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il paradiso delle signore


— Quanto son contento di avervi trovata! — balbettò alla fine il Deloche, che si risolse a parlare per il primo. — Se sapeste che piacere mi avete fatto a permettermi di passeggiare con voi!

E, con l’aiuto delle tenebre, dopo assai parole imbrogliate, osò confessarle che l’amava. Era un bel pezzo che glielo voleva scrivere; ma forse lei non l’avrebbe saputo mai, se non fosse stata quella bella serata ad aiutarlo, quell’acqua che cantava e quegli alberi che li coprivano col mantello delle foglie.

Dionisia non rispondeva; seguitava a camminare al suo braccio, come se si sentisse male.

Il Deloche cercava di guardarla in viso, quando udí un leggiero singhiozzo:

— Dio mio! voi piangete, signorina, voi piangete!... Sono stato forse io?

— No, no... — mormorò lei.

Cercava di trattenere le lacrime, ma non ci riusciva. Anche a tavola aveva creduto che le si spezzasse il cuore; ed ora in quell’ombra si lasciò andare; i singhiozzi la soffocavano al pensiero che, se l’Hutin si fosse trovato lí, invece del Deloche, e le avesse dette quelle parole, non avrebbe saputo resistergli. La confessione che finalmente ella faceva a se stessa, la turbava stranamente. Ardeva di vergogna come se sotto quegli alberi ella fosse caduta nelle braccia a quel bellimbusto, che godeva del pavoneggiarsi tra quelle baldracche.

— Ma io non vi volevo mica offendere! — ripeté il Deloche che aveva le lagrime agli occhi anche lui.

— No, sentite — disse lei con voce ancora tremante; — non è che io sia arrabbiata con voi.


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