Parte seconda del Re Enrico IV/Atto quinto

Atto quinto

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Atto quarto Nota

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ATTO QUINTO



SCENA I.

Nella provincia di Glocester. — Una sala nella casa di Shallow.

Entrano Shallow, Falstaff, Bardolfo e paggio.

Shall. Pel Cielo, cavaliere, di qui non partirete sta notte. — Davy olà!

Fal. Mestieri è mi scusiate, messer Roberto Shallow.

Shall. Io non vi scuserò, non sarete scusato; non si accettano scuse, nulla vale; non sarete scusato. — Olà Davy!

(entra Davy)

Dav. Eccomi, signore.

Shall. Davy, Davy, Davy..... fa ch’io vegga, Davy, fa ch’io vegga... Sì, in verità, di’ al cuoco Guglielmo di venir qui. Cavalier Giovanni non sarete scusato.

Dav. Per bacco, signore... tali ordini non potrebbero eseguirsi. — Poi... dobbiam seminare di frumento il campo vicino?

Shall. Di frumento rosso, Davy. Quanto a Guglielmo il cuoco... non vi sono piccioni giovani?

Dav. Sì, signore. — Ecco anche la nota del fabbro per attrezzi fatti.

Shall. Venga pagato. — Cavalier Giovanni, non avrete scusa.

Dav. Ora, signore, il nostro banco ha bisogno di un cerchio nuovo di ferro... poi, signore, volete si paghino a Guglielmo i sacchi che perde l’altro giorno alla fiera di Hinckly?

Shall. Di essi mi deve rispondere. — Alcuni piccioni, Davy; un paio di galline dalle gambe corte; un pezzo di montone; e qualche altra piccola ghiottonerìa: di’ ciò a Guglielmo.

Dav. L’uomo di guerra dormirà qui stanotte, signore?

Shall. Sì, Davy, vuo’ trattarlo bene: un amico alla corte è meglio che un scellino in tasca. Mostrati cortese co’ suoi uomini, Davy; perocchè sono scaltriti mariuoli, e potrebbero darti un morso.

Dav. Li sfido a mordermi più di quello ch’essi stessi non siano morsicati, se lice il giudicarne dalla loro cenciosa biancheria.

Shall. Ben detto, Davy, va pei tuoi negozi. [p. 285 modifica]

Dav. Vi supplico, signore, di favorire Guglielmo Visor di Wincoot contro Clemente Perkes della montagna.

Shall. Vi son molte lagnanze, Davy, contro quel Visor; quel Visor è un ribaldo, da quanto io ne so.

Dav. Concedo a vossignoria che sia tale: ma Dio non voglia, che un ribaldo non possa ottener qualche favore a intercessione di un amico. Un onest’uomo può parlar da sè; il ribaldo non può. Ho servito vossignoria con fedeltà per otto anni, e se non valgo una volta o due a fare ottener ragione ad un furfante contro un onest’uomo, convien dire ch’io abbia ben poco credito presso di voi. Il furfante è un mio onesto amico, signore; perciò vi supplico d’accordargli protezione.

Shall. Vattene; non patirà nulla. Spicciati, Dayy. (Davy esce) Dove siete voi, sir Giovanni? Via, toglietegli quegli stivali. — Datemi la vostra mano, messer Bardolfo.

Bard. Sono lieto di veder vossignoria.

Shall. Ti ringrazio con tutto il cuore, gentil Bardolfo: — e benvenuto ancora il mio gigante. (al Paggio) Venite sir Giovanni.

