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il paradiso delle signore

due baci sulle gote come un pazzo. Dal negozio alcuni commessi guardavano meravigliati.

Quella notte Dionisia non chiuse occhio. Fin da quando era entrata nel Paradiso delle signore, il danaro era stato il suo pensiero crudele d’ogni momento. Era sempre stato «alla pari», vale a dire senza stipendio fisso; e siccome le compagne le impedivano di vendere, le riusciva a gran stento pagare la pensione di Beppino, servendo quelle clienti da poco, ch’esse si degnavano lasciarle. La sua era la miseria nera, la miseria vestita di seta. Spesso doveva passare la notte intera a raccomodarsi quel misero vestito, a rammendarsi la biancheria, a ripigliare i fili delle camicie come se fossero trine; senza contare che si era rattoppate da sé le scarpe in modo che un calzolaio non se ne serebbe vergognato. Faceva nella catinella i suoi piccoli bucati. Ma il vecchio vestituccio di lana le dava sopra ogni altra cosa da fare; non aveva che quello, e doveva rimetterselo ogni sera quando si levava l’«uniforme» cosí lo consumava a vista d’occhio; una macchia le faceva terrore; il piú piccolo strappo diventava una rovina. E non un soldo per sé, non un soldo mai per quei piccoli oggetti di cui han bisogno le donne: a ricomprarsi il filo ed aghi avea dovuto aspettare quindici giorni. Quando Gianni con le sue avventure amorose le piombava addosso e le portava via ciò ch’ella aveva messo da parte, era addirittura una disgrazia.

Un franco, dato a lui, scavava un vuoto ch’ella non sapeva piú come colmare. A trovare dieci franchi il giorno dopo, non ci era nemmeno da pensarci un minuto. Tutta la notte non fece che rivoltarsi nel letto fantasticando: vedeva Beppino buttato sulla strada e le pareva di ri-


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