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[p. 93 modifica] compiacenza di se stesse, sapendo però benissimo quello che sono. Ora come è possibile che sieno durevoli e forti quanto basta, [p. 94 modifica]essendo cosí scoperte? e che muovano a grandi cose? e senza le illusioni qual grandezza ci può essere o sperarsi? (Un esempio di quando la ragione è in contrasto colla natura. Questo malato è assolutamente sfidato e morrà di certo fra pochi giorni. I suoi parenti per alimentarlo come richiede la malattia in questi giorni, si scomoderanno realmente nelle sostanze; essi ne soffriranno danno vero anche dopo morto il malato: e il malato non ne avrà nessun vantaggio e forse anche danno perché soffrirà piú tempo. Che cosa dice la nuda e secca ragione? Sei un pazzo se l’alimenti. Che cosa dice la natura? Sei un barbaro e uno scellerato se per alimentarlo non fai e non soffri il possibile. È da notare che la religione si mette dalla parte della natura). La natura dunque è quella che spinge i grandi uomini alle grandi azioni, ma la ragione li ritira: e però la ragione è nemica della natura; e la natura è grande, e la ragione è piccola. Altra prova che la ragione è spesso nemica della natura, si cava dall’utilità, cosí per la salute come per tutto il resto, della fatica a cui la natura ripugna e cosí dalla ripugnanza della natura a cento altre cose o necessarie o utilissime e però consigliate dalla ragione, e per lo contrario dall’inclinazione della natura a moltissime altre o dannose o inutili o proibite, illecite, e condannate dalla ragione: e la natura spesso tende con questi appetiti a danneggiare e a distrugger se stessa.


*   Finisco in questo punto di leggere nello Spettatore, n. 91, le Osservazioni di Lodovico di Breme sopra la poesia moderna o romantica che la vogliamo chiamare, e perché ci ho veduto una serie di ragionamenti che può imbrogliare e inquietare, e io per mia natura non sono lontano dal dubbio anche sopra le cose credute indubitabili, però avendo nella mente le risposte che a quei ragionamenti si possono e debbono fare, per mia quiete le scrivo. Vuole lo scrittore (come tutti i romantici [p. 95 modifica]che la poesia moderna sia fondata sull’ideale che egli chiama patetico e piú comunemente si dice sentimentale, e distingue con ragione il patetico dal malinconico, essendo il patetico, com’egli dice, quella profondità di sentimento che si prova dai cuori sensitivi, col mezzo dell’impressione che fa sui sensi qualche cosa della natura, per esempio la campana del luogo natío, cosí dic’egli; e io aggiungo la vista di una campagna, di una torre diroccata ec. ec. Questa è insomma la differenza che egli vuol che sia tra la poesia moderna e l’antica, ché gli antichi non provavano questi sentimenti, o molto meno di noi; onde noi secondo lui siamo in questo superiori agli antichi, e siccome in questo secondo lui consiste veramente la poesia, però noi siamo piú poeti infinitamente che gli antichi (e questa è la poesia dello Chateaubriand, del Delille, del Saint-Pierre ec. ec., per non parlare dei romantici, che forse anche in qualche cosa differiscono, ec. E questo patetico è quello che i francesi chiamano sensibilité e noi potremmo chiamare sensitività). Or dunque bisogna eccitare questo patetico, questa profondità di sentimento nei cuori: e qui, com’è naturale, consisterà la somma arte del poeta. E qui è dove il Breme e tutti quanti i romantici e i chateaubriandisti ec. ec. scappano di strada. Che cosa è che eccita questi sentimenti negli uomini? La natura, purissima, tal qual è, tal quale la vedevano gli antichi: le circostanze, naturali, non procurate mica a bella posta, ma venute spontaneamente; quell’albero, quell’uccello, quel canto, quell’edifizio, quella selva, quel monte,