(esce)

Fal. Vi seguirò buon ser Roberto. Bardolfo, attendi ai nostri cavalli (escono Bard. e il Paggio) Se io fossi tagliato in brani, si potrebbero comporre col mio corpo quattro dozzine di tai barbuti eremiti, quale è Shallow. Maraviglioso il vedere l’analogia che passa fra lo spirito suo e quello dei suoi domestici. Essi a forza d’averlo sotto gli occhi si comportano da stolti giudici; egli pel loro consorzio fa di un giudice un servitore; i loro intelletti si conformano tanto bene, che tutti insieme convergono sempre verso il medesimo punto, come altrettante oche selvatiche. Se avessi un processo con messer Shallow, seconderei i suoi famigli pel credito che godono con lui; se ne avessi uno invece con questi, farei entrare in capo a messer Shallow che non v’è uomo al mondo che abbia maggior autorità sui suoi servi. Ciò che v’è di sicuro, è che le maniere e i sentimenti son contagiosi come le malattie: perciò gli uomini badino con cui vanno. Vuo’ trarre da questo Shallow eran materia di riso per Enrico. Ah! è mirabile l’effetto di una menzogna ben condita o di una celia fatta con aria grave, sopratutto in giovine che non patì mai dolori. Oh ei riderà finchè il suo volto si raggrinzi come una carta pecora.

Shall. (dal di dentro) Sir Giovanni!

Fal. Vengo, messer Shallow; vengo, vengo. (esce) [p. 286 modifica]

SCENA II.

Westminster. — Una stanza nel palazzo.

Entrano Warwick, e il Lord capo della giustizia.

War. Ebbene, milord, dove dirizzate il passo?

Lord. Come sta il re?

War. Profondamente bene: i suoi mali sono ora tutti terminati.

Lord. Non è già morto?

War. Ha pagato il tributo di natura; per noi non vive più.

Lord. Avrei, voluto che Sua Maestà m’avesse chiamato seco: lo zelo integro, col quale l’ho servito durante la sua vita, mi lascia esposto a tutti gli attacchi della malevolenza.

War. Infatti, credo che il giovine sovrano non vi ami.

Lord. Lo so, e perciò mi armo di coraggio per sostenere con fermezza i nuovi tempi, che non possono minacciarmi di caduta più spaventevole di quella che la mia fantasia raffigura.

(entrano i principi del sangue, Westmoreland ed altri)

War. Vengono abbrunati i figli del morto Enrico: oh piacesse al Cielo che l’Enrico vivo avesse almeno la tempra del meno nobile di quei giovani! Quanti conserverebbero quegli impieghi che vedremo in breve commessi alle mani più abiette!

Lord. Oimè! io pur temo che tutto non vada sconvolta.

Gio. Buon giorno, cugino Warwick.

Hum. e Clar. Buon giorno, cugino.

Gio. Noi v’incontriamo come uomini che han dimenticato l’uso della parola.

War. Non così noi; ma il nostro argomento è pur troppo tristo per ammettere lungo discorso.

Gio. Pace sia con lui che ne lasciò così mesti.

Lord. Pace sia con noi, onde più mesti ancora non diveniamo!

Hum. Mio buon lord, voi avete infatti perduto un amico; e giurerei che è vero il dolore che mostrate; sì vero interamente è il vostro dolore.

Gio. Quantunque nessun uomo di questo regno possa sapere qual sarà la sua sorte, voi siete nondimeno quegli che ha il meno da sperare. Io ne sono dolente, e vorrei non fosse così.

Clar. Conviene parliate con riguardo di sir Giovanni Falstaff, che controbilancia ora tutte le buone qualità.

Lord. Amabili principi, ciò ch’io feci, lo feci per onore, [p. 287 modifica]spintovi dai sentimenti imparziali della mia coscienza, e non mi vedrete mai pentirmene, nè dichiararlo vilmente indegno, nè comprare con suppliche un perdono disonorevole. Se la giustizia e l’innocenza cagionano la mia rovina, raggiungerò il morto re mio signore, e gli dirò chi mi abbia mandato dietro a lui.

War. Ecco il principe.     (entra il re Enrico V)

Lord. Buon giorno, e salvi il Cielo Vostra Maestà.

