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il paradiso delle signore

dalla sua indifferenza di macchina, che, slanciata a tutto vapore, non si dà alcun pensiero dei morti che forse lascerà per via.

Dionisia cercava con gli occhi suo fratello Gianni, e lo vide davanti alla bottega del Bourras: lo raggiunse, per raccomandargli di mettersi accanto allo zio e sorreggerlo, caso mai avesse camminato a stento. Da un po’ di tempo, Gianni era serio serio, come se fosse tormentato da qualche brutto pensiero. Quel giorno, stretto in un soprabito nero, divenuto ormai un uomo che si guadagnava i suoi venti franchi al giorno, pareva cosí triste che la sorella ne fu colpita, perché non s’era accorta che volesse tanto bene alla cugina. Per risparmiare a Beppino inutili tristezze, l’aveva lasciato dalla Gras, con l’idea di andarlo a prendere in giornata per fargli abbracciare gli zii.

Il carro ancora non si vedeva, e Dionisia, grandemente commossa, guardava ardere i ceri, quando trasalí al noto suono d’una voce, dietro le sue spalle. Era il Bourras. Aveva chiamato con un gesto un venditore di caldarroste, che stava difaccia sull’uscio d’un vinaio, e gli disse:

— Vigouroux, fatemi il piacere... Ecco qui, levo la maniglia... Se mai vien qualcuno, ditegli di ripassare. Ma già non vi scomoderete; non verrà nessuno!

Poi rimase lí sul marciapiede ad aspettare come gli altri. Dionisia, imbarazzata, aveva data un’occhiata alla bottega di lui. Non ci badava punto ora; in vetrina non c’era che un monte di ombrelli rosi dall’aria e con le mazze affumicate dal gas. Gli abbellimenti che aveva fatti, la tinta verdolina, gli specchi, l’insegna dorata, tutto era sudicio e vecchio con la decrepitezza


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