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le aveva trovate deserte, e la probabilità d’una sconfitta gli s’era bruscamente presentata nel pieno della sua fede assoluta nella fortuna. Le undici, è vero, sonavano in quel punto, e lui sapeva, per esperienza, che là il grosso degli avventori non arrivava se non dopo mezzogiorno. Ma c’erano dei segni che lo turbavano. Le altre volte, fin dalla mattina, cominciava il lavoro, né si vedevano donne senza niente in capo che stando da quelle parti venivano nel negozio come buone vicine. Sebbene fosse lo scettico ch’era, anche lui, come tutti i grandi capitani sul punto di cominciare la battaglia, si sentiva preso da un’ansia superstiziosa. S’immaginava che non ci fosse oramai piú speranza e ch’egli sarebbe sconfitto senza nemmeno sapere come né perché. Gli pareva di leggere la sua condanna perfino sul viso delle signore che passavano.

E proprio in quel momento la Boutarel, la quale non c’era caso andasse via a mani vuote, faceva atto di partire dicendo:

— No, no, non c’è nulla che mi vada. Vedrò e mi risolverò.

Il Mouret le guardò dietro; poi, accorsa alla sua chiamata la signora Aurelia, la prese da parte e si dissero in fretta poche parole.

Ella fece un gesto quasi di desolazione: e da quel gesto si capí facilmente ciò che diceva: le cose andavano male. Per un po’ restarono l’uno rimpetto all’altra; il Mouret seguitava ad angustiarsi in quei timori che i generali dissimulano innanzi ai soldati. Finalmente, quasi fosse sicuro di sé, disse a voce alta:

— Se mai aveste bisogno di gente, prendete


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