R. Enr. Questo splendido vestimento, così nuovo per me, non mai riesce tanto agevole quanto potreste crederlo. — Fratelli, voi fondete nella vostra mestizia qualche timore; ma questa è corte d’Inghilterra, non Ottomana. Qui non sono gli Amurat che succedano agli Amurat, ma gli Enrichi che agli Enrichi tengono dietro. Nondimeno, miei nobili fratelli, non infrenate il vostro dolore, che ben vi si addice, e che tanto splende su di voi; io pure vuo’ serbarlo lungo tempo in fondo al mio cuore. Sì, siate mesti, fratelli; ma non vogliate vedere in tal mestizia che un peso comune che tutti portiamo. Quanto a me, ne attesto il Cielo, bramo crediate che vi sarò padre e fratello. Vogliate soltanto amarmi, ed io assumerò ogni negozio. Piangete l’Enrico estinto, che io pure lo piangerò: ma rammentate che un Enrico vivo vi rimane, che ricambierà ogni vostra lagrima con molte ore di gioia.

Gio. Non ci aspettiamo meno dalla Maestà Vostra.

R. Enr. Voi mi guardate tutti con sorpresa;... e voi più di ogni altro (al Lord): voi siete, io credo ben sicuro che non vi amo?

Lord. Son sicuro, ove pesiate rettamente le mie azioni, che Vostra Maestà non ha motivo d’odiarmi.

R. Enr. No! Come potrebbe un principe quale sono io dimenticare le vostre sevizie? Che! Garrire pubblicamente, ingiuriare, mandar prigione l’erede della corona d’Inghilterra, non erano quelle solenni offese? Or possono esse dimenticarsi facilmente?

Lord. Io rappresentavo allora la persona di vostro padre: l’imagine della sua possanza risiedeva in me; e in mezzo all’amministrazione delle sue leggi, intantochè io sorvegliavo i pubblici negozii, piacque a Vostra Altezza di dimenticare il mio grado, la maestà del trono, l’autorità della giustizia e il re, di cui ero simulacro, per venirne fino a percuotermi sul mio augusto tribunale! A tale oltraggio fatto al padre vostro, spiegai la mia autorità e vi feci imprigionare. Se la mia condotta fu biasimevole, acconsentite ora che portate il diadema a vedere vostro figlio disprezzare i vostri decreti, abbattere la maestà del vostro seggio, interrompere il corso delle leggi, e frangere la spada che [p. 288 modifica]difende la pace e la sicurezza della vostra persona: e più ancora, soffrite ch’egli insulti alla vostra augusta imagine, che schermisca i vostri ordini eseguiti da un vostro ufficiale. Interrogate i vostri pensieri di re; ponetevi in tal disamina; siate oggi il padre, e rappresentatevi un figlio che ha vilipeso contanto la vostra dignità, che ha trattate con sì profondo disprezzo le vostre rispettabili leggi; poscia supponete ch’io compia la vostra parte; che in nome vostro io imponga, come ho fatto, silenzio al figliuol vostro: meditate su di ciò senza collera, e quindi giudicate. Re, decidete come si addice a un re: e ditemi che cosa ho commesso che derogasse all’autorità della mia carica, della mia persona o alla maestà del mio sovrano?

