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riscontri d’aria. Nel caldo afoso del gas passavano dei soffi freddi ché rendevano il teatro, al dir di Fontan, un vero nido da fiussioni di petto.

— Vorrei vedervi scollacciato, continuava Nana, che saliva in bizza.

— Zitto! mormorò Bordenave.

In scena Rosa cantava con tanta finezza una frase del suo duetto, che gli applausi coprirono l’orchestra.

Nana si tacque, seria in viso.

Intanto il conte s’arrischiava in un andito, ma Barillot lo fermò dicendo che là c’era uno spazio scoperto. Egli vedeva lo scenario da rovescio ed in isghembo; vedeva impannate coperte sul di dietro da uno strato di vecchi avvisi, poi un angolo della scena, la caverna dell’Etna, scavata in una miniera d’argento, colla facina di Vulcano, in fondo. Le saette calate facevano rosseggiare la vernice appiccicata sulla tela a gran colpi di pennello.

Dei portanti a cristalli rossi ed azzurri, mercè un combinato incrociarsi di raggi formavano lo sfolgorare del braciere; mentre più indietro, delle striscie di luce correvano sul suolo per far risaltare una catena di roccie nerastre. E là, sovra un’erta a dolce pendio, frammezzo alle stille di luce, simili a lampioncini sparsi sull’ erba in qualche sera di festa pubblica, la vecchia Druard, che faceva da Giunone, stava seduta aspettando il momento di entrare in iscena, abbagliata e sonnacchiosa.

Ma vi fu una diversione: Simona, che stava ascoltando una storia di Clarissa, si lasciò sfuggire un:

— To! la Tricon!

Era infatti la Tricon coi suoi lunghi ricci ed il suo far di contessa che frequenta gli studi di avvocato. Quando vide Nana, mosse subito verso di lei.

— No, disse questa, dopo uno scambio rapido di parole. Per ora, no.

La vecchia signora rimase seria. Prullière le diè, passando, una stretta di mano.

Due piccole figuranti la guardavano con commozione. Lei, per un momento parve incerta: poi chiamò Simona con un nno e lo scambio di parole rapide ricominciò: