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(543-544) pensieri 53

simile in parte ad un altro nelle Lodi della Negligenza (pag. 371) (22 gennaio 1821).


*    La superiorità della natura su la ragione e l’arte, l’assoluta incapacità di queste a poter mai supplire a quella, la necessità della natura alla felicità dell’uomo anche sociale e l’impossibilità precisa di rimediare alla mancanza o depravazione di lei, si può vedere anche nella considerazione dei governi. Piú si considera ed esamina a fondo la natura, le qualità, gli effetti di qualsivoglia immaginabile governo; piú l’uomo è saggio, profondo, riflessivo, osservatore, istruito, esperto; piú conchiude e risolve con piena certezza, che nello stato in cui l’uomo è ridotto, non già da poco, ma da lunghissimo tempo e dall’alterazione depravazione e perdita della società (non dico natura) primitiva in poi, non c’è governo possibile che non sia imperfettissimo, che non racchiuda essenzialmente i germi del male e della infelicità maggiore o minore de’ popoli e degli individui; non c’è né c’è stato  (544) né sarà mai popolo, né forse individuo, a cui non derivino inconvenienti, incomodi, infelicità (e non poche né leggere) dalla natura e dai difetti intrinseci e ingeniti del suo governo, qualunque sia stato o sia o possa essere. Insomma, la perfezione di un governo umano è cosa totalmente impossibile e disperata e in un grado maggiore di quello che sia disperata la perfezione di ogni altra cosa umana. Eppure è certo che, se non tutti, certo molti governi sarebbero per se stessi buoni, e possiamo dire perfetti; e l’imperfezione loro, sebbene oggidí è innata ed essenziale per le qualità irrimediabili e immutabili degli uomini nelle cui mani necessariamente è riposto (giacché il governo non può camminar da se, né per molle e macchine, né per ministerio d’angeli o per altre forze naturali o soprannaturali, ma per ministerio d’uomini): tuttavia non è imperfezione primitiva e inerente all’idea del