R. Enr. Faceste il vostro dovere giudice, e le vostre parole son piene di saviezza. Perciò continuate a tenere la bilancia e la spada, e possiate, innalzandovi di giorno in giorno a più grandi onori, vivere abbastanza per vedere un figlio mio oltraggiarvi e obbedirvi come io ho fatto. Così io pure possa vivere, onde ripetergli le parole di mio padre: «godo di avere un magistrato e tanto coraggioso da osare far giustizia anche di mio figlio: e del pari godo di avere un figlio che si sottomette senza resistenza ai decreti di un magistrato». — Voi mi avete fatto imprigionare, ed è perciò che lascio fra le vostre mani la spada immacolata di cui aveste l’uso, e che vi prego d’adoprare colla stessa fermezza, giustizia e imparzialità con cui meco l’adopraste. Eccovi la mia mano. Voi sarete un secondo padre alla mia giovinezza; la mia voce non sarà che l’eco dei vostri preziosi consigli: cieco discepolo, io sommetterò, con una docilità senza riserva, le mie risoluzioni alla vostra esperienza e ai vostri precetti. — E voi tutti principi miei fratelli, credete alla verità di quello che qui dichiaro. Mio padre ha portato con so tutti i miei fiatili; tutte le stemperate passioni di mia giovinezza son morte con lui e sepolte nella sua tomba. La sua anima sola e la sua ragione son rimaste e sopravvivono in me per deludere l’aspettativa e le congetture del mondo, per smentire le predizioni fatte sul mio conto, per cancellare fino la memoria dell’opinione ingiuriosa che ha creato il mio ritratto, prendendo norma da quello ch’io sembravo. Il sangue bollente di mia adolescenza ha seguito fin qui un corso irregolare; ma per l’avvenire, come fiume che rientrato nel suo letto scorre maestoso verso l’oceano, e si unisce agli altri fiumi, più savie leggi seguirà; alcuna follìa non offuscherà la gloria di questo trono. Convochiamo ora la nostra corte suprema del parlamento, ed eleggiamo per membri del [p. 289 modifica]nostro consiglio uomini sì savii, che il gran corpo dello Stato possa competere colla nazione meglio retta, e la pace o la guerra ne siano ugualmente alla mano. Voi, mio rispettabile padre (al Lord), avrete il primo posto in tale assemblea. Dopo la nostra incoronazione aduneremo, come dissi, i Pari del regno, e se il Cielo seconda le nostre intenzioni pel bene, alcun principe, alcun uomo non avrà mai motivo di dire: «abbrevi il Cielo almeno di un dì la fortunata vita di Enrico». (escono)

SCENA III.

Nella provincia di Glocester. — Il giardino di Shallow.

Entrano Falstaff, Shallow, Silenzio, Bardolfo, il Paggio e Davy.

Shall. Voi vedrete il mio orto, e sotto una pergola mangieremo alcuni dolci e alquante pere. Venite, cugino Silenzio..... e poi andremo a letto.

Fal. Pel Cielo! avete una bella e ricca abitazione.

Shall. Povera, povera, povera; tutto è mendicità, tutto è mendicità; sir Giovanni: l’aria sola vi è buona. Imbandisci, Davy, imbandisci; bene sta, Davy.

Fal. Questo Davy vi serve da valentuomo; egli è vostro valletto e vostro agricoltore.

Shall. Ottimo valletto, ottimo, ottimo valletto, sir Giovanni. — Per la messa! ho bevuto troppo a cena: ottimo valletto. Ora sedete, sedete: venite, cugino.

Sil. (canta) «Altro non faremo che mangiare e stare allegri, e lodando il Cielo del buon anno che ci dà; quando la carne è a prezzo mite e le donne son care, e i lascivi garzoni scorrono qua e là; si sta allegri, allegri, allegri».

Fal. Ecco un giovial uomo! Buon messer Silenzio, beverò un sorso alla vostra salute.

Shall. Date a messer Bardolfo un po’ di vino, Davy.

Dav. Dolce signore, sedete (a Bardolfo e al Paggio che stanno a un’altra mensa); fra poco sarò con voi. — Dolce signore, sedete. — Messer paggio, buon messer peggio, sedete. E pro vi faccia! Quel che vi manca in cibo, l’avrete in bevanda. Convien ci scusiate; che il cuore è tutto. (esce)

Shall. Allegro, messer Bardolfo; e voi, mio piccolo soldato, che veggo laggiù, statevi lieto.

Sil. (cantando) «Allegri, allegri, mia moglie è tutto, perocchè [p. 290 modifica]le donne son fatali, sian grandi o piccole: l’allegria è nella sala, allorchè le barbe se ne dipartono, la gioia del carnevale è sempre viva; allegri, allegri».

Fal. Non avrei creduto che messer Silenzio fosse uomo di sì buon umore.

Sil Chi, io? Son stato di tal tempra più volte anche prima di adesso. (rientra Davy)

Dav. Ecco un piatto di pomi per voi.

(ponendolo dinanzi a Bardolfo)

Shall. Dayy.....

