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Fra quel pubblico speciale delle prime rappresentazioni, il quale non si muta mai, vi erano dei cantucci più intimi, dove gli assidui si ritrovavano sorridendo; costoro tenevano il cappello in testa, comodi e famigliari quasi fossero in casa propria, e scambiandosi dei saluti.

Parigi era là, la Parigi delle lettere, della ricchezza e del piacere; molti giornalisti, qualche scrittore e qualche artista, enoi di Borsa e di sport, e più cortigiane che donne oneste; una strana miscela, ove figuravano tutti gli ingegni e tutti i vizi, ove la medesima stanchezza e la medesima febbre si leggevano su tutti i volti.

Fanchery, a cui il cugino faceva mille interrogazioni, gli indicò i palchetti dei giornalisti, quelli dei circoli, gli disse il nome di qualche critico drammatico, uno magro secco, colle labbra sottili e maligne, e un altro grosso, dal fare bonario, il quale si piegava sulla spalla della sua vicina, una ingenua ch’egli accarezzava con uno sguardo tenero e paterno.

- Ma s’interruppe, vedendo La Faloise salutare delle persone che occupavano un palchetto di fondo. Parve stupito.

— Come! domandò, conosci il conte Muffat di Benville?...

— Oh! da molto tempo, rispose Ettore. I Muffat possedevano vicino a noi. Vado spesso in casa loro.... Il conte ha con sè sua moglie e suo suocero, il marchese di Chouard.

E, vanitoso, compiacendosi dell’attenzione del cugino, proseguì insistendo sui particolari: il marchese era consigliere di Stato, il conte era stato testè nominato ciambellano dell’imperatrice. Fauchery aveva preso il canocchiale e guardava la contessa, una bruna dalla carnagione fresca, grassoccia, con degli occhi neri bellissimi.

— Mi presenterai durante uno degli intervalli, finì a dire. Mi sono già incontrato altre volte col conte, ma vorrei andare ai loro martedì.

Un energico zittìo partì dalle gallerie superiori. La sinfonia era cominciata, ma si entrava tutt’ora. Gli usci dei palchi sbattevano, dei tardivi costringevano intere file di spettatori ad alzarsi, dei vocioni si bisticciavano negli anditi. Ed il rumore delle conversazioni non cessava, simile al pippiar d’uno stormo di passere chiaccherine quando cade il sale.