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La Baudu, commossa fino alle lacrime, l’abbracciò.

— Povera figliuola, — rispose — se dei dispiaceri non ne avessi altri, mi vedresti più allegra!

— Buona sera, cugina, — riprese Dionisia, baciando, per la prima, Genoveffa sulle gote.

Genoveffa parve si svegliasse a un tratto. Le rese i baci senza trovare una parola. Lei e sua madre baciarono poi Beppino, che tendeva i braccini. E la riconciliazione fu intera.

— Dunque! sono le sei; andiamo a tavola! — disse il Baudu. — Perché non hai portato anche Gianni?

— Doveva venire — mormorò Dionisia un po’ imbrogliata. — L’ho visto per l’appunto stamattina e me l’ha proprio promesso... Oh! non bisogna aspettarlo; lo avrà trattenuto il padrone.

Aveva paura di qualche storia delle solite, e lo voleva scusare fin d’allora.

— Su via! mettiamoci a tavola! — ripeté lo zio.

Poi, voltosi verso il fondo buio della bottega:

— Colomban, potete mangiare con noi. Tanto, non verrà nessuno.

Dionisia non s’era accorta del commesso. La zia le raccontò che avevano dovuto dar licenza a quell’altro uomo e alla ragazza. Gli affari andavano tanto male, che il Colomban bastava; n’avanzava anzi, perché doveva passare ore e ore senza far nulla, insonnolito, con gli occhi aperti.

Nel salotto da pranzo, il gas ardeva benché si fosse allora nelle lunghe giornate estive. Dionisia ebbe, nell’entrare, un leggiero brivido, sen-


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