Dav. Che dice Vossignoria? — Verrò frappoco (a Bard.) Una tazza di vino, signore?

Sil. (cantando) «Una tazza di vino chiaro e giocondo, e lo berrò alla mia amanza: un lieto cuore vive gran tempo...»

Fal. Ben detto, messer Silenzio.

Sil. Allorchè si sta lieti, la notte giunge e reca le sue dolci ore.

Fal. Salute, e lunga vita a voi, messer Silenzio.

Sil. (cantando) «Empite la tazza e datela a me; vi faro ragione fino al fondo della botte...»

Shall. Questo Bardolfo sia il ben venuto: se hai necessità di qualche cosa e non la chiedi, dannazione a te. — Benvenuto mio piccolo e aggraziato ladro (al Paggio), benvenuto con tutta l’anima. — Bevo a messer Bardolfo, e a tutti gli uomini gioviali che stanno in Londra.

Dav. Spero di veder Londra una volta prima di morire.

Bard. Se avrò il piacere d’incontrarvi colà, Davy...

Shall. Per la messa! vi beverete una bottiglia insieme. Non è vero, messer Bardolfo?

Bard. Sì, ed anche un fiasco.

Shall. Ti ringrazio. Il furfante si appiccherà ai tuoi fianchi, posso assicurartelo: ei non si scosterà; è di buona razza.

Bard. Ed anch’io mi attaccherò a lui, signore.

Shall. Ah già parla da re. Nulla vi manchi: statevi lieti (si ode battere) Guardate chi è alla porta. Olà! Chi batte?

(Davy esce)

Fal. In verità mi avete fatto ragione.

(a Silenzio che ha vuotato una tazza)

Sil. (cantando) «Fammi ragione, e fammi cavaliere, Samingo mio». Non è vero?

Fal. Verissimo.

Sil. Va bene? Confessate dunque che un vecchio è buono a qualcosa. (rientra Davy) [p. 291 modifica]

Dav. Così piaccia a Vossignorìa, vi è un certo Pistol venuto dalla corte con varie notizie.

Fal. Dalla corte? Fatelo entrare. (entra Pistol) Ebbene, Pistol?

Pist. Iddio vi salvi, sir Giovanni!

Fal. Qual vento vi portò qui, Pistol?

Pist. Non il cattivo vento, che non soffia mai alcun bene. — Dolce cavaliere, tu sei ora uno dei più grand’uomini del regno.

Sil. Per la Vergine! credo ch’egli altro non sia fuorchè il buon’uomo Puff di Barson1.

Pist. Puff? Puff sei tu, insigne villano! Sir Giovanni, io sono il tuo Pistol, l’amico tuo: e tra spine e dirupi son qui volato per arrecarti liete novelle, novelle degne dell’età dell’oro, novelle di prezzo infinito.

Fal. Pregoti di dirmele da uomo di questa età.

Pist. Al diavolo questa età, e le sue sofisticherie! Parlo dell’Africa e di gioie auree.

Fal. Oh vile cavaliere d’Assiria, quali son le tue novelle? Fa che il re Coffetuà ne sia istrutto.

Sil. (cantando) «E Robin Hood, Scarlet e Giovanni...»

Pist. Dovranno luridi cani parlar dell’Elicona? Così si hanno a ricevere le buone novelle? Poni dunque, Pistol, la tua testa in grembo alle Furie.

Shall. Onesto gentiluomo, io ignoro la vostra educazione.

Pist. Peggio per te.

Shall. Perdonatemi, signore. Se venite con notizie di corte, non vi son che due vie da prendere; o dirle, o tacerle. Io sono, signore, di qualche autorità presso il re.

Pist. Sotto qual re, Bezoniano? Parla, o muori.

Shall. Sotto il re Enrico.

Pist. Enrico IV, o V?

Shall. Enrico IV.

Pist. Va al diavolo! Sir Giovanni, il tuo tenero agnello è divenuto re; Enrico V è in trono. Parlo il vero: se Pistol mente, scherniscilo e trattalo da millantatore spagnuolo.

