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zola

in un siffatto mucchio di malines e di valenciennes, gittò un’occhiataccia a quelle mani febbrili.

— A destra, signore — disse l’Hutin ricominciando a fare da guida.

Non ne poteva piú. Non bastava il non avergli comprato nulla? A ogni svoltata lo tenevano fermo per un’ora.

E nella bile c’era soprattutto la gelosia delle sezioni dei tessuti verso quelle delle «confezioni »>: guerra d’ogni minuto. Si leticavano le clienti, si rubavano tra loro il tanto per cento e la gratificazione. Quelli della seta anche piú di quelli delle lane eran furibondi quando dovevano condurre alle «< confezioni» una signora che risolveva di comprarsi un mantello bell’e fatto dopo essersi fatta mostrare taffetas e failles.

— Signorina Vadon — disse l’Hutin con voce da cui trapelava la stizza, quando finalmente giunsero nella sezione.

Ma quella passò senza dargli retta, assorta come era in una vendita che badava a sbrigare. La stanza era piena; la folla l’empiva tutta per il lungo dall’uscio delle trine a quello della biancheria, che erano di faccia; e in fondo alcune signore si provavano dei vestiti, voltandosi, curvandosi e raddrizzandosi dinanzi agli specchi. Il tappeto rosso smorzava il rumore dei passi, la voce alta e lontana del pianterreno s’andava via via estinguendo; non c’era là dentro che il discreto mormorio e il caldo d’un salotto, accresciuto dalla ressa delle signore.

— Signorina Prunaire! — disse più forte l’Hutin.

E siccome nemmeno lei si fermava, aggiunse fra i denti, in modo che non lo potessero sentire:


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