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sava, desiderava soltanto che la lasciassero in pace con i suoi dolori e le sue gioie, come tutti gli altri. Era meglio che se ne andasse.

In quel mentre il Mouret passava giú nei magazzini; s’era voluto distrarre col visitare da caalzava ora linee monumentali dietro l’assito che po i lavori. Eran passati dei mesi, e la facciata la nascondeva al pubblico. Un esercito di operai vi lavorava nei marmi, nelle porcellane, nei mo saici; si stava dorando il gruppo di mezzo; sopra la porta e sul cornicione si ponevan già i piedistalli che dovevan reggere le statue delle città industriali di Francia. Dalla mattina alla sera, lungo la Via Dieci Dicembre, aperta da poco, stava ferma una folla di curiosi a guardare in su, senza riuscire a vedere nulla, ma attirati dalle vantate meraviglie di quella facciata, che il giorno dell’inaugurazione doveva far parlare di sé tutta Parigi. Su quei palchi dove ardeva il lavoro, in mezzo agli operai che finivano di realizzare il suo sogno, il Mouret sentiva piú amaramente che mai la vanità della sua potenza. Il pensiero di Dionisia gli aveva a un tratto quasi tolto il respiro; quel pensiero che senza mai posa lo rodeva, come un male incurabile. Fuggí via senza una parola di lode, temendo di mostrare le sue lacrime, lasciando dietro a sé la nausea del trionfo. Quella facciata, che s’innalzava quasi compiuta, gli pareva piccina come uno di quei muri di rena che si costruiscono i bambini; neppure se fosse stata larga da un quartiere all’altro ed alta fino alle stelle, avrebbe riempito il vuoto del suo cuore che soltanto il «sí» d’una fanciulla poteva riempire.


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