Fal. Che? Il vecchio re è morto?

Pist. Come un chiodo in un uscio vecchio. Quel ch’io dico è vero.

Fal. Via, Bardolfo; sella il mio cavallo. Messer Roberto [p. 292 modifica]Shallow, eleggi l’uffizio che vuoi in queste terre, e diverrà tuo. Pistol, vuo’ sopracaricarti di dignità.

Bard. Oh lieto giorno! Non darei la mia fortuna per un marchesato.

Pist. Ebbene, non recai io liete novelle?

Fal. Recate messer Silenzio nel suo letto. — Messer Shallow, milord Shallow, sii quello che vuoi, io sono il paraninfo della fortuna. Prendi i tuoi stivali; cavalcheremo tutta la notte. Oh amibile Pistol! via, via, Bardolfo. (Bardolfo esce) Vieni, Pistol, dimmi qualch’altra cosa; e imagina quel che desideri. — Calzatevi, calzatevi, messer Shallow: son sicuro che il giovine re arde dal desiderio di vedermi. Prendiamo i cavalli del primo venuto; le leggi d’Inghilterra mi sono ora soggette. Felici coloro che mi furono amici; e sventura a milord, capo della giustizia!

Pist. Tremino i vili che fin qui mi schernirono, e misericordia non risplenda per loro. Onore, onore a questo fausto dì.

(escono)


SCENA IV.

Londra. — Una strada.

Entrano alcuni valletti trascinando l’Ostessa Quickly e Doll-Tear-Sheet.

Ost. No, furfante; vorrei morire per vederti appiccato: mi hai slogata una spalla.

Vall. I contestabili l’han data in mia balìa; ed ella dev’essere frustata. Un uomo o due furono uccisi a cagione di lei.

Doll. Frasche, frasche, mentite. Vieni; io ti dico che sei un dannato malandrino; e il garzone con cui ero non fallò quando sostenne che meno dannoso ti sarebbe stato il battere tua madre che costei.

Ost. Oh, signore, se sir Giovanni fosse venuto, ei farebbe di questo dì, un di di sangue. Ma prego Iddio che ciò non accada!

Vall. Se accade, avrete dodici colpi di più; undici ve ne toccano soltanto adesso. Venite, v’impongo a entrambe di venir con me; quell’uomo, che voi e Pistol tiraste in rete, è morto.

Doll. Io ti dico che tu sei un fiore di ribaldo! Perciò sarete frustato finchè diveniate rosso come una ciliegia! Se non sarete frustato, iniquo, vuo’ rinunziare alla fede. [p. 293 modifica]

Vall. Venite, venite dame di un cavaliere errante.

Ost. Oh, la furfanteria dovrà così sopraffar la virtù! Ma dal dolore nasce la gioia.

Doll. Animo, perverso, menatemi dal giudice.

Ost. Sì, dal giudice, affamato cane.

Doll. Benefica morte, benefiche ossa dei trapassati!

Ost. Iniquo, iniquo!

Doll. Animo, avanti, scellerato!

Vall. Bene sta, andiamo.     (escono)

SCENA V.

Una piazza pubblica vicino all’abbazia di Westminster.

Entrano due palafrenieri spargendo giunchi.

Pal. Altri giunchi, altri ancora.

Pal. Le trombe squillarono due volte.

Pal. Passeran due ore primachè ritornino dall’incoronazione. Spicciati, spicciai, (escono; entrano Falstaff, Shallow, Pistol, Bardolfo e il Paggio)

Fal. Statemi qui vicino, messer Roberto Shallow; vi farò ricevere bene dal re, lo guarderò di traverso quando passa e vedrete con qual favore mi risponderà.

Pist. Iddio benedica i tuoi polmoni, ottimo cavaliere.

Fal. Vien qui, Pistol; stammi dietro. — Oh! se avessi avuto il tempo di fare nuovi abiti, avrei voluto spenderci le mille sterline che presi in prestito da voi (a Shall.) Ma non vale; questi miseri abbigliamenti faran più effetto, chiariranno lo zelo che ebbi di vederlo.

