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(3563-3564) pensieri 31

scrivendo in prosa, per poeticità di stile e linguaggio, altrettanto quanto nell’ottimo ed aureo secolo del cinquecento (mentre il nostro è ferreo) peccavano gli ottimi ingegni nelle classiche prose, sí nel linguaggio, sí nello stile, che quello si tira dietro (p. 3429, fine). E come ho detto a pagg. 3417-9 che il linguaggio propriamente poetico in Italia non fu pienamente determinato, stabilito, e distinto e separato dal prosaico, se non dopo il cinquecento, e massime in questo e nella fine dell’ultimo secolo; cosí si deve dire del linguaggio prosaico, quanto all’essere cosí esattamente determinato ch’ei non possa mai confondersi col poetico, né dar nel poetico senza biasimo ec. Il che non ha potuto perfettamente essere finché i termini fra questi due linguaggi non sono stati fermamente posti, e chiaramente, precisamente,  (3564) incontrovertibilmente segnati, tirati, descritti. Onde il linguaggio perfettamente proprio e particolare della prosa, e il perfettamente proprio e particolare della poesia, sono dovuti venire in essere a un medesimo tempo, e non prima l’uno che l’altro (o non prima esser perfetto ec. ec. l’uno che l’altro, e crescer del pari quanto alla loro prosaicità e poeticità); perché ciascun de’ due è rispettivo all’altro ec. ec. (30 settembre 1823).


*    Alla p. 2911, margine. La lingua ebraica è poetica ancor nella prosa, per quella sua estrema povertà, della quale altrove ho ragionato, mostrando come in ciascuna sua parola cento significati si debbano accozzare e si accozzino, conforme accadde a principio in ciascheduna lingua, finché col variare o per inflessione, o per derivazione, o per composizione, o con altra modificazione le poche radici a seconda de’ loro vari significati, si venne d’una sola parola a farne moltissime, e di poche infinite; per modo che ciascun significato de’ tanti che dapprima erano riuniti in un solo vocabolo, non per esser trasportato ad altra