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*   La favola del pavone vergognoso delle sue zampe pecca d’inverisimile anzi d’impossibile, giacché non ci può esser parte naturale e comune in verun genere d’animale, che a quello stesso genere non paia conveniente, e quando sia nel suo genere ben conformata non paia bella: giacché la bellezza è convenienza, e questa è idea ingenita nella natura; quali cose però si convengano, questo è quello che varia nelle idee non solo dei diversi generi di animali, ma eziandio degl’individui di uno stesso genere; come, negli uomini, agli etiopi (per non uscire dalla bellezza del corpo) par bello il color nero, il naso camoscio, le labbra tumide, e brutti i contrari che a noi paion belli, e tra i bianchi questa e quella nazione si diversifica assaissimo nel valutar come bella questa o quella forma che all’altra nazione dispiacerà. Ma che la natura abbia fatto parte stabile ed essenziale di verun genere animalesco che a quello stesso genere paia brutta è impossibile, giacché non è possibile che un genere non abbia nessuno cui stimi bello, e questo vediamo parimente nella specie; e le stesse differenze ch’io ho notate nei giudizi degli uomini provengono dalla differente forma loro, come negli etiopi, lapponi, selvaggi, isolani di cento figure ec. E le altre differenze, come nello stimar piú l’occhio ceruleo che il nero ec., versano non intorno a cose stabili e immutabili, ma, com’è chiaro da questo esempio, mutabili e differenti [p. 155 modifica]in una stessa specie secondo gl’individui, giacché altrimenti la natura avrebbe fatto una specie di bruttezza assoluta, se parendo bruttezza a noi, paresse anche a quel tal genere o specie. Ma la bruttezza assoluta ben noi ce la figuriamo, che, vedendo le zampacce del pavone e parendoci sconvenienti al resto del suo corpo, non crediamo che possano parer belle a nessuno animale; ma il fatto non istà cosí, anzi al pavone parrebbono brutte nel proprio genere quelle zampe piú grosse, carnose, morbide, ornate, vestite ec. che a noi parrebbono piú belle, e giudica brutto quello del suo genere, o specie che la vogliamo dire, che non ha le zampe perfettamente secche, asciutte ec.


*   Quello che ho detto nel principio di questo pensiero me ne porge un altro, cioè che infatti quella favola non pecca d’inverisimile, non essendo scritta per li pavoni ma per noi, i quali naturalmente siamo portati a credere che quelle zampe bruttissime agli occhi nostri sieno tali anche agli occhi dei pavoni. E quantunque il filosofo facilmente conosca il contrario, tuttavia scrive il poeta pel volgo, al quale non è inverisimile il dir, per esempio, che le stelle cadano, anzi lo dice Virgilio e si dice da’ villani e da’ poeti tuttogiorno, benché a qualunque non ignorante sia cosa impossibile.