Shall. Così faranno.

Fal. E mostreranno la schiettezza della mia affezione.

Shall. Sì, senza dubbio.

Fal. E il tenero amor mio.

Shall. Sì, sì, sì.

Fal. Questo prova che ho corso giorno e notte, e che non ebbi pazienza per deliberare, per rammentare, per pensare a nulla.

Shall. Certo, certo.

Fal. E venir qui tutto sconcio del viaggio, tutto sudato dal desiderio di vederlo, non pensando ad altro, mettendo ogni altra cosa in oblìo, come se non vi fosse nulla a questo mondo fuorchè mirarlo... [p. 294 modifica]

Pist. Oh è sempre idem, poichè absque hoc nihil est. È tutto ciò che può dirsi.

Shall. Così è.

Pist. Mio cavaliere, vuo’ infiammare il tuo nobile fegato e farti arrabbiare. La tua Doll, Elena de’ tuoi eccelsi pensieri; sta in vergognoso carcere, respirando un aere infetto, ivi condotta dalla mano più vile e più sucida. Sveglia la vendetta dal suo antro infernale co’ serpi dell’infame Aletto, perocchè Doll è prigione. Pistol non mente.

Fal. La libererò. (grida al di dentro, e squilli di trombe)

Pist. Mugghia il mare, e risuona il clangore delle trombe. (Entra il re col suo seguito, fra cui è il lord capo della giustizia)

Fal. Dio salvi Tua Grazia, re Enrico! mio regio Enrico.

Pist. Il Cielo ti guardi e ti mantenga, reale rampollo della fama!

Fal. Iddio ti protegga, mio amabile fanciullo!

R. Enr. Milord capo della giustizia, parla a questo insensato.

Lord. Siete voi in senno? Conoscete voi a cui parlate?

Fal. Mio re, mio Giove, parlo a te, mio cuore!

R. Enr. Non ti conosco, vecchio. Pensa a pregare il Cielo. Quanto male si addicono i capelli bianchi a un insensato! Ho veduto in sogno un uomo che gli rassomigliava, mostruoso d’adipe com’egli, vecchio, garrulo e libertino al par di lui. Ma al mio svegliarmi disprezzo tal sogno. Va ad affaticare, onde diminuire l’ampiezza del tuo ventre, e accrescer quella del tuo merito. Abbandona tal vita di crapula: ricordati che la tomba apre per te una bocca tre volte più larga che per gli altri uomini. Non mi rispondere stolte celie, astienti dal credere ch’io sia oggi quello che fui un tempo. Il Cielo lo sa, e lo vedrà il mondo, che l’uomo giovanile è interamente in me scomparso, e che intende bandire dal mio fianco tutti coloro con cui m’intrattenni fin qui. Allorchè udrai dire ch’io sono quello che fui, ritorna da me e diverrai quello che eri, guida e ministro d’ogni mie colpa. Fine a che ciò non avvenga, ti allontano sotto pena di morte, come allontanai il resto de’ miserabili che mi fecero deviare, e ti vieto d’avvicinarti a me a un raggio minore di dieci miglia. Pei mezzi di sussistenza te gli assicurerò, onde i bisogni non ti sollecitino al male; e se saprò che hai mutata vita, allora t’impiegherò volentieri in ragione del tuo merito. È a voi, milord (al capo della giustizia), che affido l’esecuzione de’ miei ordini. Continuate la via. (esce col suo seguito)

Fal. Messer Shallow, io vi debbo mille sterline. [p. 295 modifica]

Shall. Sì, è vero, sir Giovanni; e vi scongiuro di darmele tosto.

Fal. Ciò è ben difficile, messer Shallow. Non vi spaventate di quanto avvenne; ei mi farà chiamare in segreto, che dinanzi al mondo, è ben necessario che assuma tal tuono. Non temete pel vostro avanzamento; io sarò l’uomo che vi farà grande.

