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di lavoro fuor del magazzino. Ne aveva parlato al Robineau, che le era stato simpatico fin da e lui le quando l’aveva incontrato da Vinçard, aveva trovato da fare delle cravattine a venticinque centesimi la dozzina. La notte, dalle nove al tocco, ne poteva cucire sei dozzine e guadagnare cosí un franco e mezzo, meno i quattro soldi del lume. Ma quel franco e trenta centesimi al giorno andavano pel mantenimento di Gianni; né lei si lamentava del poco dormire: si sarebbe, anzi, detta felice, se un’altra disgrazia non le fosse cascata addosso.

Alla fine della seconda quindicina, quando si presentò alla donna che le dava da fare le cravatte, trovò la porta chiusa: c’era stato un fallimento che le rubava diciannove franchi, somma considerevole e sulla quale da otto giorni faceva assegnamento. Che erano gli scherni della sezione, rispetto a quella rovina?

— Siete seria, — le disse Paolina che la incontrò pallidissima nella galleria della mobilia.

— Avete bisogno di qualcosa? perché non me lo dite?

Ma Dionisia le doveva già dieci franchi, e rispose, sforzandosi di sorridere:

— No, grazie... Ho dormito male.

Era il venti di luglio; proprio nel colmo della paura degli impiegati. Di quattrocento il Bourdoncle ne aveva già mandati via piú di cinquanta, e correva la voce che ne avrebbero licenziati degli altri. Ma lei a quelle minacce non ci pensava piú, angosciata da una nuova scappata di Gianni, piú terribile delle altre. Questa volta aveva bisogno di quindici franchi; gli ci volevano per salvarlo dalla vendetta d’un marito messo di mezzo. Il giorno innanzi aveva ricevuta una


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