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ti a fare economia, non osavano darle licenza. Per poter reggere dell’altro, bisognava che facessero tutto da sé: il Gaujean, ostinato nei suoi rancori, faceva loro credito, prometteva perfino di trovare dei capitali; ma erano impauriti e volevano tentare il risparmio e l’ordine. Per quindici giorni Dionisia sentí ch’erano imbarazzati con lei; e dové parlare lei per la prima dicendo loro che s’era trovata un altro posto. Respirarono: la signora l’abbracciò commossa, dicendole che l’avrebbe sempre rimpianta. Poi, quando la giovanetta dové aggiungere che tornava dal Mouret, il Robineau impallidí:

— Fate bene! — esclamò cupamente.

Era meno facile dir la cosa al vecchio Bourras. Eppure Dionisia non poteva far a meno di sgombrare; e tremava, sentendo per lui una viva riconoscenza. Il Bourras, per l’appunto, con quel frastuono attorno, era furibondo dalla mattina alla sera. I carri gli sbarravan la strada; i picconi si ficcavano nei suoi muri; al rumor dei martelli tutta la bottega, gli ombrelli e le mazze, ballavano. Pareva che la casuccia tra tutta quella furia di demolizioni si dovesse spezzare. Ma il peggio era che l’ingegnere, per mettere in comunicazione le sezioni del magazzino con quelle del vecchio palazzo Duvillard, aveva pensato di scavare un corridoio sotto la casetta che le separava. La casa era del Mouret; il contratto diceva che i restauri toccavano al proprietario; e una bella mattina i muratori si presentarono dall’ombrellaio. Se non gli venne un accidente, fu un miracolo. Non bastava d’averlo stretto da tutte le parti, da destra, da sinistra, di dietro? anche sotto, ora! Cacciò via i muratori, e ricorse al tribunale. Restauri, sta bene;


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