Shall. Non veggo in qual modo, a meno che non mi diate il vostro mantello, e non mi empiate di paglia gli stivali. Vi prego, buon sir Giovanni, datemi almeno cinquecento delle mie mille lire.

Fal. Signore, non mancherò alla mia parola: quello che odiate non fa che una beffa.

Shall. Una beffa, temo, a cui non vi sottrarrete, sir Giovanni.

Fal. Non vi prenda pensiero di ciò; venite con me a pranzo. Andiamo luogotenente Pistol; andiamo, Bardolfo, sarò chiamato a corte appena annotti. (rientra il principe Giovanni, il lord capo della giustizia, uffiziali, ecc.)

Lord. Ite, conducete sir Giovanni Falstaff al naviglio; vadano con lui anche tutti i suoi compagni.

Fal. Milord, milord....

Lord. Non posso ora parlare: fra breve vi udrò. Si eseguisca il mio ordine.

Pist. Se fortuna me tormenta, spero me contenta.

(escono Fal. Shall. Pist. Bara. Pag. e uffiziali)

Gio. Amo questa condotta nobile del re: egli vuole che i suoi antichi compagni siano tutti trattati al disopra pure dei loro bisogni. Ma gli allontana, finchè appreso abbiano linguaggio più dicevole per venire al cospetto del pubblico.

Lord. Ciò appunto fa.

Gio. Il parlamento è già raccolto, se non erro?

Lord. Sì, principe.

Gio. Giurerei che prima del termine di quest’anno porteremo i nostri litigii domestici e il nostro fuoco nativo almeno fino in Francia. Udii un uccello che cantando presagiva ciò; e il suo concento, a quanto parvemi, piacque all’orecchio di Sua Maestà. Venite, volete che usciamo? (escono)

EPILOGO

Detto da un danzatore.

Prima il mio timore; poi la mia riverenza; infine il mio discorso. Il mio timore è il dispiacer vostro; la mia riverenza [p. 296 modifica]espone il mio dorere, col mio discorso vi chieggo perdono. Se fantasticate ora un bel ragionamento, sono perduto; perocchè ciò che debbo dirvi è di mia invenzione, e dubito condurrà a fine la mia ruina. Ma al proposito e il resto si lasci alla ventura. — Sappiate dunque (come ben sapete), che comparvi non ha molto qui al tramonto d’un dramma infelice, per chiedervi indulgenza per esso, promettendovene uno migliore. Allora io intesi parlare di questo per sdebitarmi con voi: ma se, per mala sorte, questo ancora non riesce, io fallirò; e voi, miei gentili creditori, perderete tutto con me. Vi promisi che qui sarei venuto, e qui affido il mio corpo alla vostra misericordia: alleviatemi un poco del debito, e ve ne salderò una parte, e, come molti debitori fanno, vi darò promesse all’infinito.

Se la mia lingua non sa indurvi a condonarmi il passato, vorrete voi impormi di usar delle gambe? E nondimeno sarebbe un ben lieve pagamento, il saltellare così fuori del proprio obbligo. Ma una buona coscienza farà tutto quello che può, e così voglio far io. Tutte le gentili donne che stanno qui, mi han già assolto; se i gentiluomini nol vogliono, allora essi non si accordano colle gentili donne, il che non fu mai veduto per lo innanzi in questa assemblea.

Una parola ancora, ve ne supplico. Se non siete troppo fastiditi della carne grassa, il nostro umile autore continuerà la storia con sir Giovanni, e vi farà ridere parlando della bella Catrina di Francia: e per quanto ne posso sapere, Falstaff morirà di sudore, a meno che non sia già stato ucciso dal vostro malcontento: perocchè Oldcastle soccombè martire, e questi non è il medesimo uomo. La mia lingua è stanca; quando le mie gambe lo saranno ugualmente, vi augurerò la buona notte: con queste mi prostro innanzi a voi, e prego Cielo per la regina.


fine del dramma.

Note

  1. Allusione a un personaggio grottesco di quei tempi.