die’ che, basta
da non bramar stolta ed inutil copia:
chi ha di voglie indiscrete anima casta
60vive contento e non paventa inopia.

     Segue ricchezza aviditá: nell’oro
l’ozio germoglia al mal oprar propizio,
prepotenza trionfa, e del tesoro
veglian custodi l’ignoranza e il vizio.

     65Che giova un soglio? Che. signor dei flutti,
raccôr le merci che ad Ormis si vendono?
se il povero ed il re svanisce, e tutti
nudi dell’ombre alla magion discendono.