Pagina:Zibaldone di pensieri II.djvu/50

(515-516-517) pensieri 37

senta alla fantasia quella stessa sensazione, immagine ec., provata da fanciulli, e come la provammo in quelle stesse circostanze. Cosí che la sensazione presente non deriva immediatamente dalle cose, non è un’immagine degli oggetti, ma della immagine fanciullesca; una ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o riflesso della immagine antica. E ciò accade frequentissimamente (cosí io, nel rivedere quelle stampe piaciutemi vagamente da fanciullo,  (516) quei luoghi, spettacoli, incontri ec., nel ripensare a quei racconti, favole, letture, sogni ec., nel risentire quelle cantilene udite nella fanciullezza o nella prima gioventú ec.). In maniera che, se non fossimo stati fanciulli, tali quali siamo ora, saremmo privi della massima parte di quelle poche sensazioni indefinite che ci restano, giacché non le proviamo se non rispetto e in virtú della fanciullezza.

     E osservate che anche i sogni piacevoli nell'età nostra, sebbene ci dilettano assai piú del reale, tuttavia non ci rappresentano piú quel bello e quel piacevole indefinito come nell’età prima spessissimo (16 gennaio 1821).


*    Oltre la compassione si può notare come indipendente affatto dall’amor proprio un altro moto naturale, che sebbene somiglia alla compassione non perciò è la stessa cosa. Ed è quella certa sensibilissima pena che noi proviamo nel vedere, per esempio, un fanciullo fare una cosa la quale noi sappiamo che gli farà male; un uomo che si esponga a un manifesto pericolo; una persona vicina a cadere in qualche precipizio senz’avvedersene.  (517) E simili. Questo dei mali non ancora accaduti. Allora proviamo ancora un’assoluta necessità d’impedirlo, se possiamo, e se no una pena assai maggiore. Certo è che il veder uno che si fa male o sta per soffrire, o volontariamente o non sapendo ec., il vederlo e non impedirlo, o non sentirsi accorare