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il paradiso delle signore

mente, e glieli appuntò, per sbarazzarla e farla un po’ respirare.

— Grazie! come siete buona! — diceva Genoveffa. — Ah! non son grassa, non è vero? Ero più forte prima, e mi son ridotta cosí... Riabbottonatemi il vestito; la mamma mi vedrebbe le spalle. Le nascondo piú che posso... Dio mio! sto male, sto male...

Rispondeva «sto male» con una voce rassegnata nell’agonia della sua debolezza. La crisi intanto si calmava, i singhiozzi non la soffocavano piú, Restava accasciata sulla seggiola, e guardava fisso la cugina. Dopo un poco, le domandò:

— Ditemi la verità, le vuol bene?

Dionisia sentí il rossore che le saliva al viso; aveva capito che alludeva al Colomban e a Clara. Ma finse meraviglia:

— Chi?

Genoveffa scoteva il capo come dicesse che non ci credeva:

— Non dite bugie: fatemi il piacere di dirmelo sul serio... Voi lo sapete, ne sono sicura. Siete stata compagna di lei, ed ho visto il Colomban tenervi dietro, parlarvi sommesso. Vi dava delle commissioni per lei, non è vero?... Fatemi il piacere, ditemi la verità; vi giuro che starò meglio, quando lo saprò.

Dionisia non s’era mai trovata in un tale imbroglio: dinanzi a quella povera figliuola che non apriva mai bocca e aveva indovinato tutto, non sapeva che cosa dire, e abbassava la testa. Eppure trovò la forza di dire un’altra bugia:

— Ma vuol bene a voi!

Allora Genoveffa fece un gesto disperato:

— Sta bene, non mi volete dir nulla. Tanto


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